Il giudicato amministrativo non vincola il giudice penale: un’interessante questione affrontata dal Tribunale del riesame di Lecce

Redazione 20/02/20
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Vicenda amministrativa

La vicenda ha inizio quando, nel corso del 2010, il Comune di Otranto presenta un progetto per la “riqualificazione del porto turistico di Otranto”, che prevedeva l’installazione di cinque pontili paralleli, oltre ad un ulteriore pontile di raccordo (tutti galleggianti, ancorati a corpi morti in calcestruzzo adagiati sul fondale, ai quali sono assicurati da catenarie), all’interno del preesistente porto, da destinare ai natanti da diporto a fini turistici. Il progetto veniva approvato, ma con la prescrizione di rimuovere i pontili galleggianti durante la stagione invernale, nel periodo compreso tra l’1 novembre e il 30 aprile, con facoltà di tenere installate le strutture, pertanto, per un periodo annuale massimo di sei mesi, dall’1 maggio al 31 ottobre.

Il procedimento penale ha avvio, in quanto, nonostante la compiuta realizzazione dei lavori, completati e collaudati nel 2016 (collaudo del 30/5/2016), il Comune di Otranto, che era onerato a farlo in base al progetto approvato, non ha mai rimosso i pontili galleggianti.

L’Amministrazione comunale si è invece attivata, sia in sede giurisdizionale amministrativa, al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità della prescrizione stagionale imposta dalla Soprintendenza, sia in sede amministrativa, presentando nuovi progetti che, con alcune modifiche ai pontili (non più galleggianti, ma fissati su pali e abbassati di cm. 20 rispetto al piano di calpestio attuale), avevano il fine ultimo di consentire la permanenza della struttura per l’intero anno, senza alcun obbligo di smontaggio e rimontaggio stagionale, in base a valutazioni di carattere tecnico, economico e anche paesaggistico-ambientale, relative alle controindicazioni presentate dalla necessità di provvedere, ogni anno, a montare e rimontare i pontili. Tuttavia, né in sede amministrativa né in sede giurisdizionale, il Comune riusciva ad ottenere provvedimenti favorevoli, atteso che i ricorsi presentati al Giudice amministrativo venivano, dopo essere stati accolti dal TAR Puglia, Sez. Lecce, in primo grado, rigettati dal Consiglio di Stato; mentre, la conferenza di servizi avviata per la realizzazione del nuovo progetto, a causa del persistente diniego della Soprintendenza alla permanenza annuale dei pontili, veniva bocciato, da ultimo, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, interessata della questione a seguito dell’opposizione presentata dalla stessa Soprintendenza rispetto alla decisione assunta dalla conferenza di servizi a maggioranza.

Un’ulteriore conferenza di servizi è stata successivamente avviata dal Comune di Otranto, sempre allo scopo di non essere costretto a rimuovere i pontili ogni anno, ma il relativo iter è ancora in corso di definizione.

Intanto, il Comune veniva attinto da alcune ordinanze delle altre Amministrazioni interessate alla realizzazione dell’opera, che intimavano la rimozione stagionale dei pontili, così come previsto dal progetto realizzato. Una di queste, emessa dalla Soprintendenza, veniva impugnata dall’Amministrazione comunale innanzi al Giudice amministrativo, ma, dopo un primo accoglimento del ricorso innanzi al TAR Puglia, Sez. Lecce, il ricorso veniva definitivamente rigettato dal Consiglio di Stato nel 2019 (seconda delle due sentenze del Consiglio di Stato cui si è sopra fatto riferimento). In particolare, le indagini espletate hanno evidenziato che il Comune di Otranto occupa l’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” nella zona della c.d. “Aia delle fabbriche” (corrispondente al fg. 45 p.lla 208 per la parte a terra e p.lla z per lo specchio acqueo corrispondente del N.C.T. del medesimo Comune) sin dall’anno 2011 e che sin dall’anno 2016 risulta aver installato sulle stesse dei pontili galleggianti, con sistemazione delle aree a terra (cfr. verbale di collaudo tecnico-amministrativo del 30/5/2016). In particolare, al fine di realizzare alcune opere di riqualificazione del porto turistico, il Comune di Otranto otteneva dal Compartimento Marittimo di Gallipoli la temporanea consegna in uso ai sensi dell’art. 34 del Cod. Nav. della suddetta area a mezzo di verbale n. 79/11 del 19/1/2011.

Va, altresì, evidenziato che il Provveditorato Interregionale per le Opere Pubbliche Puglia – Basilicata (nota prot. n. 0011849-08/11/2011) aveva, espresso, su richiesta della stessa Capitaneria di Porto di Gallipoli, il proprio nulla osta alla realizzazione delle opere, precisando che il medesimo non dispensava il Comune dall’acquisizione delle autorizzazioni “di competenza di altre Amministrazioni dello Stato interessate”. In questa ottica, lo stesso Comune aveva già richiesto e ottenuto, in sede di valutazione del progetto preliminare delle opere, il parere della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia (prot. n. 11391 del 29/11/2010). Detto parere prescriveva espressamente come condizione che “i pontili galleggianti vengano smontati al termine della stagione estiva, ossia che vengano installati per un massimo di sei mesi all’anno onde mitigare l’impatto paesaggistico e restituire l’integrità panoramica, nonché consentire interventi di manutenzione”. Lo stesso parere della Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici della Puglia veniva in seguito espressamente recepito in seno all’Autorizzazione paesaggistica n. 162/2011 rilasciata dal Comune di Otranto in data 21/10/2011. Quest’ultima stabilisce, infatti, nella parte dispositiva, “di concedere alla ditta Comune di Otranto per l’intervento in questione, l’Autorizzazione paesaggistica (….) alle condizioni e prescrizioni riportate nella nota prot. n. 11391 del 29/11/2010 della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia di Bari”. Successivamente, con nota prot. n. 11307 del 22 giugno 2016, il Comune di Otranto indirizzava alla Capitaneria di Porto di Gallipoli un’istanza “di riconsegna area demaniale con temporanea richiesta di utilizzo senza continuità dell’area e delle opere pubbliche realizzate ed istanza per presa in consegna area ex art. 34 del Cod. Nav.”.

In riscontro alla stessa il Compartimento Marittimo di Gallipoli, in data 21/7/2016, esprimeva il proprio “Nulla osta all’anticipata occupazione” ex art. 38 del Codice della Navigazione (prot. n. 19856). Quest’ultimo titolo abilitativo espressamente prevede come sua causa di revoca e/o decadenza l’“inadempienza degli obblighi derivanti dalla gestione delle opere in discorso o degli obblighi imposti dalle norme di legge o dai regolamenti vigenti nelle materie direttamente e/o di riflesso coinvolte”, specificando altresì che il suo rilascio “non esime codesta Civica Amministrazione dal richiedere ed ottenere i nulla-osta/autorizzazioni/permessi dagli Enti/organismi cui le leggi e/o i regolamenti demandino specifiche competenze nelle materie direttamente e/o di riflesso connesse al presente provvedimento”. In data 4/10/2016, il Comune di Otranto avanzava, con nota prot. n. 17659, istanza ex art. 146 del D.Lgs. 42/2004, chiedendo la “revisione della prescrizione” posta dalla Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia nel parere prot. n. 11391 del 29/11/2010, recepita dallo stesso Comune di Otranto in seno all’Autorizzazione Paesaggistica n. 162/2011, rilasciata con riguardo al progetto di riqualificazione del porto turistico e alla realizzazione degli ormeggi e della sistemazione delle aree a terra.

Detta istanza era volta, in particolare, ad ottenere la revoca della prescrizione dello smontaggio dei pontili galleggianti al termine dei sei mesi di stagione estiva. Più segnatamente l’Amministrazione comunale adduceva a sostegno della propria richiesta una serie di difficoltà di ordine tecnico e finanziario che avrebbero reso inopportuna l’operazione. A tale istanza dava riscontro, il 2/11/2016, una nota della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto (prot. n. 5809) che rigettava l’istanza di revisione, confermando “la condizione di stagionalità estiva (massimo sei mesi) dei pontili galleggianti” e richiamando le motivazioni già espresse nell’ambito del parere rilasciato nel 2010. Avverso tale rigetto, l’Amministrazione comunale proponeva impugnazione a mezzo di ricorso per motivi aggiunti nell’ambito del giudizio già incardinato dinanzi al TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, per l’annullamento di altro e diverso provvedimento espresso sulla medesima vicenda dalla Soprintendenza.

Il giudizio di merito di primo grado si concludeva con l’accoglimento del ricorso per motivi aggiunti proposto dal Comune di Otranto. Tuttavia, detta pronuncia veniva fatta oggetto di riforma da parte del Consiglio di Stato con sentenza n. 1431 del 6/3/2018. Rovesciando l’esito del giudizio di prime cure, il Supremo Consesso riconosceva la piena legittimità della nota prot. n. 5809 del 2/11/2016, sottolineando come le prospettate esigenze di natura economica e finanziaria non fossero in realtà “sopravvenute”, ma fossero da valutare da parte del Comune sin dalla redazione del progetto originario (che già prevedeva lo smontaggio periodico dei pontili). La stessa pronuncia evidenziava peraltro che, come era stato correttamente rilevato dalla Soprintendenza, “l’opera stabile che intende mantenere il Comune non ha più i requisiti di reversibilità e stagionalità, sicché il suo mantenimento in loco comporta l’alterazione permanente dell’integrità visiva e della cornice ambientale dei beni tutelati”. A fronte di siffatto dictum giudiziale, che aveva riconosciuto la piena legittimità della prescrizione di smontaggio in prossimità della scadenza della stagione estiva 2018, in data 17/9/2018, l’Ufficio Tecnico Comunale di Otranto procedeva, sulla scorta delle Delibere di Giunta Comunale n. 338 del 6/9/2018 e n. 343 del 12/9/2018, ad indire, con nota prot. n. 20311, una conferenza di servizi decisoria ex art. 14 e ss. della L. 241 del 1990 per la valutazione di un nuovo progetto che, con una riduzione di altezza di cm. 20, prevedeva il “mantenimento dei pontili galleggianti nel porto turistico di Otranto per i sei mesi restanti dell’anno”.

A detta conferenza prendeva parte la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto che ribadiva il proprio dissenso (vedasi nota prot. n. MIBAC — SABAP — LE 0020505 del 25/10/2018, di cui alla comunicazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Brindisi, Lecce e Taranto prot. n. 0020506 del 25/10/2018), precisando come le prescrizioni già poste dai precedenti pareri potessero essere soddisfatte “unicamente attraverso la rimozione stagionale dei pontili, ovvero in alternativa, con la totale eliminazione degli stessi”. Con la medesima nota la Soprintendenza intimava, ai sensi dell’art. 180 del D.Lgs. 42/2004, all’Amministrazione comunale di Otranto di procedere allo smontaggio dei pontili. Nonostante il dissenso espresso dalla Soprintendenza, in data 26/10/2018, la predetta conferenza di servizi si concludeva con una dichiarazione di “posizioni prevalenti favorevoli” al progetto di “riduzione altezza e mantenimento pontili galleggianti approdo turistico di Otranto nei restanti mesi dell’anno”. Avverso detta determinazione conclusiva veniva proposta dalla Soprintendenza, a mezzo nota prot. n. 21135 del 6/11/2018, opposizione ex art. 14 quinquies della L. 241/1990.

Con delibera del 20/5/2019, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, accoglieva l’opposizione, condividendo espressamente le motivazioni esposte dal Ministero per i beni e le attività culturali e ritenendo il mantenimento dei pontili per tutto l’anno “paesaggisticamente incompatibile”. Il Comune di Otranto proponeva impugnazione avverso la nota di prot. n. 20505 del 25/10/2018, con la quale la Soprintendenza aveva ordinato all’Amministrazione comunale di provvedere entro trenta giorni dalla notifica alla rimozione dei pontili, ottenendone in primo grado l’annullamento con sentenza del TAR Puglia, Sezione distaccata di Lecce, n. 34 del 12/1/2019. Il Consiglio di Stato, adito in grado di appello, riformava detta pronuncia. In particolare con sentenza, Sez. VI, n. 3042 del 9 maggio 2019, veniva stigmatizzata apertamente la condotta del Comune, il quale “ha voluto leggere riduttivamente il precetto giurisprudenziale [n.d.r. il dictum reso con la precedente sentenza n. 1431 del 2018] mettendo in ombra la chiarissima disposizione che censura in sé lo stabile mantenimento in loco”, con ciò riconoscendo la legittimità dell’Ordinanza emessa dalla Soprintendenza per l’esecuzione del giudicato mediante la rimozione dei pontili. Alle pronunce appena viste ha, da ultimo, fatto seguito la formulazione di ulteriori diffide allo smontaggio da parte di differenti soggetti istituzionali. Più segnatamente sono state inoltrate all’Amministrazione comunale le diffide dell’Ufficio Circondario Marittimo di Otranto del 10/10/2019 (prot. n. 0010722) e dell’Avvocatura Generale dello Stato di Roma (C.T. 28442/17 sez. 4^). In risposta, il Comune di Otranto, sulla scorta delle deliberazioni di Giunta comunale n. 380 del 16/10/2019 e n. 382 del 17/10/2019, ha indetto con nota del 17/10/2019 (prot. n. 21775) una nuova conferenza di servizi per l’autorizzazione al mantenimento dei pontili anche in periodo invernale, fissando per il 18/11/2019 lo svolgimento della prima riunione. Detta prima riunione si è conclusa con un rinvio dei lavori al prossimo 15/1/2020.

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Vicenda penale

Con atto del 21/11/2019, la Procura della Repubblica di Lecce chiedeva al GIP presso il medesimo Tribunale l’emissione di un decreto di sequestro preventivo dei pontili galleggianti e delle sistemazioni delle aree a terra installate dal Comune di Otranto sull’area demaniale marittima prospiciente il “bastione dei Pelasgi” zona c.d. “Aia delle fabbriche” contraddistinta al fg. 45 p.lla 208 (parte a terra) e p.lla z (specchio acqueo corrispondente) del N.C.T. del Comune di Otranto.

La sentenza sottesa, emessa dal Tribunale leccese, si sofferma su alcune questioni di estrema importanza, quali:

-La richiesta di sequestro preventivo;

-Il sindacato del giudice penale in presenza di un giudicato amministrativo;

-La disapplicazione della Legge Stabilità 2019.

La richiesta del sequestro preventivo

L’indagato non titolare del bene oggetto di sequestro preventivo, astrattamente legittimato a presentare richiesta di riesame del titolo cautelare ai sensi dell’art. 322 c.p.p., può proporre il gravame solo se vanta un interesse concreto ed attuale all’impugnazione, che deve corrispondere al risultato tipizzato dall’ordinamento per lo specifico schema procedimentale e che va individuato in quello alla restituzione della cosa come effetto del dissequestro.

Secondo questo filone interpretativo, “all’indagato è sempre riconosciuto l’interesse a proporre richiesta di riesame contro il sequestro indipendentemente dal fatto che i beni oggetto del provvedimento siano stati sottratti alla sua disponibilità o a quella di terzi” (cfr. Cass. pen., Sez. 3, n. 1052 del 06/03/1996 – dep. 26/04/1996, Mora, Rv. 204990 – 01; successivamente, nello stesso senso, Sez. 3, n. 10049 del 01/02/2005 – dep. 15/03/2005, Bonucci ed altro, Rv. 230853 – 01).

La medesima impostazione si rinviene anche in anni più recenti, atteso che, in tema di appello (ma con argomentazioni certamente estensibili all’istanza di riesame), la Suprema Corte ha affermato che “la persona sottoposta alle indagini nei cui confronti sia stato adottato un decreto di sequestro preventivo è legittimata a richiedere l’appello, ex art. 322-bis cod. proc. pen., di detto provvedimento anche se la cosa sequestrata sia di proprietà di terzi, non potendosi contestare l’interesse al gravame ogni qual volta venga in discussione la natura del reato o la qualificazione giuridica del fatto o comunque sia configurabile un’influenza sul procedimento penale” (cfr. Cass. pen., Sez. 4, n. 21724 del 20/04/2005 – dep. 08/06/2005, Ventrone, Rv. 231374 – 01).

Ancor più recentemente si è sostenuto che “l’interesse alla proposizione della richiesta di riesame di un provvedimento di sequestro preventivo sussiste in capo all’imputato (o indagato) pur quando il sequestro abbia ad oggetto beni intestati a terzi, perché l’interesse si misura sulla possibilità del dissequestro, a prescindere dalla spettanza del diritto alla restituzione dei beni” (cfr. Cass. pen., Sez. 2, n. 32977 del 14/06/2011 – dep. 01/09/2011, Chiriaco, Rv. 251091 – 01).

Il sindacato del giudice penale in presenza di un giudicato amministrativo

Rapporto esistente tra legge penale e regolamento amministrativo

Il problema del rapporto esistente tra legge penale e regolamento amministrativo nasce dal fatto che per alcuni la riserva di legge deve considerarsi assoluta, per cui non sarebbe ammissibile alcuna forma di intervento di una fonte subordinata.

Come e quanto punire sono attività interamente devolute al legislatore ai sensi dell’art. 70 Cost, pertanto, per i teorici assolutistici quindi non sarebbe mai ammesso.

Al contrario, secondo i teorici relativisti, dovrebbe, invece, considerarsi ammessa l’intervento da parte di una fonte subordinata. Alcuni esempio di quest’ultima corrente di pensiero riguardano la determinazione del tasso soglia nell’art. 633 c.p. e la materia degli stupefacenti, tale ipotesi integrano la norma penale con un contenuto squisitamente tecnico. Ulteriore esempio è dato dagli artt. 650 e 659 c.p., qualificate come norme penali in bianco a precetto incompleto.

La posizione mediana è risultata quella maggioritaria, la quale ha ritenuto che per quel riguarda l’intervento delle norme sub-legislative in materia penale, è ammesso l’intervento da parte di questi fonti a patto che queste fonti siano di sviluppo e trattino la materia.

Dobbiamo porci ora il problema se il giudice penale possa sindacare il provvedimento amministrativo.

Il potere di disapplicazione dell’atto amministrativo da parte del giudice penale

Nella nota sentenza Giordano della Suprema Corte, pubblicata il 13 gennaio 2005, n. 232. si legge: “il giudice penale può sindacare la legittimità di un atto amministrativo solo qualora la legittimità dell’atto si presenti, essa stessa, come elemento essenziale della fattispecie criminosa, ovvero quando l’atto amministrativo, per essere frutto di collusione tra amministratori e soggetti interessati, non possa essere oggettivamente riferito alla sfera del lecito giuridico (Sez. III, n. 673 del 20.1.1988, ud. 18 novembre 1987, Fortani, rv. 177439); — in materia edilizia il giudice deve controllare soltanto l’esistenza dell’atto concessorio, essendogli — viceversa — precluso il controllo della sua legittimità dell’atto, salvi i casi di collusione tra richiedente e autorità amministrativa (Sez. III, n. 2693 dell’1 marzo 1991, Sertorelli, rv. 186505); — il reato di costruzione in assenza di concessione non è configurabile quando la concessione rilasciata sia soltanto illegittima, ma non illecita (Sez. III, n. 3459 del 23.1.1995, De Nobili, rv. 201225); — il reato di cui all’art. 20 lett. c) legge 47/1985 postula che le opere siano realizzate in assenza di concessione edilizia: il che si verifica anche quando l’atto amministrativo sia privo di uno dei suoi requisiti essenziali (forma, volontà, contenuto), oppure provenga da organo assolutamente privo del potere di adottarlo, ovvero sia frutto di attività criminosa del titolare del potere; non si verifica invece quando è viziato il procedimento amministrativo che ha preceduto il provvedimento, e cioè il modo in cui il potere è stato esercitato, giacché in tal caso il difetto non attiene all’esistenza dell’atto ma alla sua legittimità (Sez. VI, n. 2378 del 31.8.1995, P.M. e Barillaro, rv. 202581). […] Da ultimo alcune sentenze hanno sostenuto in genere che l’illegittimità dell’atto amministrativo può essere sindacata in via incidentale dal giudice penale solo se sia “macroscopica” (ex plurimis Sez. III, n. 4421 del 3.5.1996, ud. 24.1.1996, Oberto, rv. 204885) o “eclatante” (Sez. III, n. 11988 del 23.12.1997, Controzzi, rv. 209194), in tal modo introducendo un nuovo parametro di controllo di tipo più « quantitativo » che « qualitativo ”.

Mentre la Giurisprudenza ha escluso che il potere di disapplicazione di un provvedimento amministrativo in malam partem sia esperibile nel processo penale, la dottrina ha ravvisato molte ipotesi in cui i giudici hanno esperito tale potere.

La disapplicazione in malam partem si ha quando, eliminando gli effetti di un provvedimento amministrativo, si restringe la sfera del lecito giuridico in capo ad un determinato individuo, cosicché ciò che prima era permesso in virtù dell’atto, diviene penalmente sanzionabile.

La giurisprudenza ha teso a negare l’esperibilità della disapplicazione in malam partem. La giurisprudenza ha stabilito che si non può procedere alla disapplicazione salvo che: 1) il provvedimento derivi da condotte fraudolente dei soggetti coinvolti, tanto che essi stessi possano essere a conoscenza dell’illiceità dell’atto; 2) il provvedimento contenga delle violazioni di legge macroscopiche o eclatanti. 

Il giudicato amministrativo non vincola il Giudice penale

Sul punto il Tribunale ha ritenuto che:” tali presupposti possono essere individuati in quattro profili di identità. In particolare, affinché una sentenza amministrativa, che ha deciso una questione dalla cui risoluzione dipenda in tutto o in parte l’esito del procedimento penale, esplichi efficacia di giudicato nel giudizio penale, è necessario riscontrare una medesimezza:

1) Oggettiva: la sentenza definitiva pronunciata in sede giurisdizionale amministrativa deve aver avuto ad oggetto esattamente il medesimo provvedimento amministrativo che viene in rilievo nel giudizio penale o un provvedimento meramente confermativo dello stesso, non precedentemente e tempestivamente impugnato;

2) Soggettiva: il procedimento penale deve riguardare lo stesso soggetto giuridico che ha impugnato il provvedimento della Pubblica Amministrazione innanzi al Giudice amministrativo;

3) Devolutiva: il giudicato amministrativo vincola il Giudice penale solo in relazione agli specifici profili di illegittimità dedotti innanzi al Giudice amministrativo; il giudicato amministrativo in sede penale copre, dunque, solo il dedotto, ma non il deducibile; nessuna efficacia vincolante, inoltre, può essere riconosciuta a sentenze che si siano pronunciate solo su questioni formali, senza entrare nel merito della legittimità del provvedimento;

4) Probatoria: il Giudice penale deve essere chiamato a decidere sulla base degli stessi elementi istruttori addotti nel precedente giudizio amministrativo; in tal modo viene pienamente soddisfatta la preoccupazione espressa dall’orientamento giurisprudenziale che non riconosce alcuna efficacia vincolante al giudicato amministrativo a causa delle “asimmetrie” esistenti in materia di prova tra giudizio amministrativo e giudizio penale; così come risulta soddisfatta la condizione imposta dal codice di rito nelle disposizioni che disciplinano, in materia di decisioni assunte, i rapporti tra processo penale e processo extrapenale (art. 479 comma 1 c.p.p.: “se la legge non pone limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”; art. 654 comma 1 c.p.p.: “purché la legge civile non ponga limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa”); il giudicato amministrativo, dunque, è superabile in sede penale, sia alla luce di nuove prove precedentemente non valutate dal Giudice amministrativo, sia in base ad elementi istruttori preesistenti, ma non presi in considerazione nel giudizio extrapenale.

Come si può rilevare, in conclusione, il varco di trasferibilità del giudicato amministrativo in sede penale, con valenza preclusiva per il Giudice penale, risulta abbastanza stretto, tuttavia, se, in presenza delle stringenti condizioni suindicate, si consentisse al Giudice penale di adottare una decisione in patente contrasto con il giudicato amministrativo, risulterebbero vulnerati i principi di certezza del diritto e di affidamento dei cittadini nelle decisioni dell’Autorità giudiziaria, rimettendo in discussione, anche a distanza di diversi anni, assetti giuridici consolidati, con l’instaurazione di un procedimento penale il cui esito dipende dal sindacato sull’atto amministrativo già “giudicato” dal suo Giudice naturale (art. 25 comma 1 Cost.).

Tanto più alla luce delle peculiarità di un processo, quello amministrativo, di natura essenzialmente (nella stragrande maggioranza dei casi) “cartolare”, in cui il Giudice non è chiamato ad effettuare una “ricostruzione storica” di accadimenti succedutisi nel tempo, magari in base a prove dichiarative di cui va riscontrata l’attendibilità, bensì a valutare la rispondenza ai dettami normativi di specifici atti amministrativi, in base ai motivi di illegittimità devoluti alla sua cognizione con l’atto di gravame. “

La disapplicazione della Legge Stabilità 2019

L’art. 1 comma 246 della L. 145/2018 (Legge di Stabilità 2019), che consente ai concessionari di aree demaniali marittime di mantenere installati i manufatti amovibili per l’intero anno fino al 31/12/2020, deve essere disapplicato dal Giudice nazionale (e dalla Pubblica Amministrazione) in quanto in contrasto con l’art. 12 paragrafo 2 della Direttiva 2006/123/CE, emanata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento e dal Consiglio europeo (cd. “Direttiva Bolkestein”), atteso che la disposizione si inserisce all’interno di un sistema di proroghe automatiche e generalizzate ex lege delle concessioni demaniali e riconosce un “vantaggio” ai concessionari uscenti.

Si approfondisca la tematica:”La problematica legata alle concessioni marittime”

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