Il licenziamento ad nutum nella giurisprudenza

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Nozioni generali

 

Prima di esaminare alcune delle pronunce che si sono occupate del c.d. licenziamento ad nutum nel nostro ordinamento, appare opportuno precisare cosa si intenda con tale termine e soprattutto se ed in quali casi è ammissibile tale licenziamento.

Nel nostro ordinamento il recesso da parte del datore di lavoro deve essere, come regola generale, sorretto da una giustificazione (giustificato motivo o giusta causa), mentre il recesso acausale o ad nutum (i.e. “ad un semplice cenno del capo”) costituisce un’eccezione.

Il codice civile, infatti, consente ai contraenti di recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato senza fornire alcuna motivazione (ad nutum) e senza motivazione di giusta causa , ma con l’unico vincolo del preavviso.

In seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 108/1990 al datore di lavoro è data la facoltà di licenziare il prestatore di lavoro senza comunicare la decisione per iscritto e senza motivarla (art. 2118 c.c.) solamente, però, nei confronti di soggetti particolari, ossia:

–         lavoratori domestici;

–         dirigenti (1);

–         atleti professionisti;

–         lavoratori assunti in prova;

–         lavoratori che hanno raggiunto l’età pensionabile

Il licenziamento ad nutum, nei casi in cui è ancora consentito, può essere esercitato solamente nei contratti di lavoro a tempo indeterminato.

Se il datore di lavoro intende risolvere ad nutum un contratto di lavoro a termine, è tenuto a risarcire i danni. 

 

 

Rassegna giurisprudenziale

 

Tribunale di Firenze –  30 marzo 2011 – Est. Santoni Rugiu 

L’art. 4 della L. 108/1990 esclude dall’area di operatività dell’art. 2 L. 604/1960 e delle relative formalità (obbligo di comunicazione dei motivi richiesti) le ipotesi di licenziamento ad nutum nelle quali rientra anche quello del prestatore di lavoro che abbia superato i sessanta anni di età e che sia in possesso dei requisiti pensionistici, sempre che non abbia optato per la prosecuzione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 6 del D.l. 791/1981, convertito in L. 541/1982. Conseguentemente il licenziamento intimato senza avere ottemperato all’obbligo di comunicazione dei motivi richiesti dal lavoratore è efficace.

 

Tribunale di Arezzo – est. De Renzis – 3 febbraio 2011 n. 85 

La pubblica amministrazione, a norma dell’art. 72 co.11 D.L. 122/08 conv. in L. 133/08, mod. dall’art. 6 co. 3 L. 15/09, sostituito dall’art. 17 co. 35 novies del D.L. 78/09, convertito in L. 102/09, ha la facoltà di recedere dal rapporto con il dipendente che ha raggiunto l’anzianità massima contributiva e/o di servizio.

La facoltà non esonera, tuttavia, l’ente dall’indicare puntualmente i criteri che giustificano il provvedimento espulsivo.

L’atto di recesso emesso in totale carenza di motivazione deve essere disapplicato con conseguente ricostituzione del rapporto e condanna dell’amministrazione al pagamento del risarcimento danni da determinarsi in misura pari alle retribuzioni non percepite.

 

 

Cass. civ. sez. Lav., 8 novembre 2005, n. 21673

La disciplina limitativa dei licenziamenti individuali non si applica alla figura del dirigente apicale, né, di conseguenza, si applicano le connesse garanzie procedurali previste dall’articolo 7 della legge 300/1970. La regola della licenziabilità ad nutum dei dirigenti, desumibile dall’articolo 10 della legge 604/1966, è applicabile solo al dirigente in posizione verticistica, che, nell’ambito dell’azienda, abbia un ruolo caratterizzato dall’ampiezza del potere gestorio, tanto da poter essere definito un vero e proprio alter ego dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o a un ramo o servizio di particolare rilevanza, in posizione di sostanziale autonomia, tale da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi. Ne consegue che anche l’esclusione delle connesse garanzie procedimentali di cui allo Statuto dei lavoratori vale solo per i dirigenti apicali e non per la media e bassa dirigenza, che sia legalmente ascrivibile alla categoria del personale direttivo (cosiddetti pseudo dirigenti o dirigenti meramente convenzionali).

 

 

Cass. Sez. Lav. 9 aprile 2003, n. 5526 

La figura del dirigente apicale, per giurisprudenza ormai costante, coincide con colui le cui effettive mansioni, nell’ambito dell’azienda, sono caratterizzate dall’ampiezza del potere gestorio tanto da poter essere definito un vero e proprio alter ego dell’imprenditore, in quanto preposto all’intera azienda o ad un ramo di particolare autonomia ed importanza, in posizione di sostanziale autonomia, sì da influenzare l’andamento e le scelte dell’attività aziendale, sia al suo interno che nei rapporti con i terzi.

 

Manuela Rinaldi   
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente nel corso di preparazione all’esame da avvocato c/o Tribunale di Avezzano organizzato dal COA di Avezzano unitamente alla  Fondazione Studi Giuridici “Cassinelli – Buccini”; Direttore Amministrativo Fondazione Studi Giuridici “Cassinelli – Buccini” c/o COA Avezzano

 

 

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(1) Ovviamente tale figura di recesso può essere applicata solamente ai dirigenti apicali, ma può presentare delle difficoltà quanto alla mancanza di motivazione da parte del datore di lavoro, attesa l’opportunità per il dirigente di impugnare per illegittimità il licenziamento

Rinaldi Manuela

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