Il deficit democratico dell’Unione europea e il ruolo del Parlamento

Sgueo Gianluca 27/11/08
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 1. Il deficit democratico dell’Unione europea
 
Il tema della partecipazione e della democrazia sono uno dei settori nei quali l’Unione europea ha incontrato le maggiori difficoltà negli ultimi anni. Questo articolo vuole approfondire meglio il discorso relativo all’esistenza di un deficit democratico, con particolare riferimento al ruolo del Parlamento europeo.
È vero, infatti, che osservando il contesto dei rapporti tra il Parlamento, la Commissione ed il Consiglio dell’Unione europea, si percepisce in modo evidente la presenza di un divario nelle competenze esercitate dalle diverse istituzioni. In altre parole, il Parlamento europeo, custode dei valori democratici nell’Unione, tutt’oggi svolge un ruolo che, se non comprimario, appare comunque marginale rispetto a quello svolto dalla Commissione e dal Consiglio. Questo divario, però, trova delle spiegazioni che è bene non trascurare per comprendere in modo adeguato i problemi legati alla partecipazione degli interessi privati.
Si può anticipare, peraltro, che il problema relativo al deficit democratico si ridimensiona sensibilmente nel momento in cui si osserveranno le garanzie procedurali offerte alle parti interessate nelle funzioni di competenza della Commissione e si amplierà il discorso al dialogo tra questa e la società civile. Ne emerge, infatti, un quadro ben più articolato e complesso di quello che potrebbe apparire ad una prima, superficiale, osservazione. I portatori di interessi rilevanti vengono garantiti del diritto di accedere ai documenti (e, più in generale della facoltà di usufruire di un sistema trasparente, che consente loro di essere informati circa lo sviluppo delle politiche europee), di quello di essere ascoltati allorchè il procedimento li interessa personalmente oppure, in caso di procedure rivolte alla generalità dei cittadini, del diritto di essere consultati nel corso dell’adozione delle decisioni.
Non si tratta, ovviamente, di un sistema altrettanto sviluppato rispetto a qualsiasi sistema nazionale, sia esso ascrivibile alla famiglia del common o del civil law. Ciò nonostante, la presenza di questi diritti endo-procedimentali costituisce il punto di raccordo tra le garanzie procedurali nel contesto globale, ove tuttavia simili diritti partecipativi sono del tutto assenti o, comunque, meno sviluppati e i singoli ordinamenti domestici.
In detto contesto, quindi, la connotazione deficitaria non perde completamente la sua ragione di essere ma si ridimensiona per lasciare spazio a problemi nuovi ed ulteriori, della cui trattazione mi occuperò nelle pagine che seguono.
 
2. La rappresentanza indiretta degli interessati nell’attività del Parlamento europeo. Le differenze dall’ordine giuridico globale
 
Cominciamo dunque dall’analisi delle strutture consultive operanti presso le istituzioni comunitarie e, contestualmente, all’identificazione delle ragioni che hanno portato gli studiosi, giuristi e politologi, a qualificare questo rapporto in termini di deficit democratico.
Com’è noto lo sviluppo delle procedure decisionali a livello europeo coinvolge, accanto alla Commissione, il Parlamento europeo – in rappresentanza dei cittadini, che lo eleggono – e dal Consiglio dell’Unione europea, che rappresenta, invece, i singoli Stati. In virtù di questo rapporto triangolare, alla Commissione spettano funzioni prettamente esecutive ma anche, in parte, propositive e decisionali[1]. Il Consiglio ed il Parlamento, a loro volta, svolgono funzioni decisionali e adottano formalmente le decisioni[2].
In generale, è appena il caso di sottolineare quali sono le differenze tra questo ordine di rapporti e quello proprio delle istituzioni globali. Si prendano, a titolo di esempio, la Wto ed il Wb group. In entrambe i casi prevalgono, all’interno dei processi decisionali, le posizioni dei singoli Stati che ne fanno parte. Dunque, benchè operino strutture deputate ad acquisire le opinioni della società civile, il percorso che una decisione deve compiere per essere assunta validamente è relativamente semplice: è necessario che si ottenga la maggioranza necessaria tra le rappresentanze dei governi nazionali coinvolti.
Nel caso europeo, invece, la scelta che ha prevalso sin dall’origine è stata quella di creare un sistema propriamente integrato. In esso, cioè, accanto alla componente governativa – appunto, il Consiglio – è stata posta un’istituzione direttamente rappresentante i cittadini europei – che successivamente hanno potuto eleggerla direttamente[3]. Si tratta del Parlamento europeo[4].
È vero, d’altra parte, che nel caso delle istituzioni globali l’intento originario (o, perlomeno, uno dei principali) è stato quello di costituire un’alleanza inter-governativa, finalizzata alla migliore gestione e controllo di settori transnazionali di interesse comune, quali ad esempio il commercio o la gestione del credito. Il che spiega due cose. Perché, anzitutto, almeno nella configurazione originaria che caratterizza le istituzioni globali, le posizioni giuridiche soggettive dei singoli individui non sarebbero state prese in considerazione, se non indirettamente. Spiega, inoltre, perchè i modelli di consultazione globale si siano formati più lentamente nel tempo e, soprattutto, mostrino tuttora una certa immaturità nella gestione dei problemi relativi all’intervento dei singoli individui o dei gruppi di interesse[5].
Al contrario, come ho appena detto, nel processo di costruzione della Comunità europea è maturata sin da subito la consapevolezza della possibilità che potessero essere coinvolte direttamente le posizioni giuridiche individuali. Ne è derivata l’esigenza di garantire gli interessi privati attraverso lo sviluppo di procedure democratiche all’interno della Comunità. In realtà non soltanto procedure ma, anche, strutture organizzative appositamente predisposte a tale scopo.
 
3. Le radici del deficit democratico. I limiti congeniti all’attività del Parlamento: il rapporto indiretto con i portatori di interesse
 
Spetta dunque al Parlamento europeo, secondo il disegno originario dei padri costituenti europei, il compito di bilanciare democraticamente il processo decisionale ed assicurare ai processi decisionali comunitari un adeguato livello di democraticità.
In realtà, come si è in parte già anticipato, il ruolo svolto finora dal Parlamento europeo è stato particolarmente marginale, per almeno tre diversi ordini di ragioni.
Anzitutto, e soprattutto, così come accade per il Consiglio dell’Unione europea, la rappresentanza garantita agli interessi dei cittadini è indiretta. L’attività del Parlamento, infatti, non favorisce l’intervento diretto degli interessati in seno alle procedure decisionali. Né, in realtà, potrebbe essere diversamente. La logica che presiede al ruolo dell’istituzione, infatti, ricalca quella propria di qualsiasi democrazia occidentale. Nei Parlamenti siedono i rappresentanti del popolo, da questi eletti. L’intervento diretto dei cittadini è dunque escluso.
È vero, semmai, che il Parlamento si preoccupa di mantenere rapporti con le parti interessate della società civile finalizzati ad alimentare un vincolo di fiduciarietà tra queste e la propria attività.
Gli strumenti attraverso i quali la società civile comunica con il Parlamento sono prevalentemente cinque[6]. Il primo, più generale, fa riferimento alla possibilità per i cittadini di accedere ai relativi documenti, fatte salve le ipotesi in cui l’accesso è differito o escluso. A tal fine è istituito un registro pubblico degli atti del Parlamento (e di tutte le altre istituzioni) cui i cittadini possono fare riferimento.
Il secondo strumento prende il nome di “posta del cittadino”. Si tratta di un vero e proprio casellario di posta elettronica al quale i cittadini possono fare riferimento per formulare domande, chiedere informazioni o presentare proposte. Non sono previsti particolari limiti di forma o sostanza. È sufficiente che le domande riguardino uno dei settori di competenza dell’Unione e vengano presentate compilando l’apposito modulo online[7]. Il Parlamento si impegna a rispondere a ciascun cittadino, nella lingua di appartenenza, entro un termine di tempo ragionevole.
Il terzo strumento è disciplinato nel Trattato, all’articolo 194 e nel Regolamento del Parlamento europeo, all’articolo 191. Si tratta del cd. «diritto di petizione», per cui qualsiasi cittadino dell’Unione europea o residente di uno Stato membro può presentare una petizione al Parlamento europeo, individualmente o in associazione con altri, su una materia che rientra nel campo d’attività dell’Unione europea e che lo concerne direttamente. Il diritto di petizione è riconosciuto espressamente  anche alle società, organizzazioni o associazioni con sede sociale nell’Unione europea.
L’esercizio del diritto, come prevede l’articolo 191 del Regolamento procedurale del Parlamento, dai punti quarto e seguente, avviene nelle seguenti modalità: «(…) 4. Le petizioni sono iscritte in un ruolo generale nell’ordine in cui sono pervenute, se soddisfano alle condizioni previste al paragrafo 2; in caso contrario esse vengono archiviate e il motivo viene comunicato ai firmatari. 5. Le petizioni iscritte nel ruolo generale sono deferite dal Presidente alla commissione competente, che deve esaminare se esse rientrano nell’ambito delle attività dell’Unione europea. 6. Le petizioni dichiarate irricevibili dalla commissione sono archiviate. I firmatari sono informati in merito alla decisione presa e ai motivi della stessa. 7. In tal caso la commissione competente può suggerire al firmatario di rivolgersi alla competente autorità dello Stato membro interessato o dell’Unione europea. 8. A meno che i firmatari non ne abbiano sollecitato un esame riservato, la petizione è iscritta in un ruolo generale pubblico. 9. Qualora la commissione lo ritenga opportuno, può sottoporre la questione al Mediatore (…)».
Il quarto strumento prende il nome di Agorà. Si tratta di un forum telematico, accessibile dal sito web del Parlamento, dedicato a questioni problematiche di particolare rilievo. Al momento, ad esempio, il tema porante è costituito dai cambiamenti climatici e dal coinvolgimento delle istituzioni e dei cittadini europei. In passato, invece, il principale argomento di discussione era stato costituito dal futuro dell’Europa.
L’ultima forma di contatto diretto tra l’istituzione ed i cittadini è costituita dalla presenza di alcuni uffici di informazione dislocati sull’intero territorio europeo. In Italia, ad esempio, sono presenti due uffici: uno a Roma ed uno a Milano.
Alcune brevi osservazioni su quanto detto. Anzitutto, è bene aver presente che iascuna di queste forme di interazione è affidata alla gestione di uno degli uffici interni del Parlamento, comprese quelle che si svolgono prevalentemente attraverso l’utilizzo di strumenti informatici. Nel caso degli uffici di informazione, poi, le strutture competenti hanno una collocazione decentrata rispetto al Parlamento, cui fanno comunque capo.
Quanto, invece, all’incidenza concreta che queste hanno sull’attività del Parlamento è difficile poter dare una risposta esatta. Le petizioni ed i rapporti epistolari telematici sono, tra tutti, gli unici che legittimano i richiedenti al diritto ad ottenere una risposta esaustiva, anche nel caso in cui vengano archiviate. In tutti i casi, comunque, l’impressione è che si tratti piuttosto di strumenti finalizzati ad accrescere la percezione di un’istizione trasparente presso i cittadini, piuttosto che dei veri e propri canali di accesso alle procedure decisionali. È plausibile, pertanto, che i singoli componenti del Parlamento possano avere interesse a valutarne il contenuto per poi operare proposte in linea con la volontà della maggioranza. Non esiste, però, alcun vincolo concreto in proposito.
 
4. L’elezione a suffragio universale
 
La stessa elezione a suffragio universale non è, di per sé, uno strumento che garantisce l’ingresso degli interessati nelle procedure decisionali o accresce le possibilità che questo si verifichi. Vi fa da filtro, appunto, la presenza dei partiti politici rappresentati in seno al Parlamento europeo. Ciascun membro eletto ha un vincolo di mandato che fa riferimento primariamente al proprio partito.
C’è da dire, a conferma di quanto appena esposto, che il numero estremamente ridotto di votanti che finora ha preso parte alle tornate elettorali per eleggere i rappresentanti del Parlamento ha mostrato una percezione da parte dell’elettorato ancora legata ai contesti domestici di appartenenza.
I cittadini europei, in altre parole, hanno dimostrato di avvertire l’esistenza di un rapporto con il Parlamento europeo, che tuttavia si traduce in un legame estremamente labile. Tanto è vero che il numero di proposte finalizzate alla modifica delle procedure elettorali, con il fine precipuo di accrescere l’interesse della comunità[8] (e conseguentemente il numero dei votanti) sia notvolmente cresciuto negli ultimi anni.
 
5. L’incidenza del Parlamento sul processo democratico europeo
 
Il terzo ordine di ragioni risiede nella reale incidenza che il Parlamento europeo ha svolto in Europa, in particolare nello sviluppo di un sistema democratico e partecipato.
Si tratta di un discorso complesso e per larga parte legato a quanto si è detto sulla natura democratica deficitaria dell’Unione. In linea generale, le opinioni espresse dai competenti comitati del Parlamento europeo non hanno alcuna efficacia vincolante presso il Consiglio e la Commissione. Questo significa che pur quando l’opinione del Parlamento deve essere resa obbligatoriamente, il merito può essere disatteso dall’istituzione richiedente senza che ciò comporti ripercussioni specifiche sull’esito della decisione.
Non a caso, nel corso dei lavori preparatori che accompagnarono la redazione del Trattato di Maastricht la proposta di utilizzare l’espressione «potere di co-decisione», con riferimento all’attività del Parlamento e del Consiglio, venne scartata per motivi politici. Le si preferì, invece, un’espressione tecnica, più neutra (e politicamente meno rischiosa). Si definì il rapporto nei termini di «procedura prevista dall’articolo 189(b)»[9]. Una definizione che ha impedito la nascita di qualsiasi perplessità relativa al ruolo meramente consultivo dell’istituzione parlamentare europea.
 
6. Le modifiche intervenute negli ultimi anni. Le commissioni di concertazione ed i poteri nelle procedure di bilancio
 
Le istituzioni comunitarie, consapevoli della marginalità del ruolo svolto dal Parlamento, hanno tentato negli anni di incrementare gli spazi di cooperazione.
Le parti istituzionali, infatti, hanno dovuto prendere atto dell’esistenza di uno sviluppo a due velocità dei processo di integrazione e democratizzazione europei. Sicchè, oltre allo sviluppo della normativa ufficiale, l’impegno è stato rivolto alla conclusione di accordi inter-istituzionali che accrescessero l’importanza del Parlamento[10].
Ci sono due documenti particolarmente interessanti in merito. Il primo è costituito dalla Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione, in vigore dal marzo del 1975, relativa all’istituzione di una procedura di concertazione[11].
In base ad essa – seppure limitatamente agli atti comunitari di portata generale che abbiano implicazioni finanziarie notevoli e la cui adozione non sia imposta a norma di atti preesistenti – qualora il Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni si esprima negativamente viene creata una commissione di concertazione che riunisce il Consiglio e alcuni rappresentanti dello stesso Parlamento europeo (mentre la Commissione partecipa ai lavori in qualità di osservatore).
Lo scopo delle commissioni di concertazione è ovviamente quello di cercare un accordo. Al loro interno, però, non è data la possibilità di presentare le proprie osservazioni ai portatori di interessi della società civile. La concertazione, pertanto, è svolta esclusivamente a livello istituzionale ed ha come unico scopo quello di appianare i contrasti tra Parlamento, Commissione e Consiglio.
Il secondo esempio è costituito dalla Decisione del Consiglio n. 3, del 4 aprile 1970, che favorisce una migliore cooperazione con il Parlamento relativamente alle procedure di bilancio[12]. Anche in questo caso, comunuque, non è dato spazio particolare agli interessi della società civile. La finalità è esclusivamente quella di migliorare i rapporti tra le due istituzioni.
 
7. La giurisprudenza comunitaria sull’institutional balance of power. I casi dell’icoglucosio e Le Pen
 
In merito al problema citato, infine, è da registrare la presenza di alcuni interessanti interventi della Corte di giustizia.
Si tratta di pronunce discordanti. Infatti, se da una parte i giudici europei hanno affermato l’esistenza di un obbligo giuridico per le istituzioni comunitarie di consultare l’opinione del Parlamento, in altre occasioni, invece, hanno avallato il sistema per cui le decisioni di quest’ultimo godono di scarsa legittimazione[13]. Naturalmente le ragioni che possono giustificare l’uno o l’altro orientamento sono molteplici. È però significativa la mancanza di un orientamento comume da parte della giurisprudenza, tale da poter incidere concretamente sul riequilibrio dei rapporti inter-istituzionali.
È possibile, a fini esemplificativi, citare due decisioni. Quanto al primo profilo, il leading case in materia risale al 1979, a seguito dell’adozione da parte del Consiglio europeo di un regolamento sull’isoglucosio in assenza del parere positivo del Parlamento stesso. La Corte di giustizia, adita sulla questione da una risoluzione del Parlamento del dicembre dello stesso anno, riconobbe l’esistenza di un obbligo di consultazione del Parlamento ed annullò la decisione del Consiglio[14].
Come ebbe modo di specificare nelle proprie motivazioni, la Corte sostenne che: «The consultation provided for in the (…) Treaty is the means which allows the Parliament to play a (…) part in the legislative process of the Community. Such power represents an essential factor in the institutional balance intended by the Treaty. Although limites, it reflects at Community level the fundamental democratic principle that the people should take part in the exercise of power through the intermediary of a representative assembly. Due consultation of the Parliament therefore constitutes an essential procedural requirement disregard of which means that the measure concerned is void».
È particolarmente interessante notare come, nell’occasione, la Corte non basò la propria decisione esclusivamente sulla necessità di mantenere inalterato il bilanciamento dei poteri tra le istituzioni, così come prevede il Trattato istitutivo. Ciò che, invece, rende la decisione interessante è che i giudici invocarono la presenza di un fondamentale principio democratico che renda necessaria la partecipazione popolare nell’esercizio della funzione legislativa. Benchè questo principio non fosse citato espressamente nel Trattato, la Corte ritenne che fosse parte del retaggio comune degli Stati Membri e, come tale, in grado di essere fato valere in sede giudiziale[15].
Relativamente al secondo dei profili accennati, inerente la concezione riduttiva con cui è stata percepita la posizione Parlamento europeo, è possibile citare la sentenza del al 10 aprile 2003. Nell’occasione Il Tribunale europeo è stato chiamato a decidere in merito al ricorso presentato da Jean Marie Le Pen, in qualità di membro della rappresentanza francese presso il Parlamento europeo[16].
Il ricorso del parlamentare europeo nasce a seguito di una condanna penale da questo subita in Francia che, in virtù della legge francese, determina il decadimento dalla carica di parlamentare e impedisce la possibilità di essere rieletti presso il Parlamento nazionale. Il Parlamento europeo, dopo aver atteso il completamento dell’iter dei ricorsi giurisdizionali da parte di Le Pen, non avendo questi modificato il merito della sentenza originaria, deliberava in merito all’esclusione del parlamentare francese anche dal Parlamento europeo.
La decisione della Corte, pur rigettando le motivazioni del ricorrente, è significativa perché anziché fondare le proprie motivazioni sul merito della decisione del Parlamento europeo, come si si sarebbe aspettati, argomenta sulla base dell’assenza di valore legale della decisione stessa.
In altre parole, i giudici comunitari, anziché concentrarsi sul significato che una simile decisione avrebbe avuto per i valori democratici dell’Unione, preferirono ignorare la questione relativa alla possibilità per il Parlamento di poter valutare – e, se del caso, modificare – le decisioni emesse da organi giurisdizionali nazionali. Al contrario, l’interpretazione del collegio giudicante qualificava il Parlamento europeo come un organo direttamente rappresentante gli Stati membri, piuttosto che l’elettorato europeo. Ciò, appunto, nonostante le più recenti modifiche normative tese ad accrescere il legame tra i cittadini e l’istituzione.
 
 


[1] Cfr. ad esempio N. Nugent, The Government and Politics of the European Union, Durham, Duke University Press, 2003, pagg. 111: «Frequently portrayed as the civil service of the EU, in reality the Commission is rather more and rather less than that: rather more in the sense that the treatis and political practice have assigned to it much geater policy-initiating and decision-making powers than those enjoyed, in theory at least, by national civil services; rather less in that its role in policy implementation is greatly limited by the fact that agencies in the member states are charged with most of the EU’s day-to-day administrative responsibilities».
[2] Cfr. P.C Muller-Graff, Direct Elections to the European Parliament, in Case Western Reserve Journal of International Law, 1979, XI, pag. 3: «Political consensus of the founders estabilished four institutions for the activities of the Community: the Assembly, the Council, the Commission and the Court of Justice. (…) the bodies were fixed according to the ideal of functions which the classical theory of the separation of powers had in mind: Assembly and Council as legislative powers, the Commission as an executive power and the Court of Justice as a judicial power». V. anche J. Lodge, Making the Election of the European Parliament Distinctive: Towards E-Uniform Election Procedure, in European Journal of Law Reform, 2000, II, pag. 195: «What survives however is the idea that direct participation in supra-national political life via the vehicle of direct elections is an element of EU citizenships which confirms the direct link between the EU citizen and the EU sovereign without an intermediary»; F. Bignami, The Democratic Deficit in European Community rulemaking: A Call for Notice and Comment in Comitology, in Harward International Law Journal, 1999, XL, pag. 456: «In the Community, lawmaking power is vested in the commission, council and Parliament acting togheter under a formula that depends upon the policy area as set out in the E.C. Treaty». Per una disamina complessiva e dettagliata si vedano H. Wallace, W. Wallace, Policy-Making in the European Union, Oxford, Oxford University Press, 2004, pagg. 3 ss.
[3] La diretta elegibilità dei membri del Parlamento europeo è stata inizialmente prevista dall’articolo 138 del Trattato di Roma del 1957. Per lungo tempo, tuttavia, la disposizione è rimasta inattuata. Ciò è accaduto in ragione di cause diverse: l’opposizione di alcune compagini governative (in particolare quella francese); l’organizzazione a scala prevalentemente nazionale della gran parte dei partiti politici; infine, la sopravvenienza di questioni diverse e considerate di maggiore importanza. La diretta eleggibilità dei membri del Parlamento è stata decisa dal Consiglio europeo il 20 settembre 1976, da ultimo emendata con decisione n. 2002/772/EC, Euratom del 25 giugno e 23 settembre 2002.
[4] Si veda, quanto alle differenze tra le istituzioni internazionali/globali e la comunità, quanto sostenuto da P.C Muller-Graff, op. cit., pag. 4: «However, the traditional international organizations are based on a concept of association of inter-state cooperation, which generally does not provide for rights with respect to individuals, but directs measures only against the Member States».
[5] Cfr. F. Bignami, Creating European Rights: National Values and Supranational Interests, in Columbia Journal of European Law, 2005, XI, pag. 247: «Until recently, citizenship was conceived exclusively as a matter of belonging to historical, territorially defined communities and hence duties and entitlements of citizenship were developd within the framework of the political institutions that governed those communities. Beyond the confines of the nation-state were international organizations, but they were believed to order relations among sovereign states, not individuals. Hence their operations did not give rise to duties and rights inhering in individuals, nor could those same individuals make direct claims on international organizations for protection and other collective goods»
[6] In generale, del rapporto tra Parlamento europeo e organizzazioni rappresentative della società civile, e di come questo abbia contribuito alla evoluzione dell’istituzione, parla T. Spencer, New Dimension of Parliamentary Representation, in Morgan R., Steed M., op. cit., pag. 80: «Thus a new Parliament, facing a few enemies in the early years, maximised its influences by alliances. It was extremely creative in using its relationships with the Commissione and the civil society, both NGO and business». Cfr. anche M. Newman, op. cit, pag. 181: «There is no doubt that the EP, and particularly some of its committees, have provided excellent evaluations and criticism of many EU policies. It has also provided a forum for networking and cross-national lobbies, and has included a far higher proportion of women as MEPs than the majority of parliaments, and the percentage is still raising rapidly».
[8] Vedi, ad esempio, J. Lodge, op. cit., pagg. 193 ss.; nota invece nota R. Burchill, op. cit., pag. 186: «(…) critical perspectives have pointed out that democracy is by no means a universal norm in the world and more importantly that the understanding of what constitutes democracy within the international law discourse has so far been conceived in fairly minimal terms. The concern of these critical views is the apparent willingness to accept the existence of democracy based on a few political procedures, such as elections».
[9] Cfr. P. Mathijsen, The Power of Co-decision of the European Parliament Introduced by the Maastricht Treaty, in Tulane European & Civil Law Forum, 1993, VIII, pagg. 81 ss.; F. Bignami, The Democratic Deficit in European Community rulemaking: A Call for Notice and Comment in Comitology, op. cit., pagg. 457 ss.; la stessa autrice, altrove (F. Bignami, Creating European Rights: National Values and Supranational Interests, op. cit., pagg. 303 ss.) riconosce al Parlamento un ruolo importante nella contribuzione allo sviluppo del principio di trasparenza all’interno della Comunità. La spiegazione, secondo l’autrice, risiede in ciò: «Since the European Parliament was first directly elected in 1979, it has pushed for access to Commission and Council information for itself. Without information, the meager powers the Parliament originally possessed under the Treaty of Rome would have been virtually nonexistent. After Maastricht, the growing currency of the notrhern value of transparency led the Parliament to couple the strategic, institutional need for information with the campaign for open government».
[10] In senso generale, v. S.C. Sieberson, op. cit., pag. 207: «(…) commentators have made substantive suggestions for changing the Parliament’s structure and competences. Among the proposals, four stand out as most basic to its institutional structure. First, the Parliament should have the right to initiate legislation (…). Second, the Parliament’s codecision authority should be extended (…). Third, the Parliament’s budgetary powers should be increased. (…) Finally, as the only directly elected EU institution, the Parliament should have more oversight authority over the Commission, such as a greater role in selecting its President and other members». Vedi anche J. Fitzmaurice, Choices for the European Parliament, in Morgan R., Steed M. (edited by), Choice and Representation in the European Union, London, Federal Trust for Education and Research, 2003, pagg. 14 ss.; L. Siedentop, op. cit., 2001, pag.g. 122 ss.
[11] Trattasi della Dichiarazione comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione relativa all’istituzione di una procedura di concertazione, del 4 marzo 1975, pubblicata in GU C 89 del 22 marzo 1975. La Dichiarazione è consultabile, in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, al seguente indirizzo: http://europa.eu/abc/treaties/archives/it/ittr24.htm. Si veda inoltre P. Mathijsen, op. cit., pag. 86: «There, for the first time, representatives of the citizens of the Community meet – on an equal footing – with the legislative body of the Community, the Council. There Parliament shares the Council’s power to legislate, and it is therefore correct in this case to speak of “co-decision” in the legislative field».
[12] Ne parla anche P. Mathijsen, op. cit., pagg. 84 ss.; alcuni autori sostengono addirittura che a seguito delle modifiche intervenute il Parlamento sia oggi in una condizione di parità rispetto alla Commissione e il Consiglio. Si veda, ad esempio, J. Fitzmaurice, Choices for the European Parliament, op. cit., pagg. 20 ss.
[13] Quanto al rapporto in generale tra Parlamento europeo e giudici comunitari vedi A.M. Burley, Democracy and Judicial Review in the European Community, in The University of Chicago Legal Forum, 1992, LXXXI, pagg. 81 ss.
[14] Cfr. F. Pasetti Bombardella, The European Parliament and the Court of Justice of the Communities, in International Business Law, 1983, XI, pagg. 176 ss., il quale nota che: «The Court also accepted the submission that, in cases where consultation of Parliament was stipulated in the Treaty, such consultation represents and essential formality, failure to observe which renders null and void the decision in question. Moreover, it is not sufficent for the Council to request Parliament’s opinion; Parliament must have delivered its opinion in accordance with the provisions of its Rules of Procedure».
[15] Cfr. G.F. Mancini, D.T. Keeling, op. cit., pag. 179: «(…) since there was provision in the Treaty – however limited – for a representative assembly to participate in the legislative process, the Court was able to stress the importance of the democratic element, elevate it to the status of fundamental principle and strike down legislation not sanctified with even a shiff of democratic legitimacy».
[16] Del caso ne parla, tra gli altri, P. Mathijsen, op. cit., pagg. 383 ss.

Sgueo Gianluca

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