Il decreto-legge del governo in materia di operazioni elettorali

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C’è un giudice a Roma”. E’ l’esclamazione di un grande costituzionalista italiano, Gianni Ferrara, a seguito del respingimento, ad opera del T.A.R. per il Lazio, del ricorso diretto ad ammettere la lista del PDL (Popolo delle Libertà) per la Provincia di Roma.

   Ad avviso di chi scrive, ci sono tre ordini di ragioni per affermare la palese incostituzionalità del c.d. Decreto-Legge “salva liste” 5 marzo 2010 n. 29. Il primo, attiene alle finalità del provvedimento del Governo.

E’ stato definito un atto normativo di interpretazione autentica della legge ordinaria dello Stato n. 108/1968 la quale contiene disposizioni sull’elezione dei Consigli Regionali delle Regioni ad ordinamento comune.

Ma perché una norma sia davvero interpretativa, bisogna “supporre che in una medesima disposizione preesistente convivano, in realtà, più potenzialità normative e che il legislatore scelga tra i molteplici e possibili significati uno compiutamente già presente” (Cfr., M. VILLONE, Il decreto-truffa, in www.costituzionalismo.it, 6 marzo 2010).

Ora, nei quaranta anni di vigenza della legge statale che disciplina, in assenza di leggi regionali ad hoc, le modalità nonché le procedure prodromiche per l’elezione dei Consigli Regionali, non si è verificato alcun conflitto interpretativo (Cfr., G. FERRARA, Il decreto salva-liste e l’abuso del potere normativo, in www.costituzionalismo.it, 8 marzo 2010).

Il secondo, invece, concerne il fatto che la materia elettorale è costituzionalmente sottratta al Governo e, pertanto, alla possibilità di un suo intervento per il tramite della decretazione legislativa di urgenza.

Infatti, l’art. 72, 4° comma, Cost, stabilisce, proprio per la materia elettorale (e non solo), una riserva di assemblea ossia solo l’organo legislativo ha la facoltà, unicamente attraverso il procedimento ordinario di approvazione di una legge, di intervenire sulla tematica elettorale. Questo non significa escludere a priori un’azione normativa dell’Esecutivo: la Corte Costituzionale, con sentenza n. 161/1995, l’ha ammessa purchè non vada a toccare né il voto né procedimento che consente di pervenire ad esso (si veda punto 4 del cons.in.dir.).

Infine, veniamo al  terzo ed ultimo ordine di ragioni che coinvolge l’essenza stessa del diritto di voto.

Affinchè il voto sia eguale, come prescrive l’art. 48, 2° comma, Cost., l’offerta politica in ordine alla quale il diritto si esercita deve essere avanzata nel pieno rispetto delle regole sulla par condicio (Cfr., Cfr., M. VILLONE, Il decreto-truffa, op. cit,); viceversa, con il Decreto-Legge n. 29/2010 vengono distorte le condizioni di parità di accesso alle cariche elettive da parte dei candidati.

   Sappiamo che e’stato sollevato dalla Regione del Lazio, in via principale, un ricorso alla Corte Costituzionale (anche perché, giova ricordarlo, alla luce dell’art. 122, 1° comma, Cost., dopo la riforma del 2001, il sistema di elezione del Presidente e degli altri organi regionali è disciplinato con legge regionale nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalla legge della Repubblica). Mi chiedo: che cosa accadrà in caso di declaratoria di incostituzionalità ad urne già chiuse ?

 

Trabucco Daniele

Università di Padova

 

Trabucco Daniele

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