Il factoring. Disciplina applicabile e causa del contratto

Emanuela Zito 29/05/20
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 Il contratto di factoring. Nozioni preliminari

Il factoring è un contratto atipico complesso in base al quale un soggetto (denominato “cedente” o “fornitore”) si impegna a cedere tutti i propri crediti, presenti e futuri, derivati o derivanti dall’esercizio dell’impresa, ad un altro soggetto (denominato “factor”), affinché li gestisca e ne curi la riscossione dietro corrispettivo consistente in una commissione sui crediti ceduti. Il più delle volte, il contratto di factoring è caratterizzato dalle cd. “anticipazioni” versate dal factor al fornitore. In tal modo, le parti prevedono che una parte dell’ammontare dei crediti ceduti sia anticipata rispetto alla loro scadenza.

La cessione dei crediti, invero, non rappresenta il fine dell’accordo, quanto piuttosto lo strumento attraverso il quale è possibile l’erogazione da parte del factor di servizi aventi vario contenuto. Tali servizi, infatti, possono andare dalla contabilizzazione, alla gestione, alla riscossione dei crediti, sino alla garanzia dell’eventuale insolvenza dei debitori, dunque, al finanziamento del fornitore sia attraverso la concessione di prestiti, sia attraverso il pagamento anticipato dei crediti ceduti.

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 Factoring “pro soluto” e “pro solvendo”.

La cessione, avente ruolo centrale nel contratto di factoring, può avvenire in due modi:

  • pro soluto, quando il factor assume il rischio del mancato pagamento dei crediti ceduti e, in caso di inadempimento del debitore ceduto, non potrà richiedere la restituzione degli anticipi versati al fornitore;
  • pro solvendo, quando il factor lascia al fornitore il rischio dell’eventuale insolvenza dei crediti ceduti e, dunque, prevedendo che in caso di inadempimento del debitore ceduto risponderà il cedente.

Già da tali prime battute, invero, risulta evidente che le anticipazioni offerte dal factor in favore del fornitore hanno una funzione di finanziamento, mentre l’assunzione del rischio di insolvenza risponde a funzioni latamente assicurative. Per prassi, comunque, l’assunzione è collegata alla preventiva approvazione, sul piano oggettivo, delle operazioni che il fornitore intende compiere e, sul piano soggettivo, della persona del cliente con cui costui intende contrattare. In tal modo, il factor finisce per incidere notevolmente sull’autonomia gestionale dell’imprenditore che, in certa misura, è controllato e condizionato dall’esterno. Per evitare ciò, piuttosto che un controllo sulle operazioni del fornitore e sui soggetti, la pratica conosce un’altra forma di controllo da parte del factor, meno invasiva, che si esercita solo sul credito. Egli, infatti, non è obbligato a rendersi cessionario di tutti i crediti e, dunque, accetterà la cessione solamente di quelli vantati nei confronti dei debitori che reputa solvibili[1].

 

Funzioni del factoring. Anticipazioni e compenso.

Un’impresa che produce beni o servizi e fornisce dunque altre imprese, difficilmente contrae con pagamento immediato del prezzo, piuttosto essa accetta dilazioni di pagamento e diviene titolare di crediti non esigibili, cioè a termine. Può, allora, rivolgersi ad un’impresa di factoring per la gestione di tali crediti e per la loro riscossione al momento della scadenza. Il factor agisce in proprio nome e, al tal fine, si rende cessionario dei crediti dell’impresa fornitrice. La cessione, invero, è un momento solo strumentale del contratto, in quanto finalizzata alla gestione dei rapporti creditizi. Fornitore e factor raggiungono, però, anche altri accordi. Talvolta per la consulenza commerciale e di mercato, tal altra per l’incasso anche di crediti non ceduti. Spesso sulle dianzi menzionate anticipazioni sui crediti e sull’assunzione da parte del factor del rischio derivante da inadempienze dei debitori ceduti.

Dunque, il factor, lungi dall’essere un semplice cessionario di crediti, può svolgere varie funzioni:

  • Una funzione di gestione, in quanto amministra i crediti curandone la riscossione anche ricorrendo alla esecuzione forzata.
  • Una funzione di finanziamento, quando anticipa all’imprenditore l’importo dei crediti acquistati, finanziando l’impresa stessa attraverso un’atipica operazione di sconto[2]. Nella prassi, il modello contrattuale più diffuso è proprio quello del factoring con pagamento anticipato del corrispettivo. Di solito, su richiesta del fornitore, il factor potrà pagare, in tutto o in parte, i corrispettivi dovuti per i crediti ceduti, anche prima dell’incasso effettivo degli stessi.
  • Una funzione di assicurazione, quando il factor acquista il credito pro soluto[3]. Infatti, se il fornitore non presta la garanzia del pagamento dei crediti ceduti, il factor assumerà il rischio correlativo, onde il contratto svolgerà anche una funzione assicurativa.

 

La legge n. 52 del 1991 e la persistente “atipicità” del contratto

Il contratto di factoring è un modello contrattuale di derivazione anglosassone, affacciatosi in Italia alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. L’affermarsi dell’operazione sul mercato e l’assunzione di una propria autonomia strutturale e funzionale rispetto ad altri contratti già noti, come lo sconto bancario (art. 1858 cod. civ.) e l’assicurazione dei crediti (art. 1882 cod. civ.), induce il legislatore ad intervenire con la legge 21 febbraio 1991, n. 52. Invero, nonostante la normativa dei primi anni Novanta, il factoring resta un contratto non pienamente tipizzato. La legge n. 52, infatti, si limita a disciplinare il nucleo centrale dell’operazione, costituito dalla cessione dei crediti, creando una sorta di sotto-disciplina rispetto a quella offerta dagli artt. 1260 e ss. del codice civile.

Il contratto di factoring si è diffuso nella pratica commerciale italiana secondo caratteri che lo differenziano dal modello anglosassone[4] e, seppure non legalmente tipizzato, munito di una adeguata “tipicità sociale”, favorita dal fatto che nel mercato nazionale l’attività di factoring è esercitata da poche decine di operatori forniti di elevate competenze, i quali propongono ai loro clienti testi negoziali sufficientemente precisi ed analitici, aventi condizioni contrattuali sostanzialmente uniformi nella prassi e corrispondenti al modello predisposto dalla associazione di categoria Assifact[5] – Associazione Italiana per il Factoring.

Del factoring, invero, si trova menzione anche nel t.u.b. che lo include fra le operazioni di prestito ammesse al «mutuo riconoscimento» ex art. 1, comma 1, lett. f); e, inoltre, le operazioni di factoring poste in essere da banche e intermediari finanziari sono sottoposte anche agli artt. 115 ss., t.u.b.

Occorre rilevare, infine, che ai contratti di factoring aventi ad oggetto crediti nascenti da vendite di merci tra contraenti che abbiano la loro sede di affari in Stati diversi, si applica la disciplina – per lo più derogabile – rinvenibile nella Convenzione UNIDROIT sul factoring internazionale, firmata ad Ottawa il 28 maggio 1988, cui l’Italia ha dato esecuzione con la legge 14 luglio 1993, n. 260[6]. L’Italia non ha, invece, ratificato la “Convenzione delle Nazioni Unite sulla cessione dei crediti nel commercio internazionale”, firmata a New York il 12 dicembre 2001.

Prima di passare al vaglio le singole disposizioni più rilevanti che compongono la l. n. 52/1991, occorre premettere che la stessa legge sembra presupporre talune clausole proprio del modello contrattuale socialmente diffuso e, principalmente, interviene per derogare alle norme del codice civile e della legge fallimentare[7].

 

L’art. 1

La l. n. 52 del 1991 è intitolata «Disciplina della cessione dei crediti di impresa» e al suo art. 1 delimita il proprio ambito di applicazione dal punto di vista soggettivo ed oggettivo. In particolare:

  • Ambito applicativo soggettivo: il cedente dell’operazione deve essere, per espressa disposizione, un imprenditore; invece, il cessionario può essere solo una banca o un intermediario finanziario disciplinato dal t.u.b., il cui oggetto sociale preveda l’esercizio dell’attività di acquisto dei crediti di impresa.
  • Ambito applicativo oggettivo: la legge si applica alle cessioni di crediti pecuniari originati da contratti stipulati nell’esercizio dell’attività d’impresa.

Occorre, a questo punto, precisare che se anche sotto il disposto dell’art. 1 può assumere la posizione di factor solo una banca o un intermediario finanziario, ovviamente, ciò non esclude che possano esservi anche factor “indipendenti” che, cioè, non fanno capo al settore bancario ai quali, tuttavia, non si applica la disciplina di favore offerta dal legislatore con la l. n. 52/1991. In forza del secondo comma dell’art. 1, per quelle operazioni in cui manchi uno degli elementi soggettivi o oggettivi individuati, resta salva l’applicazione della disciplina codicistica della cessione dei crediti.

 

L’art. 3

Il factoring si atteggia diversamente, a seconda che le parti concordino la cessione di singoli crediti o di una pluralità (di una massa) di crediti, la cessione di crediti già esistenti o di crediti futuri. Queste varianti (e le relative combinazioni) trovano riscontro nell’art. 3, comma 2, l. n. 52/1991, il quale prevede che i crediti possono essere ceduti “anche in massa”, e che può trattarsi tanto di crediti esistenti, quanto di crediti futuri.

È chiaro, dunque, già dalle prime disposizioni della normativa speciale, che i contratti di factoring possono articolarsi secondo diverse modalità. Uno dei motivi è che i fornitori hanno talvolta rapporti commerciali con clienti occasionali o, comunque, non preventivamente individuabili e, altre volte, rapporti con clienti stabili, nei confronti dei quali è prevedibile che sorgano ripetute ragioni di credito.

Da ciò, la ratio dell’art. 3 in quanto, con riguardo ai clienti occasionali, factor e fornitore pongono in essere cessioni, singolari o plurime, di crediti già esistenti, mentre in relazione ai clienti stabili concordano la cessione in massa di crediti futuri. A tal proposito, vincolarsi anticipatamente, ossia prima che i crediti vengano ad esistenza, risulta conveniente ad entrambi i contraenti, tale anticipazione, infatti, giova al fornitore che compie una scelta organizzativa duratura quando, cedendo i crediti futuri, ne affida ad altri la gestione e, al factor, in quanto, dal canto suo, acquisisce stabilmente quegli affari.

Formano una “massa” i crediti che il fornitore vanta verso lo stesso debitore. Tanto si evince dall’art. 3, comma 4, in forza del quale «la cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato anche con riferimento a crediti futuri se è indicato il debitore ceduto». Dunque, all’interno di ogni rapporto di factoring sono cedute tante masse di crediti quanti sono i debitori segnalati dal fornitore al factor e da quest’ultimo accettati.

L’art. 3 indubbiamente introduce uno dei profili di maggiore novità dell’operazione e anche di maggiore apprezzamento da parte degli operatori[8], derogando alla disciplina codicistica della cessione dei crediti futuri. Mentre, infatti, ai sensi dell’art. 1472 cod. civ. nella vendita di cose future «l’acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza», l’art. 2 della legge n. 52 fissa un principio nuovo: è possibile cedere anche crediti futuri, prima che siano stati stipulati i contratti dai quali si origineranno, e tale cessione avrà efficacia reale, cioè determinerà ai sensi dell’art. 1376 cod. civ. l’immediato trasferimento del diritto di proprietà, come se la cessione avesse «oggetto determinato», se è indicato il debitore e i contratti fonte dei crediti siano stipulati in un periodo di due anni. Ciò significa che, “notificato” il contratto di factoring al debitore, non sarà poi necessario comunicargli per ogni credito che sorge nei successivi 24 mesi che deve pagare al cessionario e non più al cedente. L’onere della notifica al debitore è stato assolto con la comunicazione fattagli riguardo al contratto di factoring.

Il codice civile non stabilisce come opporre ai terzi la cessione di una massa di crediti, giacché l’art. 1264 cod. civ. si riferisce soltanto alla notifica ed alla accettazione di cessioni singolari. Ciò comporta che – in forza di questa norma – non sarebbe possibile rendere efficace nei confronti del debitore ceduto la cessione di una massa di crediti esistenti, se non notificando (sia pure congiuntamente) la cessione di ciascuno di essi. A maggior ragione, l’art. 1264 cod. civ. non consentirebbe la notifica della cessione di una massa di crediti futuri. Dunque, su tale assetto normativo interviene l’art. 3 della l. n. 52/91, ai sensi del quale «i crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno». La disposizione viene introdotta all’interno di una normativa che, come detto, intende agevolare l’attività di factoring e, a tal fine, consente di notificare o di accettare la cessione di una massa di crediti, esistenti o futuri, con ciò intendendo anche rendere la cessione opponibile al ceduto prima ancora che i singoli crediti sorgano. Dunque, regolando la cessione in massa di crediti futuri, il legislatore ha consentito, con ciò stesso, che – ai sensi dell’art. 1264 cod. civ. – essa sia resa opponibile al ceduto la cessione dei crediti che sorgeranno nel biennio in corso mediante notifica o accettazione dell’operazione originaria.

 

L’art. 4

L’art. 4 prevede che il cedente garantisce, nei limiti del corrispettivo, la solvenza del debitore, sempre che il cessionario non abbia rinunciato, in tutto o in parte, alla garanzia.

La norma, dunque, capovolge il principio recato dall’art. 1267, comma 1, cod. civ., ai sensi della quale, salvo che non sia previsto diversamente, «il cedente non risponde della solvenza del debitore». Per converso, la legge speciale prevede che il regime ordinario sia quello per cui il cedente garantisce l’adempimento del debitore, salvo che il cessionario vi rinunci. In altri termini, se per il codice civile la cessione di crediti è ordinariamente “pro soluto”, per il legislatore speciale il factoring è ordinariamente pro solvendo[9].

 

L’art. 5

L’art. 5 disciplina l’efficacia della cessione del singolo credito nei confronti dei terzi diversi dal debitore ceduto[10]. Ai sensi di questa norma, perché la cessione sia opponibile agli altri aventi causa del cedente, al creditore del cedente e al fallimento del cedente, è sufficiente che il factor paghi tempestivamente in tutto o in parte il corrispettivo della cessione, purché il pagamento abbia data certa. Vengono così ad essere istituite tecniche alternative agli artt. 1265 e 2914, n. 2, cod. civ. e art. 45 l.fall., ai sensi dei quali sarebbe necessaria la tempestiva notifica o l’accettazione della cessione[11].

Le scelte operate dal legislatore e confluite negli arttt. 3 e 5 della presente normativa sono tra loro collegate. Il conflitto tra il factor cessionario ed i terzi è risolto dall’art. 5 con lo speciale criterio del pagamento del singolo credito, e non con il consueto criterio della notifica, perché l’art. 3 della legge speciale ha consentito che factor e fornitore convengano la cessione in massa di crediti futuri e che la cessione sia resa opponibile al ceduto mediante la notifica della cessione in massa (e non necessariamente mediante notifica della cessione di ciascun credito). Se così non fosse e se, quindi, il factor avesse ancora l’onere di procedere alle singole notifiche per rendere la cessione opponibile al ceduto, a ben poco gli gioverebbe la norma che, al fine di rendere la cessione opponibile ai terzi diversi dal ceduto, sostituisce la notifica con il pagamento.

In linea con una legislazione speciale di favore rispetto alle operazioni di factoring, dunque, il legislatore del ’91 ha ritenuto che sarebbe stato eccessivo continuare ad imporre al factor di effettuare singole notifiche per prevalere sui terzi. Ha così escogitato il criterio della anteriorità del pagamento.

Dunque, l’art. 5 si preoccupa di risolvere in qualche modo il problema delle modalità di comunicazione dell’avvenuta cessione al debitore, con riguardo alla efficacia della cessione e alla sua opponibilità ai terzi e, accanto ai tradizionali strumenti di opponibilità della cessione (notifica ed accettazione) – che, per espressa previsione della norma, possono sempre essere utilizzati – pone il pagamento anticipato dal cessionario con atto avente data certa anteriore rispetto ai diritti vantati dagli altri creditori titolati elencati nell’articolo.

Occorre, infine, sottolineare che l’art. 5 reca due clausole di chiusura del sistema al secondo e al terzo comma, prevendendo, che è fatta salva l’efficacia liberatoria, secondo le norme del codice civile, dei pagamenti eseguiti dal debitore a terzi (comma 3) nonché, per il cessionario, la facoltà di avvalersi per l’opponibilità del disposto dell’art. 1265 cod. civ., dunque, se il pagamento del corrispettivo della cessione ha data certa, il cessionario stesso prevale rispetto all’avente causa e al creditore del cedente ove tale data sia precedente rispetto a quella della notifica o dell’accettazione ai sensi dell’art. 1265 cod. civ. e a quella del pignoramento (comma 2).

 

L’art. 6: il fallimento del ceduto

Completano il contenuto della legge speciale gli artt. 6 e 7 che disciplinano, in senso senza dubbio favorevole al cessionario, la materia fallimentare.

Stante il disposto dell’art. 6, in caso di fallimento del debitore ceduto, il pagamento da costui compiuto in favore del factor cessionario non è soggetto a revocatoria ex art. 67 l.fall. Tale azione può essere peraltro iniziata nei confronti del cedente, qualora il curatore provi che egli, al momento del pagamento, conosceva lo stato di insolvenza del debitore. In questo caso è fatta salva la rivalsa del cedente verso il cessionario, ove quest’ultimo abbia rinunciato alla garanzia di solvenza.

La prova della disciplina di favore per il factor, costruita dalla legge n. 52, si rinviene nel suo confronto con la disciplina codicistica e fallimentare. Per disciplina generale, il ceduto può essere sottoposto a fallimento, e il pagamento da lui eseguito nelle mani del cessionario può essere revocabile, in special modo, ai sensi dell’art. 67, comma 2, l.fall., onde il factor deve restituire alla procedura quanto ricevuto e poi insinuarsi al passivo fallimentare per la medesima somma. Il fornitore cedente, viceversa, non è esposto al rischio della revocatoria di quel pagamento. Tali regole generali, tuttavia, sono modificate a vantaggio dei factor dalla legge n. 52 che intende, come più volte sottolineato, favorire lo sviluppo del factoring esercitato da banche ed intermediari finanziari sottoposti alla disciplina del t.u.b.

L’art. 6, infatti, mette il factor al riparo della revocatoria dei pagamenti eseguiti dal ceduto poi fallito. Peraltro, il curatore può agire in revocatoria contro il cedente, provando che egli «conosceva lo stato di insolvenza del debitore ceduto alla data del pagamento del cessionario». La norma inverte, dunque, l’assetto ordinario e fa gravare sul fornitore cedente il rischio dell’azione revocatoria e l’onere di insinuarsi al passivo. Per conseguire questo risultato, la legge speciale deve disporre che la revocatoria non sia diretta contro l’accipiens, ma contro colui che è stato titolare del credito e ha tuttora interesse al suo adempimento, posto che la cessione del credito al factor è strumentale alla riscossione. Sul punto, è stato rilevato che lo strumento della cessione è eccessivo o “sovradimensionato” e, così, l’art. 6 ne ridimensiona gli effetti[12].

Tuttavia, ove il factor cessionario abbia assunto il rischio dell’inadempimento del ceduto, rinunciando alla garanzia del cedente, l’azione revocatoria dovrebbe essere rivolta contro l’accipiens, come ordinariamente avviene e, dunque, contro il factor. Invero, la legge n. 52/91 preferisce che, anche in questo caso, il fallimento del ceduto agisca contro il cedente, al quale attribuisce l’azione di rivalsa contro il factor.

 

L’art. 7: il fallimento del cedente

L’art. 7 disciplina il fallimento del cedente, subordinando l’opponibilità della cessione alla priorità della data certa del pagamento del corrispettivo rispetto a quella della sentenza dichiarativa di fallimento (art. 5, lett. c), salvo che il pagamento da parte del factor cessionario, che conosceva lo stato di insolvenza del cedente, sia avvenuto entro l’anno precedente alla sentenza stessa e prima della scadenza del credito ceduto. Gli ultimi due commi disciplinano il recesso del curatore, ma limitatamente ai crediti non ancora sorti al momento del fallimento e con obbligo di restituzione al cessionario del corrispettivo (art. 7, commi 2 e 3), al di fuori, dunque, delle regole concorsuali e quindi non in moneta fallimentare[13]. La ratio della normativa è di riservare al curatore la possibilità di disimpegnarsi da un contratto di durata che potrebbe, altrimenti, rivelarsi estremamente oneroso.

Per spiegare le previsioni contenute nell’articolo in esame, è necessario coordinarlo con l’art. 5, comma 2, lett. c), l. n. 52/1991 che, dal suo canto, è volto ad agevolare il factor consentendogli di sostituire alla notifica della cessione del credito il pagamento munito di data certa. Così, la legge “premia” il factor che ha dato conto al contratto eseguendo almeno in parte la controprestazione. In questo caso, infatti, il factor può opporre la cessione al fallimento del cedente e, quindi, può riscuotere il credito ceduto, salvo poi eseguire, a sua volta, il pagamento dovuto in base al contratto e lucrare le competenze previste. Non sempre, tuttavia, il factor ottiene tale agevolazione. Ai sensi dell’art. 7, con il quale l’art. 5 si coordina, non sarà di essere agevolato il factor che ha eseguito il pagamento, pur avendo conoscenza dello stato di insolvenza del cedente, rectius: non sarà agevolato il factor che, in prossimità della dichiarazione di fallimento e conoscendo lo stato di decozione del cedente, gli ha concesso un finanziamento. Tale cessione in funzione di finanziamento non viene ritenuta meritevole di tutela dalla legge speciale poiché il factor concede credito ad un imprenditore decotto, ma si sottrae al concorso con gli altri creditori perché sarà soddisfatto dal ceduto.

Deve precisarsi, tuttavia, che qui la legge non rende inefficace un pagamento eseguito dal fallito, come nella revocatoria dei pagamenti. Piuttosto, valuta se il pagamento ricevuto dal fallito ed eseguito dalla parte in bonis meriti di essere equiparato alla consueta notifica.

Resta fermo che la cessione può essere revocata secondo le norme ordinarie.

L’art. 7, comma 2, attribuisce al curatore del fallimento del cedente il potere di sciogliere le cessioni di crediti non ancora sorti alla data dell’apertura della procedura, mentre il successivo comma 3 impone al medesimo curatore di restituire al factor «il corrispettivo pagato dal cessionario al cedente per le cessioni» “rimosse” di cui al comma precedente. Così, la legge persegue l’esecuzione integrale del contratto limitatamente alle cessioni di crediti già esistenti e le pone fuori concorso, facendo divenire un creditore della massa il factor che ha finanziato il fallito su crediti futuri[14].

 

Le eccezioni opponibili

La normativa speciale tace sulle eccezioni opponibili tra i soggetti coinvolti nell’operazione di factoring e, inoltre, neppure la disciplina codicistica sulla cessione di crediti se ne preoccupa troppo.

La regola giurisprudenziale è che, poiché il debitore ceduto non deve essere pregiudicato dalla cessione, potrà opporre al factor cessionario tutte le eccezioni che avrebbe potuto opporre al fornitore cedente.

Occorre, tuttavia, distinguere due serie di eccezioni:

  • quelle attinenti alla fonte negoziale del credito sono sempre opponibili sia al cessionario che al cedente (nullità, annullabilità, inesistenza);
  • quelle attinenti a fatti posteriori all’instaurarsi del rapporto obbligatorio, volte a ridurre o eliminare il debito ceduto sono opponibili anche al cessionario solo ove il fatto costitutivo dell’eccezione si è verificato prima della cessione, mentre se è successivo alla stessa non sarà opponibile al cessionario[15].

Secondo il principio di diritto consolidatosi, sul tema, in seno alla giurisprudenza di legittimità[16], in tema di contratto atipico di “factoring”, la cessione dei crediti che lo caratterizza non produce modificazioni oggettive del rapporto obbligatorio e non può pregiudicare la posizione del debitore ceduto in quanto avviene senza o addirittura contro la sua volontà; ne consegue che il debitore ceduto può opporre al “factor” cessionario le eccezioni concernenti l’esistenza e la validità del negozio da cui deriva il credito trasferito ed anche le eccezioni riguardanti l’esatto adempimento del negozio, mentre quelle che investono fatti estintivi o modificativi del credito ceduto sono opponibili al “factor” cessionario solo se anteriori alla notizia della cessione comunicata al debitore ceduto e non ove successivi, in quanto, una volta acquisita la notizia della cessione, il debitore ceduto non può modificare la propria posizione nei confronti del cessionario mediante negozi giuridici posti in essere con il creditore originario.

 

Qualificazione giuridica del factoring ante l. n. 52 del 1991

Ancor prima dell’introduzione della legge n. 52 del 1991, il tema della qualificazione causale del contratto di factoring aveva assunto un ruolo centrale nel dibattito dottrinale e giurisprudenziale. I tentativi di “ingabbiare” il contratto de quo negli schemi negoziali tipici già noti all’ordinamento italiano, furono numerosi e, invero, ruotarono attorno a due poli opposti: la cessione con causa vendendi e la cessione con causa mandati.

Fu questa la prospettiva che accompagnò i compilatori della legge n. 52. Già in sede di lavori preparatori, infatti, emerse la consapevolezza che il factoring si presentasse come un fenomeno ben più ampio del tipo negoziale “cessione di crediti” e che, pertanto, sarebbe stato necessario non mortificare le novità dell’istituto riportandolo negli schemi di un contratto tipico e quindi sopprimendone ogni potenzialità innovativa[17].

 

Qualificazione giuridica del factoring post l. n. 52 del 1991

I contrasti dottrinali e giurisprudenziali sulla qualificazione giuridica del factoring, che lo avevano accompagnato sin dai primi passi mossi sulla scena giuridica italiana, non si sopirono con l’entrata in vigore della legge n. 52 del 1991. Già i primi commentatori, infatti, rilevavano come la normativa speciale non avesse affatto tipizzato il contratto di factoring, più complesso ed articolato rispetto alla disciplina offerta dal legislatore del ’91, poiché pur realizzandosi essenzialmente attraverso la cessione del credito, presenta un più ampio contenuto in senso economico e in senso giuridico[18].

Come visto dianzi, infatti, la legge n. 52 del 1991 si limita a disciplinare la cessione a titolo oneroso dei crediti d’impresa pecuniari in favore di cessionari specificamente individuati dalla normativa, ma non definisce il contratto, non regola le obbligazioni del fornitore e del factor, non si occupa dei servizi complementari, non disciplina l’esecuzione e le patologie del contratto, neppure utilizza mai il termine anglofono, preferendo parlare di cessione di crediti d’impresa. La ratio della legge del 1991, insomma, inizia e si esaurisce nell’offrire un fondamento normativo alla cessione in massa dei crediti futuri d’impresa, con l’obiettivo di sottrarla ai limiti previsti dalla disciplina codicistica[19].

Per tali ragioni, il factoring resta – anche dopo l’introduzione della legge speciale – secondo la giurisprudenza unanime[20] e la dottrina dominante[21], un contratto atipico.

Nondimeno, in seno alla dottrina, e alla luce della disciplina speciale del 1991, è nato un orientamento favorevole ad una raggiunta tipicità contrattuale del factoring[22]. Si sostiene, così, che la legge n. 52 abbia tipizzato il “modello italiano di factoring”, con la sua peculiare natura di cessione di crediti d’impresa, dei soggetti che ne prendono parte, e della possibilità di trasferire crediti futuri ed in massa.

Altri autori ancora, invece, preferiscono parlare di “parziale tipizzazione del contratto di factoring[23], rilevando che l’operazione, una volta scomposta e ricostruita secondo gli elementi essenziali (e costanti) e quelli integrativi (ed eventuali), rivela caratteristiche funzionali nient’affatto atipiche[24]. La convenzione di factoring, secondo tale impostazione, presenterebbe la causa del mandato, tipica dunque, cui possono risultare connessi altri contratti, anch’essi tipici[25].

Tuttavia, l’orientamento dominante, sia dottrinale che giurisprudenziale, sottolinea fermamente come la legge n. 52 non abbia dato tipicità al contratto di factoring. Emblematicamente, sul punto, autorevole dottrina[26] ha rilevato che denominare la legge del 1991 come “legge sul factoring”, significa commettere un errore per difetto e uno per eccesso. Per eccesso perché la disciplina si occupa solo della cessione dei crediti di impresa che è un aspetto del factoring, ma non lo esaurisce; e, per difetto, perché non disciplina soltanto l’acquisto dei crediti da parte del factor, ma ogni acquisto dei medesimi che abbia i requisiti previsti dalla legge. Dunque, piuttosto che di “legge sul factoring [27], dovrebbe correttamente parlarsi di “legge per il factoring[28], poiché adottare la prima definizione sarebbe errato e fuorviante[29].

Allora, nonostante l’entrata in vigore della legge n. 52, la convenzione di factoring non ha ricevuto alcuna tipizzazione legale e continua ad essere inquadrata nell’ambito dei contratti atipici ex art. 1322, comma 2, cod. civ.[30] E questa atipicità è la necessaria premessa alle problematiche qui in discussione.

 

“Le cause” del factoring

L’inquadramento e la qualificazione giuridica del contratto di factoring, come anticipato, hanno animato dottrina e giurisprudenza nel tentativo di ricondurre tale convenzione atipica a negozi giuridici tipici affini[31], individuando ora un contratto di scambio con “causa vendendi [32], ora un contratto di mandato di gestione dei crediti ceduti[33], ora un contratto di finanziamento o, ancora, un contratto di assicurazione, a seconda del diverso profilo funzionale ritenuto, di volta in volta, prevalente.

L’annosa querelle sulla causa del factoring, insomma, si è posta come logica conseguenza della sua struttura funzionale multiforme[34], della sua natura di fattispecie che, se anche ruota attorno al tipo “cessione di crediti”, non esaurisce in esso il proprio contenuto, prestandosi a diverse funzioni come quella di scambio, di gestione, di prestito, di garanzia, di liberalità, di pagamento[35].

 

Causa vendendi

Secondo un primo orientamento, il contratto di factoring ha prevalente causa di scambio, fondandosi il sinallagma contrattuale proprio sulla cessione dei crediti. Ciò ha condotto parte della dottrina[36] a ravvisare nel contratto una compravendita di crediti, cosicché la prestazione del factor a favore del fornitore dovrebbe essere considerata il “prezzo” della cessione[37].

L’inquadramento del factoring nel novero dei contratti di scambio determina, peraltro, due essenziali caratteristiche: la diversità degli scopi perseguiti dalle parti e l’interdipendenza tra le prestazioni. Sul primo versante, il factor ha lo scopo di soddisfare il proprio interesse commerciale tramite l’acquisto in cessione dei crediti, mentre il cedente persegue l’obiettivo di realizzare lo smobilizzo e/o la contabilizzazione e la gestione dei propri crediti. Sul secondo versante, invece, le prestazioni del factor e del cedente sono tra loro interdipendenti, in forza del rapporto diretto tra prestazione e realizzazione dell’interesse individuale delle parti[38].

Dunque, il factoring avrebbe causa vendendi in quanto una parte (il fornitore) cede e l’altra (il factor) acquista un credito dietro corrispettivo. Se tale contratto è accompagnato da altri negozi accessori, questi – per loro natura – non possono incidere sulla causa del contratto.

 

Causa mandati

Vi è, invece, chi ritiene che la complessità del fenomeno non permetta la riconduzione del contratto alla causa vendendi. Lo svolgimento del rapporto di factoring evidenzia una serie di servizi accessori offerti dal factor al cedente – quali servizi di contabilità, riscossione, informazione commerciale, etc. – tali da avvicinarlo piuttosto allo schema del mandato[39].

In quest’ottica, il factoring può essere scomposto in una convenzione con “causa mandati” avente rilevanza principale, ed in una pluralità di negozi ad essa collegati. Questi negozi a loro volta sono costituiti prevalentemente da cessioni di credito in funzione strumentale per l’esecuzione del mandato e configurate come anticipazioni dei mezzi necessari all’adempimento delle obbligazioni assunte dal mandatario ex art. 1719 cod. civ.[40]. Il factoring, dunque, viene disegnato come contratto di collaborazione tra imprese, con oggetto l’organizzazione e la gestione di un servizio di contabilizzazione, gestione e recupero crediti, attuate mediante l’utilizzazione dello strumento tecnico della cessione[41]. La tesi muove dalla considerazione che la prestazione in ogni caso presente sarebbe quella della gestione dei crediti ceduti, mentre le altre prestazioni del factor sarebbero meramente eventuali ed accessorie. Dunque, il contratto de quo dovrebbe essere configurato come un mandato alla gestione dei crediti ceduti, cui si collegano un negozio di finanziamento e un eventuale negozio di garanzia. Mentre le cessioni di crediti operate nell’ambito del contratto, in quanto negozi attuativi dell’unitario programma negoziale e privi di propria autonomia, avrebbero la medesima causa mandati del contratto cui accedono.

Seguendo tale orientamento, l’esclusione della natura del factoring come contratto vendendi causa si basa, in particolare, su due assunti. In primo luogo, la più volte rilevata strumentalità, nell’economia complessiva del contratto, della cessione di crediti. In secondo luogo, l’esistenza dell’obbligo, in capo al factor, di restituire al fornitore l’importo dei crediti dopo la riscossione.

Varie sono state, invero, le critiche mosse a tale orientamento causale.

Anzitutto, la natura di mandato condurrebbe ad escludere l’applicabilità della legge n. 52/1991, in quanto la stessa prevede una causa di scambio.

In secondo luogo, il factor agisce per proprio conto e non per conto del fornitore-mandante ex art. 1703 cod. civ., acquistando da quest’ultimo i crediti vantati nei confronti dei terzi[42] e, dunque, in qualità di titolare del diritto di credito cedutogli. Alle medesime conclusioni, peraltro, si giungerebbe anche se il factor operasse sulla base di un mandato senza rappresentanza ex art. 1705 cod. civ., in quanto tale caratteristica non incide sulla causa del contratto, ma sul profilo degli effetti, individuando se essi ricadono direttamente o meno all’interno della sfera giuridica del mandante[43].

Inoltre, nella cessione dei crediti d’impresa il fornitore non può sostituirsi al factor per la riscossione dei crediti, e vale la clausola di esclusiva che vieta al cedente di porre in essere con terzi altri rapporti di factoring. Nel mandato, invece, in forza dell’art. 1724 cod. civ., il mandante può, sia sostituirsi al mandatario per esercitare i diritti di credito estromettendolo, sia nominare un nuovo mandatario per lo stesso affare, tanto importando la revoca del mandato.

A ciò si aggiunge, peraltro, che il factor può disporre del credito o utilizzarlo per finanziarsi, facoltà incompatibili con la mera attribuzione di una legittimazione formale alla riscossione del credito.

La stessa Corte di Cassazione[44], inoltre, ha ribadito che il factor non è il mandatario del cedente. In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha affermato, sul punto, che il contratto di factoring, ove postuli una cessione dei crediti a titolo oneroso in favore del factor, attribuisce a quest’ultimo la titolarità dei crediti medesimi e, quindi, la legittimazione alla loro riscossione in nome e per conto proprio, e non in qualità di semplice mandatario del cedente, sicché il pagamento eseguito dal debitore ceduto si configura quale adempimento di un debito non del cedente verso il factor ma proprio del debitore ceduto verso quest’ultimo, per cui, seppur eseguito dopo il fallimento del cedente, non comporta alcuna sottrazione di risorse alla massa e non è sanzionato con l’inefficacia prevista dall’art. 44 l. fall.

 

Differenze a seconda della causa attribuita: causa mandati o vendendi

L’inquadramento giuridico del factoring come contratto con causa vendendi o con causa mandati determina conseguenze di notevole rilievo pratico.

Anzitutto, in materia fallimentare. Nel caso in cui si ritenga il factoring come contratto vendendi causa, la cessione dei crediti sarebbe definitiva e con effetto traslativo pieno, mentre le anticipazioni di somme costituirebbero parziali pagamenti anticipati del prezzo dello scambio e, al momento della riscossione dei crediti, il factor cessionario che ha anticipato solvendi causa le somme non risulterebbe creditore, ma debitore del cedente per il saldo del prezzo. Ne deriva che, nell’ipotesi di fallimento del cedente, i crediti non rientreranno nella massa fallimentare e il factor riscuoterà il proprio credito anche dopo la dichiarazione di fallimento del cedente. Il factor, insomma, potrà trattenere quanto riscosso, essendo titolare dei crediti da un momento precedente al fallimento e, in particolare, troverà applicazione la disciplina fallimentare contenuta negli artt. 5 e 7 della l. n. 52/1991. Tali somme sono utilizzate per soddisfare il credito sulle anticipazioni erogate al cedente fallito e non si richiede al factor di insinuarsi al passivo fallimentare[45].

Per converso, nel caso in cui si ritenga il factoring un mandato di gestione dei crediti, la cessione dei crediti avrebbe carattere esclusivamente formale e strumentale, costituendo il mezzo per l’esecuzione del mandato, mentre il versamento di commissioni e il rimborso spese rientrerebbero nei diritti del mandatario e le anticipazioni sarebbero (eventuali) negozi di finanziamento (apertura di credito o mutuo) collegati al mandato. In caso di fallimento del cedente, il credito rientrerà nell’attivo fallimentare e sarà il curatore ad incassare, ciò in quanto il factor dovrà restituire al curatore le somme incassate dai debitori dopo la dichiarazione di fallimento, perché di competenza della procedura e non soggetti a compensazione con il credito spettante al factor avente ad oggetto la restituzione di anticipazioni[46]; cosicché, per vedersi restituire quanto a lui spettante, il factor dovrà insinuarsi al passivo fallimentare.

Differenze, poi, vi sono anche in relazione alle sorti del contratto.

Assumendo la causa vendendi, troverà applicazione il secondo comma dell’art. 7 della legge del 1991, per cui «il curatore del fallimento del cedente può recedere dalle cessioni stipulate dal cedente, limitatamente ai crediti non ancora sorti alla data della sentenza dichiarativa». In tale ipotesi non si pone un problema di compensazione, infatti, manca il debito di restituzione delle somme riscosse; oggetto della cessione è il trasferimento del diritto acquistato per effetto del consenso tra le parti, come disposto dall’art. 1376 cod. civ. Dunque, il factor sarà l’unico legittimato a pretendere la prestazione dal debitore ceduto, il cui pagamento costituirà adempimento dell’obbligazione a pretendere la prestazione dal debitore, il cui pagamento costituirà adempimento dell’obbligazione propria e non del cedente[47].

Assumendo, di contro, la causa mandati, il factoring può sciogliersi a norma degli artt. 78 e 72 l.fall.[48]. Il factor perderebbe, quindi, la legittimazione a riscuotere i crediti per conto del cedente fallito, e sarà obbligato a porre la richiesta di insinuazione al passivo fallimentare, allo scopo di recuperare le anticipazioni concesse. Nel caso di mandato in rem propriam non troverebbe applicazione l’art. 78 l.fall. e, quindi, non si avrebbe lo scioglimento automatico del contratto come effetto del fallimento del cedente, ma sarà compito del curatore revocare espressamente il contratto[49]. Tuttavia, si ritiene che anche nel caso in cui il curatore si prodighi per la revoca, il factor dovrebbe comunque insinuarsi al passivo fallimentare, perché possiede la qualità di mandatario, non li acquisterebbe, bensì dovrebbe rimettere l’importo del credito al fallimento, ex art. 1713 comma 1 cod. civ.[50]. Non opererebbe, peraltro, neppure la compensazione tra credito derivato dalle anticipazioni e debito di restituzione delle somme riscosse, visto che quest’ultimo è sorto in un momento successivo rispetto alla dichiarazione di fallimento ex art. 56 l. fall.

 

Factoring come “contratto di assicurazione di credito”

Agli orientamenti sino ad ora rilevati, invero, se ne affianca un altro, che ritiene il contratto di factoring rientrante nelle operazioni di assicurazione di credito, ovviamente, ove il factor assuma espressamente il rischio di insolvenza del debitore[51]. Seguendo tale orientamento, ciò che il fornitore trasferisce al factor è un normale rischio di impresa, ove il “contratto di assicurazione di credito” è un sottotipo del contratto di assicurazione ex art. 1882 cod. civ.[52].

Invero, molti sono i rilievi critici che sono stati sollevati nei confronti di tale ricostruzione[53] e secondo i quali la convenzione di factoring non potrebbe rientrare nel tipo “contratto di assicurazione di crediti”. Quest’ultimo è quel contratto concluso dall’assicuratore con il creditore, ossia il soggetto che sopporta il sinistro (fatto futuro ed incerto che nel caso di specie dovrebbe ravvisarsi nell’inadempimento del debitore), con lo scopo di coprire il danno conseguente all’inadempimento[54]. L’assicurazione dei crediti, però, non copre l’ammontare totale del credito, ma solo una parte, per il resto a carico dell’assicurato. Dunque, tale operazione, anche se rappresenta una garanzia contro l’insolvenza, differisce da quella di factoring poiché la garanzia assunta dal factor copre interamente i crediti acquistati. Inoltre, la compagnia assicuratrice provvede al pagamento dell’assicurato solo dopo un certo periodo di tempo dalla denuncia di insolvenza, ed offre all’assicurato solo un servizio di garanzia, non anche la varietà dei servizi caratterizzanti, per prassi, un contratto di factoring. Infine, nel factoring la copertura del rischio di insolvenza assunto dal factor deriva dal trasferimento del credito, per converso, nell’assicurazione è la stessa concretizzazione del rischio che dà luogo all’indennizzo.

 

Causa di finanziamento

Altra parte della dottrina, invece, ritiene rilevante la causa di finanziamento, soprattutto alla luce del t.u.b., che inquadra il factoring tra le operazioni di prestito all’art. 1, lett. f), n. 2[55], consistente nell’erogazione di anticipazione su crediti. Tale orientamento rileva che il cedente, che possiede la qualità di imprenditore, realizza tramite la cessione dei crediti lo smobilizzo di risorse contenute nel suo patrimonio conseguendo la disponibilità di altre risorse immediatamente utilizzabili: ciò, prima della scadenza del credito e prima che il debitore estingua l’obbligazione[56].

Ovviamente, anche in tal caso, le conseguenze pratiche saranno differenti rispetto all’attribuzione al factoring della causa di scambio.

Se si assume la causa di finanziamento, in forza del contratto, sul cedente, a fronte dell’anticipazione ricevuta, grava l’obbligo di restituzione nei confronti del factor. Di contro, nella cessione vendendi causa manca un rapporto giuridico autonomo dalla cessione, realizzandosi esclusivamente uno scambio contestuale fra somma di denaro e titolarità del credito ceduto. Ciò implica che, in caso di insolvenza del ceduto, il cessionario può agire nei confronti del cedente facendo valere i diritti derivanti dal negozio di cessione[57].

La tesi, dunque, è stata oggetto di profende critiche, in primo luogo per la rilevata assenza nello schema contrattuale del factoring dell’obbligo del cedente afferente alla restituzione del tantundem[58]; in secondo luogo, dal momento che le anticipazioni sono concessioni meramente eventuali nel factoring, seppure estremamente diffuse nella prassi.

 

La causa del factoring secondo l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità

In realtà, il factoring risulta essere uno schema contrattuale causalmente neutro, (o meglio parzialmente neutro, dal momento che è sempre presente la reciprocità di vantaggi e sacrifici), in grado di collocarsi entro contesti causali diversi[59]. Tale considerazione, peraltro, sembra condivisa anche dalla giurisprudenza di legittimità che afferma come la causa del contratto di factoring sia identificabile in concreto con una qualsiasi delle cause compatibili con la natura e la struttura del contratto[60]. Anche la Suprema Corte, dunque, rifiuta la definizione di “causa variandi [61] a favore, ancora una volta, della cd. “causa concreta”, nel senso che la natura del negozio varia in base alla causa risultante prevalente all’interno della fattispecie concreta.

Il Giudice di legittimità, infatti, ha a più riprese ribadito, già a partire dal 2000 ad oggi[62], che il factoring – anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 52 del 1991 – rimane un contratto atipico il cui nucleo essenziale è l’obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (il factor) la titolarità dei crediti derivati dall’esercizio della sua impresa. Rileva, poi, che le funzioni economiche del factoring sono molteplici e che esso, di regola, è caratterizzato da plurime operazioni quali la cessione di uno o più crediti (con le possibili varianti del finanziamento in favore dell’impresa, attraverso anticipazioni o smobilizzi, e dell’assunzione eventuale del rischio di insolvenza) e l’assunzione da parte del factor di obbligazioni “non strettamente inerenti alla cessione”, aventi ad oggetto la gestione dei crediti (quali: informazione, consulenza, collaborazione nella gestione aziendale, etc.) di non secondaria importanza nell’economia del contratto. A fronte di ciò, è prevista una commissione in favore del factor che costituisce il corrispettivo di quell’attività, variabile in rapporto a molteplici elementi che incidono sul grado di assunzione del rischio dell’operazione.

Tutto ciò premesso, il Giudice di legittimità ritiene che, ai fini della qualificazione del contratto, che dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico-economici, il giudice deve far riferimento all’intento negoziale delle parti che renda palese il risultato concreto dalle stesse perseguito, valutando, in particolare, se esse abbiano optato per la causa vendendi, per quella mandati, o per altra ancora[63].

Nella specie, allora, il giudice di merito dovrà qualificare giuridicamente il negozio ricercando l’effettiva volontà delle parti per il tramite di un esame delle clausole contrattuali, sicché la disciplina del contratto dovrà essere ricercata nel tipo negoziale “nominato” analogicamente assimilabile e prevalente.

L’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, tuttavia, va oltre poiché, se è vero che l’indagine sulla causa deve essere svolta in virtù della persistente atipicità del factoring, nella prassi, il contratto de qua è costruito tendenzialmente come atipico contratto di cessione dei crediti a prevalente causa vendendi[64]. La Corte, infatti, ha sovente rilevato che il nucleo essenziale del contratto di factoring è costituito dall’obbligo assunto dal fornitore di cedere al factor la titolarità dei crediti derivati o derivandi dall’esercizio della sua impresa[65]. In tale contesto, il factor può acquistare i crediti “pro soluto” (assumendosi il rischio dell’insolvenza dei debitori) o “pro solvendo” (in questo caso, invece, saranno accreditate all’imprenditore le somme recuperate). Ma lo strumento formale adoperato è, comunque, l’istituto della cessione di crediti regolato dagli artt. 1260 e ss. cod. civ.[66]. Quindi, il contratto di factoring comporta, con tutta evidenza, che – di regola – la cessione della titolarità di crediti si basi su una ratio vendendi, sia pure collegata con una serie di servizi accessori. E solo quando quest’ultimi acquistino prevalenza rispetto alla causa naturale del negozio, sino a trasformarlo in un mandato, è possibile attribuirgli tale inquadramento giuridico, purché il giudice dia adeguata motivazione in tal senso[67].

Giova sottolineare, peraltro, che la Suprema Corte non esclude la prevalenza della causa vendendi del factoring neppure sulla base della circostanza che, nella fattispecie concreta, il finanziamento offerto dal factor sia compensabile con le somme giacenti sul conto di dare e avere inter partes. È stato, infatti, efficacemente rilevato che a fronte di tali molteplici funzioni economiche, in forza delle quali il contenuto del contratto non si esaurisce nella pura e semplice cessione di uno o più crediti, ma comporta per le parti e soprattutto per il factor  l’assunzione di fondamentali obbligazioni (di “facere”, “non facere”, “praestare”) non strettamente inerenti alla cessione, ma di essenziale importanza nel regolamento degli interessi realizzato con il contratto, tra i quali è presente l’acquisizione di una fonte di liquidità attraverso le anticipazioni pattuite, la circostanza che il finanziamento sia compensabile con le somme giacenti sul conto non contraddice affatto il ruolo, che le anticipazioni possono assumere, di pagamento del corrispettivo, giacché, dovendo la pattuizione essere riguardata nel suo risultato finale, resta in linea con gli intenti negoziali delle parti che, una volta andata a buon fine la cessione, in tutto o in parte, il credito riscosso dal factor venga da lui ritenuto in relazione alle anticipazioni versate e agli altri costi preventivamente concordati dall’operazione, la quale svolge, così, unitamente al ruolo di finanziamento, assunto nella fase iniziale del rapporto, quello finale di versamento del corrispettivo della cessione; mentre nel caso di mancata esazione dei crediti – se è stata convenuta, come ordinariamente prevede l’art. 4 della legge 21.2.1991, n. 52, la garanzia della solvenza del debitore – di quelle anticipazioni il fornitore è tenuto al rimborso[68].

Ad ogni modo, seguendo l’insegnamento della Suprema Corte, al cospetto di un contratto di factoring occorre ricostruire l’intento negoziale delle parti alla luce delle clausole contrattuali che, nei singoli casi di specie, sono entrate nel regolamento contrattuale, solo per tale via potendo ricavare se gli effetti giuridici concretamente voluti dalle parti abbiano natura traslativa, gestoria o, magari, di mero finanziamento o altra ancora. Si tratta, dunque, di interpretare un atto negoziale che, in linea generale, costituisce un tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione nell’applicazione di essi[69]. E, poiché la cessione del credito costituisce un elemento causale essenziale del factoring, il giudice di merito, ove ritenga di qualificare diversamente il contratto di factoring, ad esempio, come avente mandanti causa sulla base del rilievo che il factor si sia obbligato a regolare, in conto corrente col mandante, solo le reciproche posizioni di dare ed avere e che, di conseguenza, il factor riscuota i crediti del mandante in nome e per conto di questi senza alcuna previa cessione, egli ha comunque l’onere di adottare sul punto una esaustiva motivazione, che tenga conto di tutti gli elementi del contratto, senza limitarsi a dare rilievo alla sola circostanza della regolazione in conto corrente dei crediti contrapposti di mandante e factor.

 

In conclusione, è possibile rilevare due punti fermi in tema di contratto di factoring.

Anzitutto, la giurisprudenza di legittimità ricostruisce il contratto de quo come contratto “complesso” o “misto” e, in particolare, individua la disciplina applicabile per il tramite del criterio dell’assorbimento, per cui si applica la disciplina del tipo contrattuale prevalente. Infatti, mentre in dottrina – in presenza di un contratto misto o complesso – ritiene doversi applicare il criterio della combinazione[70], per cui i vari profili dell’operazione dovrebbero essere disciplinati sulla base del riferimento al tipo corrispondente e, dunque, l’interprete dovrebbe combinare fra loro le regole di tutti i tipi contrattuali corrispondenti; in giurisprudenza[71], di contro, prevale – ed il contratto di factoring ne è un esempio – il criterio dell’assorbimento” o il “criterio della prevalenza”, per cui il giudice dovrà individuare quale schema contrattuale, nella complessiva economia del contratto, prevale sull’altro.

In secondo luogo, ancora oggi resta valida la definizione di attenta dottrina secondo cui la causa del contratto di factoring è “cangiante”, poiché varia a seconda del concreto regolamento contrattuale adottato dalle parti[72]. D’altro canto, il legislatore del 1991, lungi dall’aver perso un’occasione per tipizzare il negozio de quo, potrebbe essere stato lungimirante. Il factoring, infatti, è ancora oggi un contratto in continua evoluzione, pertanto, ipotizzarne una dettagliata regolamentazione significherebbe ostacolare il naturale adeguamento del contratto al continuo divenire dei mercati.

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Note

[1] In tal senso, F. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Edizioni Scientifiche Italiane, 2019, 1321 e s.

[2] Contra U. Carnevali, I problemi giuridici del factoring, in Rivista di diritto civile, 1978, fasc. I, 307.

[3] D. Valentino, Le cessioni dei crediti, il factoring e la cartolarizzazione, Edizioni Scientifiche Italiane, 2003, 145 e ss.; sottolinea questa funzione del contratto E. Ricci, Le finalità della legge 52 e la realtà operativa del factoring, in A. Burchi – A. Carretta (a cura di), Il factoring a dieci anni dalla legge 21 febbraio 1991, n. 52, Atti del Convegno del 19 febbraio 2001, 61.

[4] R. Clarizia, I contratti nuovi, Factoring – Locazione finanziaria, in P. Rescigno (a cura di), Trattato di diritto privato, XV, Utet, 1999, 70.

[5] A. Clarizia, La legge 52 e la prassi contrattuale, in A. Burchi – A. Carretta (a cura di), Il factoring a dieci anni dalla legge, cit., 69; R. Clarizia, I contratti nuovi, Factoring – Locazione finanziaria, in P. Rescigno (a cura di), op. cit., 18 e ss.; G. Cremona – M. Faenza – P. Monarca – N. Tarantino, Il manuale del factoring, Ipsoa, 2006, 279 ss., che si sofferma anche sui profili meramente economici del factoring.

[6] Si veda, F. Ferrari, Il factoring internazionale. Commento alla convenzione unidroit sul factoring internazionale, Cedam, 1999.

[7] Sulla genesi e sulle finalità della l. 52, v. G. De Nova, Il factoring a dieci anni dalla legge 21 febbraio 1991, n. 52, in A. Burchi – A. Carretta (a cura di), Il factoring a dieci anni dalla legge, cit.; E. Ricci, Le finalità della legge 52 e la realtà operativa del factoringib., 61 e s.; A. Clarizia, La legge 52 e la prassi contrattuale, ib., 70.

[8] R. Clarizia, Nuovi contratti, in M. Bessone (a cura di), Istituzioni di diritto privato, Giappichelli, 2010, 896.

[9] Non può non rilevarsi una certa stranezza del modello italiano rispetto al progenitore anglosassone che è, invece, sempre pro soluto.

[10] R. Clarizia, I contratti nuovi, Factoring – Locazione finanziaria, in P. Rescigno (a cura di), op. cit., 53 e ss.

[11] Quando fu emanata la l. n. 52/1991, la giurisprudenza richiedeva che la notifica fosse eseguita a mezzo di ufficiale giudiziario. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4774 del 12/5/1998, invece, stabilì che per la notifica non vi sono vincoli di forma. Ciò ridusse l’importanza pratica dell’art. 5: v. G. De Nova, Il factoring a dieci anni dalla legge, cit., 17 e ss.

[12] R. Clarizia, I contratti nuovi, Factoring – Locazione finanziaria, in P. Rescigno (a cura di), op. cit., 63.

[13] F. Gazzoni, op. cit., 1325.

[14] R. Clarizia, I contratti nuovi, Factoring – Locazione finanziaria, in P. Rescigno (a cura di), op. cit., 64 e s.

[15] Sulle eccezioni opponibili dal ceduto al factor, ibid., 8 e ss.

[16] Cass., Sez. 1 – , Sentenza n. 24657 del 2/12/2016.

[17] F. Massa Felsani, Il contratto di factoring e la nuova “disciplina della cessione dei crediti d’impresa” (l. 21 febbraio 1991, n. 52), in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 1991, fasc. XI-XII, pt. 1, 731 e ss.

[18] A. Frignani, Factoring, Leasing, Franchising, Venture capital, Leveraged buy-out, Hardship clause, Countertrade, Cash and carry, Merchandising, Know-how, Giappichelli, 1993, 99 e ss.

[19] G. De Nova, Disciplina dell’acquisto dei crediti d’impresa: un disegno di legge, in Rivista di diritto civile, 1987, 287.

[20] Ex plurimis, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 1510 del 2/2/2001; Sez. 3, Sentenza n. 8947 del 29/10/1994. Cass., Sez. 1, sentenza n. 4654 del 12/4/2000, n. 4654 afferma che il contratto di factoring è atipico e di natura complessa.

[21] A. Luminoso, I contratti tipici e atipici. Contratto di alienazione, di godimento, di credito, Giuffrè, 1995, 289 e ss. In senso conforme, P. Messina, Sulla causa del contratto di factoring, in Contratto e impresa, 1997; M. Torsello, I rapporti tra le parti del contratto di factoring tra disciplina uniforme e molteplicità delle fonti, in Contratto e impresa, 1999, 539.

[22] R. Clarizia, I contratti per il finanziamento dell’impresa: mutuo di scopo, leasing, factoring, in Trattato di diritto commerciale, Giappichelli, 2002, Sez. 2, Vol. IV, 433.

[23] M. Costanza, Contratto di factoring e azioni revocatorie, in G. Tartarano (a cura di), La cessione dei crediti d’impresa, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, I, 1995, 129 e ss.

[24] A. Nuzzo, Dal contratto all’impresa: “il factoring”, in Rivista delle società, 1984, I, 954 e ss.

[25] Ibidem.

[26] G. De Nova, I contratti atipici e i contratti disciplinati da leggi speciali: verso una riforma?, in Rivista di diritto civile, 2006, Vol. 52, Fasc. 6, 345 e ss.

[27]  Così G. De Nova, voce Factoring, in AA.VV., Digesto delle discipline privatistiche, Sezione commerciale, Utet, 1987, Vol. V, Torino, 351. Cfr., in proposito, G. C. M. Rivolta, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto civile, 1991, fasc. 2, 711.

[28] In proposito, v. O. Pace – D. Cherubini, Il factoring quale strumento di gestione della finanza d’impresa: origini ed evoluzione, la disciplina nazionale e internazionale, il fallimento, la legge sulla cessione dei crediti d’impresa, Jandi Sapi editori, 2001, 55.

[29] Cfr. G. C. M. Rivolta, La disciplina della cessione dei crediti d’impresa, cit., 709 e ss.

[30]  In proposito G. Tucci, Factoring, cit., 1391.

[31] Così, V. Piceci, Il factoring ed il forfaiting (esternalizzazione flessibili di funzioni dell’impresa e contratti indiretti di finanziamento ed assicurazione), in A. Patroni Griffi – M. Ricolfi (a cura di), Banche ed assicurazioni fra cooperazione e concorrenza, Giuffrè, 1997, 81; V. Piccinini, Qualificazione giuridica delle operazioni di factoring, funzione della cessione dei crediti e revocabilità dei pagamenti effettuati dai debitori ceduti al factor in caso di fallimento dell’impresa cedente, in Banca, borsa e titoli di credito, 2008, 5, 10.

[32] G. De Nova, Nuovi contratti, Utet, 1994, p. 126. In giurisprudenza, Cass., Sez. 1, sentenza n. 4654 del 12/4/2000, n. 4654.

[33] In tal senso F. Dimundo, Factoring e Fallimento, in Giurisprudenza Commerciale, 1999, 5, 567; G. Alpa, Qualificazione dei contratti di leasing e di factoring e suoi effetti nella procedura fallimentare, in Diritto fallimentare, 1989, 1, 190. In giurisprudenza, Tribunale di Genova, 10 agosto 2000, in Fallimenti, 2001, 5, 517 e ss.

[34] Cfr. G. Fossati – A. Porro, Il factoring. Aspetti economici, finanziari e giuridici, Giuffrè, 1994, 161.

[35] D. Di Gravio, Revocatoria di factoring: lascia o raddoppia? Nota a Trib. Latina 28 gennaio 1995, in Il diritto fallimentare e delle società commerciali, 1995, fasc. 5, pt. 2, 948 e ss. Lo stesso è ritenuto dalla giurisprudenza: Cass. 12 novembre 1973, n. 3004, in Foro Italiano, 1974, 1, 1121; Cass. 15 maggio 1974, n. 1396, in Banca borsa e titoli di credito, 1974, 2, 205 e ss.

[36] G. De Nova, Leasing e factoring, in G. De Nova – E. Gerelli – G. Tremonti – G. Visentini (a cura di), Nuove forme di impiego e risparmio e di finanziamento delle imprese: disciplina civile e fiscale, Milano, 1984, 628. Ed ancora, G. Panzarini, Lo sconto dei crediti e dei titoli di credito, Giuffrè, 1984, 629.

[37] Lo stesso è ritenuto da Cass., Sez. 1, Sentenza n. 684 del 18/1/2001 sulla quale, V. Carbone, Osservatorio della Corte di Cassazione. Rassegna di giurisprudenza, in Corriere giuridico, 2001, 3, 304 e ss. Contrari a tale indirizzo, B. Inzitari, Cessione strumentale dei crediti e finanziamento del fornitore quali funzioni assorbenti la causa di finanziamento e gestione del contratto di factoring, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 2001, 5, 523 e ss.; nonché, S. Casamassima, Natura delle anticipazioni del factor al creditore cedente e art. 5, legge 21 febbraio 1991, n. 52. Nota a Trib. Vicenza 10 settembre 1998, in Il Diritto fallimentare e delle società commerciali, 1999, Fasc. IV, pt. 2, 837 e ss.

[38] G. Fossati – A. Porro, op. cit., 151; per cui «Certa è pertanto l’estraneità del factoring rispetto ai contratti associativi o di collaborazione, nonostante la particolare insistenza in esso degli obblighi di collaborazione».

[39] In tal senso, M. Nuzzo, Il factoring nella dottrina italiana, in Rivista italiana leasing, 1985, 2, 311 e ss.; A. Dimundo, Fallimento e factoring, in Diritto fallimentare, 1988, 244 e ss;

[40] V. Buonocore – A. Luminoso, Contratti d’impresa, Giuffrè, 1993, II, 1761 e ss.

[41] G. Fossati – A. Porro, op. cit., 148. Parimenti, A. Frignani, op. cit., 63 e ss.; P. Messina, Sulla qualificazione giuridica del contratto di factoring. Nota a App. Genova 19 marzo 1993, in Vita notarile, 1994, Fasc. II, pt. 1, 682 e ss.

[42] App. Genova 19 marzo 1993, in Rivista italiana del leasing, 1994, 392 e ss.

[43] L. Ghia, I contratti di finanziamento dell’impresa. Leasing e factoring, Giuffrè, 1997, 93 e ss.

[44] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 19716 del 2/10/2015.

[45] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 17116 del 27/8/2004.

[46] Cfr. P. Bontempi, Diritto bancario e finanziario, Giuffrè, 2014, 116 e ss.

[47] E. Vaglio, Causa vendendi del factoring e fallimento del fornitore. Nota a Cass., sez. I civ. 18 gennaio 2001, n. 684, in I Contratti, 2001, Fasc. VI, pt. 2, 567 e ss.

[48] In riferimento al contratto di mandato, il fallimento del mandatario scioglie il contratto, mentre quello del mandante consente al curatore di subentrare nel contratto, infatti a norma dell’art. 72 l. fall. ai primi due commi: «1. Se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando, nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l’esecuzione del contratto, fatte salve le diverse disposizioni della presente Sezione, rimane sospesa fino a quando il curatore, con l’autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito, assumendo tutti i relativi obblighi, ovvero di sciogliersi dal medesimo, salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del diritto. 2. Il contraente può mettere in mora il curatore, facendogli assegnare dal giudice delegato un termine non superiore a sessanta giorni, decorso il quale il contratto si intende sciolto».

[49] U. Apice, Factoring e procedure concorsuali, in Il Fallimento e le altre procedure concorsuali, 1999, Fasc. 12, 1289 e ss., per cui «mandati in rem propriam: negozi che alla stregua della giurisprudenza non rientrano nell’ambito dell’art. 78 cit. e quindi non sono soggetti allo scioglimento ex lege».

[50] B. Sirgiovanni, Qualificazione giuridica del contratto di factoring e suoi riflessi in caso di fallimento del cedente, in Obbligazioni e Contratti, 2005, 4, 350.

[51] Cass. 18 ottobre 1994, n. 8497, in Contratti, 1995, 23 e ss.

[52] F. Santi, Il factoring, Giuffrè, 1999, 163.

[53] L. Ghia, op. cit., 90 e ss.

[54] Cass. 7 aprile 1982, n. 2142, in F. Santi, op. cit., 164.

[55] R. Alessi – V. Mannino, Cessione, factoring, cartolarizzazione, in Trattato delle Obbligazioni, CEDAM 2008, IV, 1, 1143 e ss.

[56] Cfr. U. Belviso, L’ambito di applicabilità della nuova disciplina sulla cessione dei crediti d’impresa, in Rivista di diritto dell’impresa, 1992, 3.

[57] G. Guerrieri, op. cit., 42 e ss.

[58] A. Frignani – G. Rossi, Il factoring, in P. Rescigno (diretto da), Trattato di diritto privato, 2000, Utet, 76 e ss.

[59] R. Alessi – V. Mannino, op. cit., 1153 e ss.

[60] Cass. 24 giugno 2003, n. 10004, con nota di W. Finelli, La cessione di crediti d’impresa come schema di contratto atipico a prestazioni corrispettive, in Nuova giurisprudenza civile commentata, 2004, 1.

[61] S. D’Oro, Il “discrimen” tra il “factoring” e il mandato. Nota a Cass. Sez. I civ. 3 dicembre 2012, n. 21603, in Giurisprudenza italiana, 2013, VI, 1296 e ss.

[62] Ex plurimis, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 6192 del 7/3/2008; Sez. 1, Sentenza n. 17116 del 27/8/2004; Sez. 3, Sentenza n. 10004 del 24/6/2003; Sez. 1, sentenza n. 4654 del 12/4/2000, n. 4654.

[63] Così, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 15797 del 6/7/2009; Sez. 1, Sentenza n. 6192 del 7/3/2008; Sez. 3, Sentenza n. 2746 dell’8/2/2007; Sez. 1, Sentenza n. 17116 del 27/8/2004; Sez. 3, Sentenza n. 10004 del 24/6/2003; Sez. 3, Sentenza n. 1510 del 2/2/2001; Sez. 1, Sentenza n. 684 del 18/1/2001.

[64] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 684 del 18/1/2001.

[65] Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2746 dell’8/2/2007; Sez. 1, Sentenza n. 17116 del 27/8/2004; Sez. 3, Sentenza n. 10004 del 24/6/2003.

[66] Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2746 dell’8/2/2007

[67] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 21603 del 3/12/2012.

[68] Cass., Sez. 1, Sentenza n. 684 del 18/1/2001.

[69] Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/7/2016; Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/2/2015; Sez. L, Sentenza n. 10554 del 30/4/2010.

[70] Cass., Sez. 2, Sentenza n. 22828 del 12/12/2012.

[71] Ibidem.

[72] G. Zuddas, Il contratto di factoring, Jovene, 1983, 189.

 

Emanuela Zito

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