Il patteggiamento per reati di turbata libertà degli incanti (in concorso) e di falso ideologico in atti pubblici (in concorso) del proprio presidente del Consiglio di Amministrazione, devono essere dichiarati da parte dell’impresa partecipante a pena di

Lazzini Sonia 13/09/07
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Merita di essere segnalato il seguente passaggio tratto dalla decisione numero 3750 del 27 giugno 2007 emessa dal Consiglio di Stato (di ricusazione della sentenza numero 2933/2005 sempre del Consiglio di Stato) in tema di false dichiarazioni che comportano la legittima esclusione dalla procedura nonché la dovuta escussione della garanzia provvisoria
 
< La tesi di fondo della società ricorrente in revocazione è che il Tribunale di Belluno, con decisione 14 ottobre 2003, ha dichiarato l’illegittimità del certificato rilasciato dall’Ufficio Locale del Casellario di Padova del 17 luglio 2003, n. 25468, per aver riportato in violazione degli arti. 24 e 28 del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, l’indicazione di condanne di patteggiamento, e che detta dichiarazione di illegittimità si è consolidata a seguito della sentenza della Cassazione 27 settembre 2004, n. 38033/04, che ha comportato l’efficacia di giudicato della citata sentenza del Tribunale di Belluno.
 
      Come esattamente osserva il Consorzio resistente, nel precedente grado di giudizio, nessuna delle parti aveva contestato l’esistenza del decreto del Tribunale di Belluno; ciò che, invece, ha costituito oggetto di contestazione era il rilievo giuridico che il provvedimento giudiziario invocato doveva avere in quel giudizio amministrativo.
 
     In particolare, il Consorzio aveva negato che la sentenza del Tribunale di Belluno – pur dichiarativa dell’illegittimità del certificato del Casellario – avesse provocato l’annullamento del medesimo certificato e, comunque, che tale dichiarata illegittimità potesse essergli opposta.
 
     Va, altresì, aggiunto che al provvedimento del Tribunale di Belluno aveva fatto ampio riferimento anche la sentenza del T.A.R. Lazio, n. 7484/2004, allora impugnata in appello, ma al limitato scopo di sminuirne il rilievo giuridico.
 
     Il TAR, difatti, aveva chiaramente predicato che la legittimità del provvedimento di esclusione traeva la sua origine dalla dichiarazione non veritiera presentata dalla società ricorrente: circostanza questa rispetto alla quale la decisione del Tribunale di Belluno non poteva produrre effetto alcuno.
 
     Appare allora evidente come, nel caso di specie, non essendovi contrasto sull’esistenza dei fatti, la questione si risolveva in una valutazione sul loro rilievo in punto di diritto.
 
     Allo stesso modo, la sentenza di cui si chiede la revocazione, dopo avere ricordato (punto 1 della motivazione) che l’art.75, comma 2, d.P.R. n.554/1999, configura, in via generale, una causa di esclusione automatica dalle procedure di affidamento degli appalti nei confronti di coloro che sono stati condannati, anche con una sentenza ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per un reato che incida sulla affidabilità morale e professionale, ha sottolineato (nel successivo punto 2 della motivazione, che, nella specie, l’appellante ha del tutto omesso di indicare nella autocertificazione la esistenza delle sentenze di patteggiamento, rendendosi per ciò solo, responsabile di dichiarazione non veritiera (essendo anche la sentenza patteggiata causa di esclusione) e tale fatto, da solo, concreta causa autonoma di esclusione dalla gara.
 
      La medesima sentenza, pur non essendovi obbligata, ha poi (punto 4 della motivazione) diffusamente spiegato le ragioni che, a suo avviso, comportavano la infondatezza della censura di illegittimità del rilascio alla stazione appaltante, da parte dell’Ufficio del casellario giudiziale di Padova, di certificato attestante le sentenze patteggiate a carico del presidente del consiglio di amministrazione, ribadendo che l’infondatezza di tale censura scaturiva, in primo luogo, per il carattere assorbente della legittimità della esclusione dovuta alla falsa dichiarazione>
 
Ma è altresì importante sapere che:
 
<la richiesta del certificato del casellario giudiziale da parte del Consorzio di Bonifica è stata determinata indubbiamente da finalità di controllo, finalità del tutto legittima, anzi doverosa posto che le amministrazioni sono tenute ad effettuare idonei controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000.>
 
a cura di *************
 
 
 
R E P U B B L I C A     I T A L I A N A
 
N.3750/2007
 
Reg. Dec.
 
N. 6715 Reg. Ric.
 
Anno 2006
 
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
 
DECISIONE
 
    sul ricorso per revocazione n. 6715 del 2006, proposto dalla società Edil Costruzioni srl, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dal ***** avv. ***************, nel cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Principessa Clotilde, n.2.
 
C O N T R O
 
     – Consorzio di Bonifica Bacchiglione Brenta, in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dall’avv. ************ e dal prof. avv. ***************, con domicilio in Roma, via Confalonieri, n. 5, presso lo studio del primo,
 
     – Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dalla Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è per legge domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n.12.
 
PER LA REVOCAZIONE
 
    della decisione di questo Consiglio di Stato (Sez. IV) 7 giugno 2005, n. 2933.
 
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
    Visto l’atto di costituzione in giudizio del Ministero della giustizia e del Consorzio di Bonifica Bacchiglione Brenta;
 
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
    Visti gli atti tutti della causa;
 
    Relatore alla pubblica udienza del 13 aprile 2007, il Consigliere ********************;
 
      Uditi l’avv. ******** per la società ricorrente, l’avv. ************ per il Consorzio e l’avv. dello Stato ******** per il Ministero;
 
      Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
 
F A T T O
      Il Consorzio di Bonifica Bacchiglione – Brenta, con sede in Padova, indisse una gara per i lavori di ripristino dei danni causati a seguito delle eccezionali avversità atmosferiche verificatesi nella prima decade di ottobre 1998 nell’ambito della provincia di Padova (appalto n. 9/2003)
 
      La EDIL COSTRUZIONI S.r.l., corrente in Sedico (BL), partecipò a tale gara, in esito alla quale risultò aggiudicataria provvisoria.
 
      La stazione appaltante, quindi, allo scopo di verificare il possesso, in capo a detta ******à, dei requisirti di partecipazione, tra cui quello ex art. 75, comma 1, lett. c) del DPR 21 dicembre 1999 n. 554, chiese ed ottenne dal Tribunale di Padova, Ufficio del casellario giudiziale, il certificato prot. n. 5513 del 22 luglio 2003, dal quale emerse l’esistenza a carico del sig. ******************, presidente del CDA della società aggiudicataria, di alcune decisioni di condanna penale, tra cui la sentenza del Pretore di Belluno, resa ex art. 444 c.p.p., in data 25 novembre 1996 per il reato di turbata libertà degli incanti (in concorso) e la sentenza del Tribunale di Belluno, resa sempre ex art. 444 c.p.p., in data 23 gennaio 2001 per il reato di falso ideologico in atti pubblici (in concorso).
 
      In relazione a tali risultanze, con nota prot. n. 6111 del 31 luglio 2003, il Consorzio comunicò alla EDIL COSTRUZIONI l’avvio del procedimento d’esclusione dalla gara, ai sensi degli artt. 8, della legge 11 febbraio 1994, n. 109 e 75, comma 1, lett. c) del DPR 21 dicembre 1999, n. 554. A tale nota la società replicò, contestandone la fondatezza.
 
      Quindi, con determinazione in data 28 agosto 2003, ratificata con deliberazione della Giunta n. 14 del 2 settembre 2003 e comunicata alla competente Autorità di vigilanza il giorno successivo, il Direttore del Consorzio, analiticamente confutando gli argomenti evidenziati dalla società, dispose la sua esclusione dalla gara e, con atto prot. n. 6666 del 4 settembre 2003, l’escussione della cauzione provvisoria.
 
      Contro il provvedimento di esclusione e tutti gli altri atti, analiticamente indicati, la società propose ricorso al TAR del Lazio, deducendo una serie di motivi, ritenuti infondati dal giudice adito, il quale, con sentenza 28 luglio 2004, n. 7484, respinse il gravame.
 
      Anche l’appello, proposto contro la sentenza del TAR, venne respinto da questo Consiglio di Stato con decisione (Sez. IV, 7 giugno 2005, n. 29339.
 
      Da qui il presente ricorso, con il quale la società chiede la revocazione della decisione da ultimo citata per errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4 c.p.c., e per contrasto di giudicati ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 5 c.p.c..
 
      Si sono costituti per resistere al ricorso per revocazione, il Consorzio e il Ministero della giustizia, i quali ne contestano l’ammissibilità e comunque la sua fondatezza.
 
      Il ricorso è stato trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 13 aprile 2007.
 
D I R I T T O
     1. L’errore di fatto revocatorio in cui sarebbe incorsa la decisione, di cui si chiede la revocazione, consisterebbe, in primo luogo, nell’avere presupposta l’inesistenza sia del provvedimento del Tribunale di Belluno 14 ottobre 2003, nonostante questo avesse dichiarato l’illegittimità del certificato rilasciato dall’Ufficio Locale del Casellario di Padova del 17 luglio 2003, n. 25468, per aver riportato l’indicazione di condanne di patteggiamento in violazione degli arti. 24 e 28 del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, recante il T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti, sia della sentenza della Cassazione 27 settembre 2004, n. 38033/04, regolarmente depositata nel proprio fascicolo in sede di giudizio di appello, che ha riconosciuto efficacia di giudicato alla citata sentenza del Tribunale di Belluno.
 
     L’indicato errore di fatto risulterebbe confermato anche dalla ricostruzione della vicenda effettuata nella decisione impugnata (pag. 3), laddove, pur dandosi atto dell’ esistenza del certificato del Casellario di Padova e di come questo sia stato utilizzato dalla Stazione appaltante per l’ esclusione dalla gara di appalto e per l’escussione della cauzione provvisoria, si presuppone che subito dopo l’esclusione sia stato proposto da parte della Edil Costruzione il ricorso al TAR Lazio e non sia mai stata proposta istanza di impugnazione del certificato dinanzi al Tribunale di Belluno con relativa declaratoria di illegittimità, cui ha fatto poi seguito la sentenza della Corte Suprema di Cassazione, depositata in data 26 gennaio 2005.
 
     L’omissione proprio di questo fatto fondamentale (intervenuta impugnazione del certificato del Casellario e sua dichiarazione di illegittimità) integrerebbe un palese errore di fatto circa l’esistenza delle decisioni del Tribunale di Belluno e della Cassazione, con conseguente totale divergenza tra fatti rappresentati nel fascicolo processuale e fatti rappresentati nella sentenza. Errore che appare con ancora più evidente per il fatto che la sentenza ha presupposto che l’appellante Edil Costruzioni abbia proposto le stesse censure di cui all’originario ricorso, senza differenze tra primo e secondo grado, senza tenere conto che nell’atto di appello, per la prima volta, si deduceva il giudicato formatosi sulla sentenza del Tribunale di Belluno per effetto della decisione della Cassazione avanti richiamata.
 
      Oltre ad avere presupposto l’inesistenza delle due decisioni prima indicate, la sentenza avrebbe omesso anche di considerare l’eccezione di giudicato che era stata opposta nel ricorso in appello e nella memoria del 21 febbraio 2005.
 
      Nè potrebbe sostenersi, ad avviso della ricorrente, che la questione relativa all’esistenza degli indicati atti giudiziari e, comunque, sulla portata delle due decisioni, del tribunale di Belluno e della Corte di Cassazione, ha costituito oggetto di controversia in sede di giudizio di appello; la decisione di cui si chiede la revocazione, difatti, non ha mai deciso in merito al deposito del documento del 26 gennaio 2005 (relativo alla sentenza della cassazione) nè mai vi è stata decisione sull’efficacia del giudicato. Da qui la conclusione che, nel caso di specie, non si potrebbe porre una questione di errata valutazione degli effetti delle sentenze citate e dell’eccezione di giudicato, per la decisiva ragione che la sentenza di questa Sezione, lungi dall’operare una loro valutazione, ha semplicemente presupposto la loro inesistenza, dando così luogo all’errore di fatto per “svista o abbaglio dei sensi”.
 
      Nessun dubbio, poi, ad avviso della Edil Costruzioni, sulla natura decisiva dell’errore, essendo evidente che, proprio grazie alla mancata considerazione degli atti più volte richiamati, non sono state accolte le censure dedotte con i motivi di appello 2, 3 e 4, tutti idonei, singolarmente ed autonomamente, a condurre all’annullamento degli aitti impugnati.
 
      2. Com’è noto, l’errore di fatto, il quale può dar luogo a revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., consiste nell’erronea percezione degli atti di causa che si sostanzia nella supposizione di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa oppure nella supposizione dell’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita.
 
      Peraltro, l’errore revocatorio è deducibile solo se il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza impugnata per revocazione abbia pronunciato e presuppone quindi il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti.
 
      Infine, l’errore di fatto deve essere decisivo, nel senso che l’erronea affermazione dell’esistenza di un fatto la cui realtà, invece, debba ritenersi positivamente esclusa in base al tenore degli atti o documenti di causa può costituire motivo di revocazione della sentenza ai sensi dell’art. 395, n. 4, Cod. proc. civ., solo se sussiste un rapporto di causalità necessaria fra l’erronea supposizione e la pronuncia in concreto resa dal giudice di merito, dovendosi invece escludere che tale mezzo di impugnazione possa essere utilizzato in relazione ad errori incidenti su fatti che, non decisivi in se stessi, devono essere valutati in un più ampio contesto probatorio, anche quando, nell’ambito appunto della globale valutazione degli elementi di prova, l’elemento pretermesso avrebbe potuto in concreto assumere un rilievo decisivo. (Cass. civ. Sez. lav. 28.8.1997, n. 8118).
 
      3. Facendo applicazione al caso di specie dei criteri ora enunciati, costantemente seguiti da questo Consiglio di Stato e recentemente ribaditi (Sez. IV, 26 aprile 2006, n. 2278; 28 febbraio 2005, n. 743), può agevolmente escludersi che la decisione di questa sezione 17 giugno 2005, n. 2933, integri la fattispecie dell’errore revocatorio ex art. 395, n. 4, CPC..
 
      La tesi di fondo della società ricorrente in revocazione è che il Tribunale di Belluno, con decisione 14 ottobre 2003, ha dichiarato l’illegittimità del certificato rilasciato dall’Ufficio Locale del Casellario di Padova del 17 luglio 2003, n. 25468, per aver riportato in violazione degli arti. 24 e 28 del D.P.R. 14 novembre 2002, n. 313, l’indicazione di condanne di patteggiamento, e che detta dichiarazione di illegittimità si è consolidata a seguito della sentenza della Cassazione 27 settembre 2004, n. 38033/04, che ha comportato l’efficacia di giudicato della citata sentenza del Tribunale di Belluno.
 
      Come esattamente osserva il Consorzio resistente, nel precedente grado di giudizio, nessuna delle parti aveva contestato l’esistenza del decreto del Tribunale di Belluno; ciò che, invece, ha costituito oggetto di contestazione era il rilievo giuridico che il provvedimento giudiziario invocato doveva avere in quel giudizio amministrativo.
 
     In particolare, il Consorzio aveva negato che la sentenza del Tribunale di Belluno – pur dichiarativa dell’illegittimità del certificato del Casellario – avesse provocato l’annullamento del medesimo certificato e, comunque, che tale dichiarata illegittimità potesse essergli opposta.
 
     Va, altresì, aggiunto che al provvedimento del Tribunale di Belluno aveva fatto ampio riferimento anche la sentenza del T.A.R. Lazio, n. 7484/2004, allora impugnata in appello, ma al limitato scopo di sminuirne il rilievo giuridico.
 
     Il TAR, difatti, aveva chiaramente predicato che la legittimità del provvedimento di esclusione traeva la sua origine dalla dichiarazione non veritiera presentata dalla società ricorrente: circostanza questa rispetto alla quale la decisione del Tribunale di Belluno non poteva produrre effetto alcuno.
 
     Appare allora evidente come, nel caso di specie, non essendovi contrasto sull’esistenza dei fatti, la questione si risolveva in una valutazione sul loro rilievo in punto di diritto.
 
     Allo stesso modo, la sentenza di cui si chiede la revocazione, dopo avere ricordato (punto 1 della motivazione) che l’art.75, comma 2, d.P.R. n.554/1999, configura, in via generale, una causa di esclusione automatica dalle procedure di affidamento degli appalti nei confronti di coloro che sono stati condannati, anche con una sentenza ai sensi dell’art. 444 c.p.p., per un reato che incida sulla affidabilità morale e professionale, ha sottolineato (nel successivo punto 2 della motivazione, che, nella specie, l’appellante ha del tutto omesso di indicare nella autocertificazione la esistenza delle sentenze di patteggiamento, rendendosi per ciò solo, responsabile di dichiarazione non veritiera (essendo anche la sentenza patteggiata causa di esclusione) e tale fatto, da solo, concreta causa autonoma di esclusione dalla gara.
 
      La medesima sentenza, pur non essendovi obbligata, ha poi (punto 4 della motivazione) diffusamente spiegato le ragioni che, a suo avviso, comportavano la infondatezza della censura di illegittimità del rilascio alla stazione appaltante, da parte dell’Ufficio del casellario giudiziale di Padova, di certificato attestante le sentenze patteggiate a carico del presidente del consiglio di amministrazione, ribadendo che l’infondatezza di tale censura scaturiva, in primo luogo, per il carattere assorbente della legittimità della esclusione dovuta alla falsa dichiarazione.
 
      Le considerazioni che precedono dimostrano che la tesi della ricorrente, secondo cui l’esistenza del decreto bellunese sarebbe stata ignorata dal Consiglio di Stato, è palesemente errata, perché non considera che la controversia ha avuto ad oggetto la legittimità o meno dell’esclusione disposta per dichiarazione non veritiera e, dunque, per la totale irrilevanza della decisione del Tribunale di Belluno.
 
     Decisione questa che come emerge dalla sua lettura, non ha mai dichiarato la giuridica inesistenza del certificato rilasciato, ma, al contrario, ha ammesso che la richiesta del certificato del casellario giudiziale da parte del Consorzio di Bonifica è stata determinata indubbiamente da finalità di controllo, finalità del tutto legittima, anzi doverosa posto che le amministrazioni sono tenute ad effettuare idonei controlli sulla veridicità delle dichiarazioni sostitutive di cui agli artt. 46 e 47 del D.P.R. n. 445 del 2000.
 
     Alla stregua delle considerazioni che precedono, si deve concludere nel senso che l’errore di fatto revocatorio ex art. 395, n. 4 CPC non sussiste.
 
     A conclusioni identiche deve pervenirsi in ordine alla prospettata sussistenza dell’ipotesi revocatoria contemplata all’art. 395, n. 5 CPC per asserito contrasto con precedente sentenza passata in giudicato.
 
     E’ sufficiente a disattendere tale tesi l’osservazione che il giudicato invocato, vale a dire la sentenza della Corte di Cassazione n. 38033 del 2004, non può avere autorità di cosa giudicata nei riguardi del Consorzio, che non è stato parte di quel giudizio, e, pertanto, non può essergli opposto.
 
      D’altronde, come esattamente rileva sul punto il Consorzio, il decreto del Tribunale di Belluno è stato pronunciato in un giudizio per il quale l’art. 666 c.p.p. contempla la partecipazione del solo Pubblico Ministero.
 
      In conclusione, il ricorso per revocazione deve essere dichiarato inammissibile.
 
      Le spese di giudizio seguono il principio della soccombenza e vanno poste a carico della società ricorrente nella misura liquidata in dispositivo.
 
P.Q.M.
 
      Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), pronunciando sul ricorso per revocazione in epigrafe specificato, lo dichiara inammissibile.
 
     Condanna la società ricorrente al pagamento in favore del Ministero e del Consorzio Bacchiglione Brenta delle spese del grado, che liquida complessivamente in €. 8.000,00 (ottomila), in ragione della metà per ciascuna delle parti resistenti, oltre, per entrambi, I.V.A. e C.P.A. se dovuti.
 
     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.
 
      Così deciso in Roma, 13 aprile 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sez. IV), riunito in Camera di Consiglio, con l’intervento dei signori
 
     ******* ******* Presidente
 
     **********   *********   Consigliere est.
 
     ********   ********   Consigliere
 
     *****    *******   Consigliere
 
     *********   ****** Consigliere
 
 
L’ESTENSORE    IL PRESIDENTE
 
Costantino   ********* ******* *******
 
IL SEGRETARIO
 
     *************
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
27 giugno 2007
 
(art. 55, L. 27.4.1982 n. 186)
 
     Il Dirigente
 
     **************
 
 
– – 
 
N.R.G. 6715/2006
 
 
 
TRG
 

Lazzini Sonia

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