Il divieto del patto commissorio e la cautela marciana

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Il patrimonio del debitore costituisce la garanzia per il creditore del proprio diritto di credito, rispetto all’inadempimento del debitore stesso. Ai sensi dell’articolo 2740 c.c., tale garanzia è universale: il debitore risponde infatti con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Inoltre il patrimonio è inteso come unità di beni, per cui le ipotesi di separazione patrimoniale, che consentono di sottrarre taluni beni dal resto del patrimonio e quindi alla garanzia dei creditori, sono esclusivamente quelle previste dalla legge.

Solo in tal modo è possibile rendere effettiva la funzione di garanzia generica del patrimonio del debitore, in modo da assicurare la par condicio creditorum.  L’esigenza di tutelare la parità di trattamento tra tutti i creditori dello stesso debitore è, però, derogata dalle cause legittime di prelazione, in vitrù della loro opponibilità erga omnes.  Solo in tali ipotesi tipicamente contemplate dalla legge è possibile alterare la par condicio, stante la legittima pretesa correlata al diritto reale di garanzia del creditore privilegiato, di venire soddisfatto con priorità rispetto agli altri creditori chirografari.

La nullità del patto commissorio

Proprio in funzione delle esigenze di tutela dei creditori, volte a consentire la realizzazione dei propri crediti nonostante l’inadempimento del debitore, insieme alla necessità di assicurare la par condicio creditorum, derogabile solo in ipotesi tipiche e tassative, l’ordinamento sancisce con la nullità il patto commissorio, all’articolo 2744 c.c.

Si tratta di un accordo tra debitore creditore, in base al quale, in mancanza del pagamento del credito nel termine stabilito, la proprietà della cosa ipotecata o data in pegno passa al creditore. Un accordo del genere, non solo lede la par condicio, ma altera anche l’ordine con cui, sulla base dei propri diritti di prelazione, i creditori privilegiati hanno diritto a soddisfarsi con priorità sul patrimonio del debitore.

La ragione del divieto risiede più motivazioni.

Dal punto di vista patrimonialistico, è funzionale alla tutela del contraente debole rispetto ad un patto idoneo a realizzare una sproporzione tra valore del bene dato in garanzia e valore del credito garantito. L’effetto del patto è un eccesso di garanzia patrimoniale: il risultato è un ingiustificato arricchimento del creditore che, sfruttando la propria posizione di forza, si soddisfa diventando proprietario di un bene dal valore superiore rispetto al credito garantito.

In una prospettiva non patrimonialistica, il divieto è relativo al patto di per sé considerato, al fine di tutelare la libertà morale del debitore. La norma che lo disciplina prescinde dal rapporto di valore tra bene e credito garantito e dal conseguente ingiustificato arricchimento. In quest’ottica quest’ultimo costituisce un elemento sintomatico del patto, ma non costitutivo, cosicché il patto sarebbe nullo anche se il rapporto tra valore del bene e credito garantito fosse proporzionato.

Divieto di autotutela privata

Infine, in una prospettiva ordinamentale, il patto commissorio è nullo perché contrasta con il divieto di autotutela privata, effetto che in concreto si realizza attraverso il patto stesso, potendo il creditore soddisfarsi al di fuori degli strumenti di tutela apprestati dall’ordinamento.

In aggiunta, permettendo al creditore di soddisfarsi diventando proprietario del bene in conseguenza dell’inadempimento del debitore, realizzando un tale effetto traslativo, introduce una forma di garanzia reale atipica, in deroga alla previsione del numero chiuso dei diritti reali di garanzia.

Infine, sempre in un’ottica ordinamentale, il patto commissorio è nullo per inettitudine della causa, non meritevole di tutela. Si tratta infatti di un negozio con funzione di garanzia che, in quanto tale, dovrebbe soddisfare l’interesse del creditore all’adempimento. Di contro il patto commissorio soddisfa l’interesse del creditore all’inadempimento, al fine di diventare proprietario del bene. È quindi un interesse contrario all’adempimento: si tratta di un negozio in funzione di garanzia che produce un effetto traslativo. In questa prospettiva, l’articolo 2744 c.c., sancisce un divieto di risultato, costituito dal realizzare un trasferimento di proprietà in funzione di garanzia, in conseguenza dell’inadempimento del debitore.

 

Il divieto sancito dalla norma si estende a qualunque negozio che realizzi lo stesso risultato pratico previsto dall’articolo 2744 c.c. In tale contesto è quindi necessaria una valutazione concreta, caso per caso, circa l’effettiva elusione fraudolenta del risultato vietato dalla norma.

 

In tale risultato, e quindi del divieto, ricadono anche le alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate e risolutivamente condizionate. Nelle prime, l’inadempimento del debitore costituisce la condizione che determina la produzione dell’effetto per cui il creditore diventa proprietario del bene dato in garanzia. Nelle seconde, il debitore trasferisce immediatamente la proprietà al creditore, ed il suo adempimento costituisce la condizione risolutiva che gli permette di ritornare ad essere proprietario del bene: l’acquisto da parte del debitore è quindi precario, e si consolida nel caso di inadempimento del debitore.

Entrambi gli accordi vengono definiti patti commissari autonomi, in cui il risultato pratico del trasferimento precario della proprietà con funzione di garanzia, in conseguenza dell’inadempimento o meno dell’obbligazione da parte del debitore, è lo stesso risultato vietato dall’articolo 2744 c.c.

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Rientra nel divieto, proprio in virtù del risultato pratico che produce, il contratto preliminare di compravendita stipulato in modo che il bene promesso in vendita costituisca la garanzia reale rispetto all’adempimento di obbligazioni a carico del promettente venditore, relative ad altro negozio collegato.

Anche il contratto di sale and lease back può costituire un mezzo per eludere il divieto del patto commissorio: la vendita dei beni alla società di leasing e l’opzione per il riscatto, possono celare un’alienazione a scopo di garanzia risolutivamente condizionata. L’acquisto del bene sarebbe provvisorio, potendo il venditore esercitare il riscatto e riacquistarne la proprietà, pagando un prezzo che rappresenta l’adempimento del debito garantito e celato. Al fine di riscontrare la violazione del divieto è necessaria una valutazione caso per caso, alla luce di elementi sintomatici: la presenza di una situazione di debito del venditore rispetto alla società, che sia preesistente o contestuale alla vendita; l’approfittamento da parte della società della condizione di debolezza del venditore, data dalle difficoltà economiche di quest’ultimo; la sproporzione tra valore del bene e corrispettivo versato dalla società.

La cautela marciana

Diversa da queste situazioni è invece la cautela marciana: un’alienazione condizionata in cui l’inadempimento del debitore è condizione sospensiva dell’acquisto del bene da parte del creditore. La peculiarità, però, è data dalla stima del bene da parte di un terzo imparziale, in modo che l’eccedenza di valore rispetto al credito garantito sia restituita al debitore.

È proprio questo elemento differenziale rispetto al patto commissorio che permette all’accordo in questione di scongiurare l’arricchimento ingiustificato del creditore in danno del debitore, e quindi di non rientrare nel divieto sancito dall’articolo 2744 c.c. Nel caso del patto marciano infatti, il creditore diventa proprietario del bene dato in garanzia nei limiti del valore del credito garantito, e questo proprio grazie alla stima del bene, con la relativa restituzione dell’eccedenza di valore al debitore.

A sostegno della sua validità, è possibile riscontrare in altri ordinamenti ipotesi che lo contemplano espressamente, come quello francese. Ma anche elementi di diritto interno contemplano forme di deroga al divieto del patto commissorio, come il contratto di finanziamento tra imprenditore ed intermediario bancario, il pegno non possessorio, il pegno irregolare, che ha ad oggetto denaro o beni fungibili. Si tratta nello specifico di ipotesi che prevedono una cautela marciana ex lege, in quanto il debitore è obbligato a restituire l’eccedenza di valore del bene, in modo da soddisfarsi esclusivamente nei limiti del valore della cosa venduta, evitando così l’ingiustificato arricchimento.

In una prospettiva prettamente partimonialistica pertanto, tali ipotesi di deroga al divieto di patto commissorio introdotte dal legislatore, che anzi contemplano espressamente una cautela marciana, permettono di avallare la validità del patto marciano, e quindi la validità di un’alienazione a scopo di garanzia assistita dalla cautela marciana.

 

Di contro però la giurisprudenza, in una diversa prospettiva non patrimonialistica ed ordinamentale, sostiene la nullità anche del patto marciano: la ratio del divieto del patto commissorio prescinde dalla sproporzione del valore tra credito garantito e cosa data in pegno, prescinde dall’ ingiustificato arricchimento del creditore. Pertanto il divieto è diretto nei confronti di qualunque patto che produca come effetto il trasferimento della proprietà in funzione di garanzia come conseguenza dell’inadempimento del debitore. Il patto marciano in quest’ottica, costituendo un’alienazione a scopo di garanzia sospensivamente condizionata, ricade nel divieto sancito dall’articolo 2744 c.c., e le ipotesi di deroga introdotte dal legislatore costituiscono eccezioni che confermano e rafforzano il valore della regola generale.

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