Il figlio naturale

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Nel diritto di famiglia l’espressione figlio naturale indicava una persona nata da due genitori non sposati tra loro.

Questa definizione è stata superata con la legge 219/2012 e il decreto legislativo 154/2013, che agisce in modo esclusivo in relazione alla costituzione legale del rapporto di filiazione, distinguendo in figlio nato nel matrimonio e figlio nato fuori dal matrimonio ai fini delle diverse modalità di attestazione del rapporto di filiazione.

Le origini

La riforma del diritto di famiglia fu varata dopo l’introduzione, nel 1970, dell’istituto del divorzio, la quale legge istitutiva era stata inutilmente sottoposta al referendum abrogativo del 1974.

La riforma portò al superamento della disparità di accesso all’eredità alla morte del padre.

Il vecchio codice civile del 1942, agli articoli 574-582, pur riconoscendo titolo alla successione dei figli nati fuori dal matrimonio, riconosceva a questi  la metà dell’ammontare del patrimonio che spettava ai figli legittimi, permetteva a questi ultimi la facoltà di liquidare in denaro o in beni a loro scelta la quota che spettava ai loro fratelli illegittimi e garantiva loro l’intero asse ereditario se non c’era concorrenza con altri figli o con il coniuge superstite. I

Il nuovo diritto di famiglia riconobbe la pari dignità nella successione indipendentemente dallo status di figlio naturale o legittimo.

La differenza di status era relativa alla costituzione di obblighi della coppia.

Nel caso di figlio naturale, ognuno dei due genitori era obbligato in modo individuale verso il proprio figlio.

Nel caso di coppia sposata il rapporto di filiazione si costituiva in solido tra la coppia e il figlio.

Nel 2012 e a seguire nel 2013, sono cadute le distinzioni tra le tipologie di figli, e c’è piena equiparazione tra discendenti naturali, legittimi e adottivi, le uniche distinzioni, esclsusivamente a determinati fini non successori, sono tra figlio nato nel matrimonio e fuori del matrimonio.

Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio

Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è una dichiarazione unilaterale di scienza con la quale una persona dichiara di essere padre o madre di un’altra persona.

Sulla base di questo atto irrevocabile si forma l’atto di nascita.

Se sia presente un riconoscimento, occorrerà prima fare cadere la legittimità, con un’azione di contestazione della legittimità e poi fare il riconoscimento.

Il riconoscimento di figli incestuosi è ammesso previa autorizzazione del tribunale, per il riconoscimento dei figli incestuosi minorenni è competente il tribunale per i minorenni

Il figlio incestuoso può agire in ogni caso per ottenere il mantenimento, l’istruzione o l’educazione e, se maggiorenne, e in stato di bisogno, gli alimenti.

Per riconoscere un figlio nato fuori del matrimonio sono necessari 16 anni di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio (art. 250, ultimo comma c.c.). Prima di questo momento il figlio verrà affidato ad altre persone.

Se il riconoscimento non avvenga contemporaneamente alla nascita, ma tardivamente, vale  a dire, con un testamento o una dichiarazione apposita ricevuta da parte dell’ufficiale dello stato civile o dal giudice tutelare o dal notaio) e il figlio abbia compiuto 14 anni sarà necessario anche il suo consenso, se minore di 14 anni è necessario il consenso dell’altro genitore.

La mancanza di consenso può essere superata da un provvedimento del giudice che autorizzi il riconoscimento se nell’interesse del minore.

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La dichiarazione giudiziale di paternità e maternità

Da quando la Corte Costituzionale con la sentenza n. 50/2006 ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 274 del Codice Civile, il riconoscimento non è più un atto discrezionale del genitore naturale, ma è possibile costituire un rapporto giuridico di filiazione anche contro la volontà del genitore naturale che non riconosce il figlio.

Il figlio ha diritto di vedere costituito il proprio rapporto di filiazione portando la prova biologica sulla paternità o maternità in giudizio.

L’articolo 274 del codice civile prevedeva che fosse necessario valutare l’ammissibilità dell’azione in giudizio (fumus boni iuris) nonché valutare se il riconoscimento andasse a beneficio del figlio. Dopodiché la sentenza poteva essere impugnata sino all’ultimo grado di giudizio.

Questo comportava una durata molto lunga del caso, impedendo al figlio di vedere soddisfatto il suo diritto.

Il genitore, che la dichiarazione giudiziale ha decretato come tale, dovrà essere costretto a pagare ex tunc gli arretrati per mantenere il figlio.

Per la dichiarazione di paternità occorre la certezza della prova, restando l’onere della prova alla madre o figlio ricorrenti.

L’uomo può rifiutare, senza obbligo di motivazione o giusta causa il test, senza conseguenze legali (civili o penali) o nell’esito del procedimento di accertamento della paternità, anche nelle forme non invasive e prive di possibili effetti collaterali sulla salute. Tuttavia il giudice può tenere conto del rifiuto, valutandolo a carico dell’uomo.

Anche in presenza di un rifiuto del test che potrebbe essere valutata da alcuni come un’implicita ammissione della paternità, esistendo questo diritto al rifiuto, tecnicamente le dichiarazioni della donna sulla paternità del figlio hanno pari rilevanza processuale di quelle dell’uomo su possibili relazioni della donna con terzi, o che negano rapporti sessuali completi e quindi la possibilità del fatto contestato.

Con dichiarazioni contrastanti, senza testimoni o altri riscontri probatori maggiori (come il test del DNA), non è possibile l’accertamento della paternità per insufficienza di prove.

Tenuto conto della oggettiva difficoltà a reperire prove per l’accertamento di paternità, la giurisprudenza valuta ai fini probatori anche la condotta delle parti durante il procedimento, non solamente quella relativa al periodo della relazione-concepimento. La Cassazione ha stabilito che il rifiuto non motivato del test del DNA, poco costoso, non invasivo e privo di conseguenze sulla salute, può essere valutata dal giudice come prova per la declaratoria di paternità.

La legge 219/2012 (art. 1, comma 1, c) dispone la ridefinizione della disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione, prevedendo che la filiazione fuori del matrimonio possa essere giudizialmente accertata con ogni mezzo idoneo.

Limiti e casi particolari

Il figlio nato fuori del matrimonio da persona unita in matrimonio (figlio adulterino) non può essere immesso nella casa familiare se non con autorizzazione del giudice che può concederla) se sussiste il consenso del coniuge convivente e dei figli nati nel matrimonio con più di 16 anni e il consenso dell’altro genitore naturale, e se ritiene ingiustificato il mancato consenso dei figli (articolo 252 c.c.).

 

Il figlio incestuoso può essere riconosciuto se c’è un giudizio preliminare di conformità del riconoscimento al suo interesse (art. 251 c.c.).

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Dott.ssa Concas Alessandra

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