Il distacco del lavoratore nelle reti d’impresa

Con il recente D.l. n. 76 del 2013, convertito in Legge n. 99 del 2013, ed entrato in vigore precisamente il 23 agosto 2013, sono state introdotte alcune modifiche al testo normativo dell’art. 3, co. 4-ter della Legge n. 33 del 2009, costituente il corpus della disciplina di riferimento per i cosiddetti contratti di rete tra imprese. Il testo della disposizione di cui all’art. 7, co. 2, lett. 0a) del D.l. n. 76/2013,  già convertito in Legge 99/2013, è stato strasfuso all’interno dell’art. 30 del D.lgs. n. 276 del 2003, c.d. Legge Biagi, in materia di occupazione e mercato del lavoro, che vede così ora ampliato il proprio contenuto col nuovo comma 4-ter, a tenore del quale: “qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009 n. 5, convertito con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009 n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del Codice Civile. Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto stesso”.

La recente disposizione così richiamata richiede però, prima della sua analisi in dettaglio, una premessa generale in ordine alla figura del distacco del lavoratore, nonché  una brevissima introduzione ai contratti di rete, quale nuova forma di aggregazione tra imprese, per capire appieno la portata e le implicazioni delle novità da essa introdotte nell’Ordinamento.

In via generale, con l’espressione “distacco del personale” si fa riferimento a quell’istituto disciplinato all’art. 30 del D.lgs. n. 276 del 2003,  che prevede la possibilità per il lavoratore dipendente di svolgere la propria prestazione presso un’impresa diversa dal datore di lavoro per il quale è stato assunto, e lo fa per esigenze temporanee e prevalenti interessi che fanno capo al datore stesso. In pratica, con il distacco ci si trova in una di quelle ipotesi tipizzate dal legislatore, analogamente a quanto accade nella somministrazione di lavoro e nell’appalto, in cui si deroga al sistema generale delineato dall’art. 2094 c.c. L’impianto delineato dall’articolo 2094 c.c., infatti, individua due soggetti del rapporto di lavoro subordinato: il datore di lavoro ed il prestatore di lavoro. Nelle ipotesi di distacco diviene un rapporto tripartito dal punto di vista soggettivo con datore di lavoro, prestatore di lavoro ed utilizzatore terzo. Vi è, dunque, una dissociazione nel rapporto di lavoro rispetto allo schema generale di subordinazione ex art. 2094 c.c., che si realizza con una scissione soggettiva per cui il datore di lavoro non è l’utilizzatore finale, quest’ultimo è invece rappresentato una impresa terza che si avvale dei lavoratori altrui.

Si ha, pertanto, un soggetto distaccante, ovvero il datore di lavoro che per primo, per un interesse prevalente della propria impresa, mette per un tempo definito uno o più lavoratori da egli assunti, lavoratori distaccati, a diposizione di una impresa terza, distaccataria, affinché quest’ultima fruendo della loro prestazione possa eseguire una certa attività lavorativa.

Affinché l’istituto in esame  sia, però, lecitamente impiegato, risulti quindi un distacco genuino e non sfoci in forme di somministrazione illecita, irregolare o di interposizione fittizia di manodopera vietata, devono essere soddisfatti tre requisiti essenziali, congiuntamente.

Un primo requisito è rappresentato dal fatto che deve sussistere un interesse al distacco da parte del datore di lavoro che lo dispone. Esso deve, quindi, essere, secondo giurisprudenza dominante,  specifico, rilevante, concreto e persistere per tutto il tempo del distacco stesso, a che il dipendente del distaccante esegua la prestazione lavorativa presso il distaccatario per specifiche esigenze produttive (cfr. in terminis: Cass. Civ. 11263/2004). È proprio la presenza di questo interesse datoriale al distacco del lavoratore che fa sì che permanga il rapporto di sinallagmaticità tra le parti (distaccante e distaccatario), preservandone la causa. Se tale interesse venisse a mancare, infatti, il distacco diverrebbe illegittimo.

Un secondo requisito è costituito dalla temporaneità, e per converso della non definitività, del distacco del lavoratore presso il distaccatario, questo è altro evidente corollario della persistenza del suddetto interesse del datore di lavoro sopra menzionato.

Infine, il requisito relativo alla responsabilità del datore, che resta unico titolare del rapporto di lavoro, poiché “il distacco non comporta una novazione soggettiva ed il sorgere di un nuovo rapporto con il beneficiario della prestazione lavorativa, ma solo una modificazione nell’esecuzione dello stesso rapporto” (Cass. 10 agosto 1999, n. 8567; cfr. Cass. 22 marzo 2007, n. 7049 ), nei confronti del dipendente.

Ciò è particolarmente visibile  sotto il profilo dell’obbligo retributivo, contributivo, previdenziale, nonché di risoluzione del distacco e liquidazione del trattamento di fine rapporto del dipendente, con allocazione, invece, dei poteri direttivo, di controllo e disciplinare in capo all’impresa distaccataria, la quale a sua volta costituisce un centro autonomo di imputazione rispetto al datore di lavoro.

In pratica, con il distacco del lavoratore si realizza una forma di mobilità del medesimo tra distinti centri imprenditoriali, aumentando la flessibilità della prestazione ed il decentramento lavorativo per le imprese, e consentendo di sopperire così a particolati esigenze produttive, in via temporanea, non realizzabili altrimenti presso la medesima azienda per la quale il lavoratore è assunto.

Nel caso non siano rispettati i requisiti ex lege richiesti, il lavoratore può ricorrere al giudice del lavoro per l’accertamento dell’illegittimità del distacco, insussistenza del rapporto di lavoro col distaccante e la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato con il distaccatario, a seguito dell’avvenuto accertamento giudiziale del vero datore di lavoro, con tutte le conseguenze, anche di ordine economico, che ciò comporta per l’impresa distaccataria. Tra queste si richiama a titolo di esempio la corresponsione al lavoratore, per tutta la durata del distacco, delle spettanze retributive e contributive, escluse quelle da questi già percepite dal distaccante, oltre alla possibile irrogazione di sanzioni amministrative e penali alle imprese.

Nell’ipotesi in cui il distacco legittimamente posto in essere dal datore di lavoro comporti una modificazione di mansioni per il lavoratore distaccato, si configura come condicio iuris all’efficacia del medesimo il consenso del dipendente, l’assenza di quest’ultimo però non incide sulla sua validità del distacco, tanto che in caso non solo di mancanza ma anche di negazione del consenso da parte del lavoratore, il distacco pur valido resterebbe però inefficace, e quindi improduttivo di effetti.

Il consenso al distacco, pertanto, secondo questa impostazione, non risulta elemento costitutivo del rapporto bilaterale (distaccante- distaccatario), ma è previsto dal legislatore come tutela speciale posta a favore del lavoratore distaccato ed a protezione del proprio patrimonio professionale. In tali circostanze, pertanto, il consenso del lavoratore al distacco assume quasi il valore di ratifica della decisione già validamente ed unilateralmente presa dal datore di lavoro secondo il criterio della “ equivalenza delle mansioni”, chiarisce sul punto la circolare ministeriale n. 3 del 2004 che il consenso “vale a ratificare l’equivalenza delle mansioni nell’ipotesi in cui, pur in assenza di demansionamento, vi sia una specializzazione e/o una riduzione dell’attività svolta con riguardo al patrimonio professionale del lavoratore”.

Infine, l’art. 30 delle Legge Biagi afferma che in ipotesi di distacco per unità produttive che distino oltre 50 chilometri da quella propria del lavoratore, vi devono essere “comprovate ragioni tecniche, organizzativa, produttive o sostitutive”, ponendo una ulteriore forma di garanzia a favore del dipendente distaccato.

A seguito della modifica legislativa, introdotta nel comma 4ter, come già riportato all’inizio della presente trattazione, è ora possibile applicare lo strumento del distacco del lavoratore  anche in aziende appartenenti ad una rete di imprese.

Tale istituto è stato introdotto nell’Ordinamento con le Leggi n. 33 del 2009 e n. 122 del 2010, e modificato dalle recenti Leggi n. 134 del 2012 e n. 221 del 2012. Brevissimamente la rete di imprese altro non è che una nuova tipologia di associazionismo imprenditoriale su base contrattuale, che permette alle singole imprese aderenti, c.d. retiste, di collaborare, pur rimanendo persone giuridiche autonome, e di mettere in comune informazioni, risorse, prestazioni tecniche o tecnologiche, know how, di impegnarsi in progetti relativi alla produzione, al marketing, alla formazione del personale, ed a forme di investimento nell’acquisto di beni o servizi, alla promozione di marchi o brand, alla gestione della logistica, e ad ottenere i requisiti per partecipare a gare ed appalti, allineandosi così in team di eccellenza o di valorizzazione di realtà locali, tali da assumere anche un maggior peso in termini di competitività e visibilità sul mercato. Il dato normativo, art. 42 della Legge n. 122 del 2010, afferma che scopo di tale tipologia contrattuale si ha poiché “con il contratto di rete più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete”. Questo risultato è incentivato anche da tutta una serie di agevolazioni fiscali e tributarie riservate alle imprese retiste.

La nuova disposizione, di cui all’art. 30, co. 4 ter del D.lgs. n. 276 del 2003, offre finalmente le opportune indicazioni legislative per la coordinazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti di imprese differenti ma aderenti alla medesima rete, incentivando l’utilizzo dell’istituto del distacco del lavoratore e risolvendo questioni annose, anche attraverso l’introduzione del concetto di codatorialità, completamente nuovo per il nostro Ordinamento giuridico.

Prima dell’inserimento nel diritto positivo di questo comma erano principalmente due le tesi che si fronteggiavano nella risoluzione della problematica.

La prima sosteneva la possibilità del “passaggio” di un lavoratore subordinato tra un’impresa retista e l’altra, ponendo l’accento sull’insieme di tipo industriale che tale forma di aggregazione di imprese formano, e consentendo quindi una sorta di condivisione anche del fattore forza lavoro come risorsa da mettere in comune, al pari delle altre risorse produttive.

L’altra tesi, di segno opposto, facendo leva sull’autonomia completa che ciascuna impresa mantiene anche se aderente contrattualmente ad una rete, esclude in toto l’impianto sopradescritto, asserendo che il legame  aggregativo che costituisce la rete non è in grado di permettere il suddetto passaggio di dipendenti.

In realtà, con l’entrata in vigore della norma in commento, vengono superate queste posizioni, con parziale accoglimento della prima, per cui ora il dato normativo non solo consente il distacco del lavoratore dipendete tra imprese retiste, ma lo rende concettualmente più forte di quello che è tradizionalmente il distacco del lavoratore non in ambito di contratto di rete. Tale risultato è raggiunto dalla presunzione legale iuris et de iure che pone il comma 4 ter a tenore del quale “l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete”. Esiste, quindi, per tutte le imprese firmatarie di un medesimo contratto di rete una sorta di giustificazione automatica alla legittimità del distacco del lavoratore, in quanto l’interesse datoriale va individuato nel contratto stesso ed ex lege in via implicita o presuntiva.

Dalla Circolare Ministeriale n. 35/2013 viene ulteriormente chiarito che “ con tale intervento il Legislatore ha inteso configurare ‘automaticamente’ l’interesse del distaccante al distacco qualora ciò avvenga nell’ambito di un contratto di rete”.

Il comma riconosce, altresì, la possibilità della codatorialità in capo al lavoratore in tali circostanze, ovvero l’esistenza di anche due o più datori di lavoro di altrettante imprese retiste verso il medesimo lavoratore.

Tale nozione di codatorialità, introdotta solamente nel comma 4 ter, e devoluta nella sua specifica e peculiare disciplina alla volontà delle imprese retiste in sede di stesura del contratto medesimo, vuole significare la possibilità di titolarità congiunta del rapporto di due differenti imprese retiste rispetto allo stesso lavoratore dipendente assunto da una di queste. In tali termini il distacco si pone, pertanto, in via dogmatica come estrema frontiera applicativa contenuta nel concetto del distacco tradizionalmente inteso, che comunque presuppone un solo datore di lavoro ed un terzo solo utilizzatore.

La codatorialità, quindi, dei lavoratori subordinati ingaggiati viene stabilità direttamente dalle regole e clausole dedotte nel contratto di rete stesso, comportando il fatto che  verso il personale distaccato, “ il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete.

Sul piano di eventuali responsabilità penali, civili ed amministrative, e quindi sul piano della sanzionabilità degli eventuali illeciti, occorrerà quindi rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare ‘automaticamente’ una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto” ( Circolare Ministeriale n. 35/ 2013)

Tutte queste previsioni spronano ed incentivano quindi forme di collaborazione vicendevole tra imprese retiste, facilitandole la regolazione dei rapporti anche per quanto riguarda la condivisione di forza lavoro e consentendo un ampio margine di autonomia contrattuale  e di regolamento negoziale ai sensi dell’art. 1322 c.c.

Infine,l’enunciazione della clausola di salvaguardia, che fa la norma in analisi, “fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del Codice Civile”, richiamando così la disciplina sul trasferimento del dipendente, altro non si tratta che un limite posto per voluntas legis al datore di lavoro, il quale disponga un distacco comportante anche, al tempo stesso, trasferimento del lavoratore. In tali circostanze, infatti, il lavoratore “non può essere trasferito da una unità produttiva ad un’altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive”, ponendo un aggravio ulteriore anche al distacco tra imprese retiste.

Il legislatore, con tale previsione, ha voluto prevenire abusi e applicazioni arbitrarie dell’istituto del  distacco a discapito del lavoratore distaccato, atteso il favor di cui tale istituto gode in ambito di imprese aderenti ad un contratto di rete.

Avv. Federica Stecca

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