Il divieto di concorrenza del prestatore in sintesi

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Indice:

  1. Il divieto di concorrenza. Portata e deroghe.
  2. L’oggetto del divieto di concorrenza e la sua collocazione temporale
  3. Il patto di non concorrenza
  4. Volume consigliato

 

  1. Il divieto di concorrenza. Portata e deroghe.

Il divieto di concorrenza del prestatore di lavoro nei confronti del suo datore è contenuto nella norma di cui all’art. 2105 del codice civile, la cui rubrica reca “obbligo di fedeltà”, secondo cui: “il prestatore non deve trattare affari, per conto proprio o di terzi, in concorrenza con l’imprenditore…”. Il divieto in commento si colloca nell’ambito dei limiti legali, i quali vanno distinti dai limiti di natura convenzionale.[1]

Nel codice civile la libertà di concorrenza è concepita non in vista di un interesse collettivo, come quello di garanzia per i consumatori, ma quale strumento per la realizzazione di un interesse individuale: essa è, quindi, libertà alla quale gli imprenditori possono, in larga misura, rinunciare.[2]

Pertanto, il dettame in disamina, nella parte che riguarda l’obbligo di non concorrenza, risulta essere convenzionalmente derogabile, in quanto previsto nell’interesse della controparte. Inoltre, esso rileva senza che sia necessario una pattuizione esplicita.

Tuttavia, il divieto in esame non sempre è compatibile con tutte le ipotesi di lavoro subordinato, specie per quelle forme di lavoro peculiari, tra le quali possiamo annoverare quelle flessibili. Sul  lavoro in somministrazione[3] non vi è dubbio che il divieto operi. [4]

Per quanto riguarda, invece, il lavoro a domicilio (art. 2128 cc), l’obbligo negativo si configura solo se l’imprenditore affida al lavoratore commesse che richiedono una prestazione continuativa corrispondente all’orario di lavoro. Nel casso contrario, il lavoratore a domicilio è libero di accettare altre commesse di lavoro, anche di natura concorrenziale, senza che ciò costituisca illecito sul piano contrattuale nei rispettivi rapporti di lavoro subordinato pendenti nei confronti delle diverse società datrici.

  1. L’oggetto del divieto di concorrenza e la sua collocazione temporale

In cosa consiste il divieto di attività concorrenziale del dipendente? L’attività concorrenziale vietata, al di là che il prestatore d’opera ne tragga un profitto o che il datore ne subisca un danno,[5] prende forma allorquando il lavoratore tratti affari per contro proprio o per conto terzi. Inoltre, non è necessario che ricorrano i presupposti della concorrenza sleale[6], giacché questa fattispecie viene sanzionata come illecito extracontrattuale.

Ma qual è, dunque, l’oggetto del divieto di concorrenza? Esso si riferisce alla mansione o alla concorrenza tra imprese? In proposito, taluna dottrina[7] afferma che l’obbligo di non concorrenza vieta al lavoratore di svolgere per sé, o per altri, attività economiche di natura analoga a quelle pertinenti alle sue mansioni. Altra dottrina,[8] di converso, interpretando in maniera estensiva tale divieto, asserisce che l’obbligo di fedeltà è violato ogni qual volta le imprese siano concorrenti tra loro.

Prescindendo, infine, dalle diverse attestazioni dottrinali, è opportuno definire il perimetro della collocazione temporale della condotta, al fine di individuare quando il comportamento del dipendente si pone in contrasto con quanto prescritto dall’art. 2105 del codice civile. A tal riguardo, parte della giurisprudenza[9] ci illumina significandoci che il divieto in questione opera allorché il lavoratore svolga attività d’impresa o presti il proprio lavoro presso altro imprenditore, purché ciò avvenga – in  ogni caso – in costanza del rapporto di lavoro.

Ancora, il giudice di legittimità[10] ha ritenuto sussistente l’obbligo di non concorrenza, anche con riferimento al periodo di tempo successivo al licenziamento e intercorrente fino alla reintegrazione, facendo riferimento ai comportamenti individuati dall’art. 2105 cc, tra cui quello di svolgere attività lavorativa presso un datore di lavoro in concorrenza con il datore di lavoro originario.

  1. Il patto di non concorrenza

Le parti, in ossequio a quanto previsto dal combinato disposto degli articoli 2105 e 2125 del codice civile, possono definire – in via del tutto negoziale – l’estensione del divieto di concorrenza. Pertanto, i soggetti contrattuali ben possono collocare, al di fuori del rapporto di lavoro, il divieto in commento. Pur tuttavia, la letteratura giurisprudenziale, anche quella più recente,[11] arricchendo di contenuto l’articolo 2125 del codice civile, detta una serie di definizioni – siano esse correlate alla forma o all’oggetto, siano esse riferite al tempo o al luogo – acciocché il patto di non concorrenza sia ritenuto valido[12] e, dunque, non affetto da nullità.

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Note

[1] Cfr. artt. 2125, 2596 del codice civile

[2] Così F. Galgano, Diritto commerciale, I, L’imprenditore, Bologna, 1991, 170

[3] La somministrazione di lavoro viene introdotta nel nostro ordinamento, quale interposizione di manodopera lecita, con la riforma del mercato del lavoro di cui al dlgs. n. 276/2003 (c.d. Riforma Biagi)

[4] Cfr. art. 23 co. 7 del dlgs. n. 276/2003 e l’art. 35 co. 6 del dlgs. n. 81/2015

[5] Cfr. Cass. 4328/1996 e Cass. 2822/1990

[6] Vedi art. 2598 del codice civile

[7] R. Sconamiglio, Manuale di diritto del lavoro, 2^ edizione, Napoli, 2005

[8] P. FABRIS, Tramonto o eclissi dell’obbligo di fedeltà?, in RDL, 1982, II

[9]  Cfr. Cass. 8131/2017

[10]Cfr. Cass. 10663/2004

[11] Il patto di non concorrenza, quanto al corrispettivo dovuto, non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato; il corrispettivo del patto di non concorrenza può essere erogato anche in corso del rapporto di lavoro (Cassazione civile, Sez. lav., ordinanza 25 agosto 2021, n. 23418).

[12] Non è possibile che il patto di non concorrenza sia assolutamente carente dei limiti congrui del confine territoriale di sua applicabilità (Tribunale di Ravenna, 24/03/2005); in riferimento ai limiti di tempo, la sentenza della Cassazione civile, 04/08/2017, n. 19579, ha individuato nella maggiore estensione temporale del patto al dirigente, la ratio che questi possa – in ragione delle mansioni affidategli – svolgere un ruolo di alter ego dell’imprenditore, cosicché le informazioni ottenute da quest’ultimo possono rivelarsi maggiormente dannose in termini di attività concorrenziale postuma alla cessazione del rapporto di lavoro.

Dott. Domenico Giardino

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