Il danno da perdita parentale: la recente giurisprudenza

Redazione 06/08/19
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Premessa una panoramica sui danni che hanno diritto a vedersi risarciti i prossimi congiunti del soggetto deceduto a causa di una condotta illecita di terzi, proviamo ad enucleare per punti i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di danno non patrimoniale e di danno da perdita parentale.

Per sapere tutto sul danno da perdita parentale terminale leggi “I danni non patrimoniali” di Gianluca Pascale.

 Panoramica dei danni subiti dai congiunti nel caso di morte della vittima

Sono vittime secondarie dell’evento morte altrui, causato da una condotta illecita di terzi, i congiunti della vittima primaria. Il danno subito da tali soggetti è detto dalla giurisprudenza “danno riflesso” o “danno da rimbalzo”. Tuttavia, ciò è coerente con il dettato dell’art. 1223 c.c., in quanto il danno patito da tali soggetti è comunque considerato come causato in via immediata e diretta dal fatto dannoso del terzo.

I congiunti, quali vittime secondarie, hanno innanzitutto diritto al risarcimento:

(a) del danno patrimoniale iure proprio: consiste nella perdita delle utilità economiche di cui i prossimi congiunti beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro; (b) del danno biologico iure proprio: tale danno ricorre qualora le sofferenze causate dalla perdita del prossimo congiunto hanno determinato una loro lesione dell’integrità psicofisica;

(c) il danno esistenziale iure proprio: trattasi della lesione grave e irreparabile del legame familiare costituzionalmente tutelato.

Si badi che il risarcimento del danno danno da perdita parentale va concretamente accertato in relazione ad una particolare situazione affettiva con la vittima. A tal fine, occorre fare riferimento alla titolarità di una situazione qualificata dal contatto con il danneggiato primario. Il danno da perdita parentale sarà senz’altro configurabile, ad esempio, tra genitori e figli, tra fratelli, tra nonni e nipoti particolarmente vicini. Al contempo occorre tenere presente che i rapporti familiari di sangue costituiscono solo un punto di partenza per l’individuazione delle vittime secondarie, potendosi anche in altre relazioni accertarsi in concreto una situazione di vicinanza sostanziale.

Oltre al danno da perdita parentale come sopra definito, i congiunti potranno altresì fare valere iure hereditatis i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima e trasmissibili agli eredi, vale a dire:

(i) il danno biologico (danno terminale): si tratta della lesione del bene salute come danno conseguenza, consistente nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata concreta del periodo di vita del danneggiato, nella fase tra la lesione alla morte;

(ii) il danno morale soggettivo (danno catastrofale): si tratta dello stato di sofferenza spirituale patito dalla vittima nell’avvicinarsi della fine-vita, ossia la lucida e cosciente percezione dell’ineludibilità della propria fine.

Non sono invece risarcibili come danni da morte iure hereditatis:

(1) il danno tanatologico, cioè il danno derivante dalla perdita in sé del bene della vita;

(2) il danno esistenziale, cioè derivante dalla grave lesione e stravolgimento delle condizioni sociali di vita che, per prodursi, necessitano della permanenza temporale della lesione (che, in caso di morte, non può configurarsi).

In particolare, quanto al danno biologico terminale, consiste nel pregiudizio non patrimoniale patito dalla vittima primaria nell’intervallo di tempo intercorso tra la lesione del bene salute e il sopraggiungere della morte. Esso rientra nel danno da inabilità temporanea considerato nel massimo della sua entità e intensità.

Condizione necessaria per la risarcibilità del danno biologico terminale è che tra l’evento lesivo e la morte intercorra un considerevole lasso di tempo, cioè una netta separazione temporale fra i due eventi. In mancanza sarà pur sempre possibile ritenere integrato il danno morale terminale subito dalla vittima per la sofferenza provata nell’avvertire consapevolmente l’ineluttabile approssimarsi della propria fine.

Principi enucleati dalla recente giurisprudenza

Proviamo ora ad enucleare per punti i più recenti approdi giurisprudenziali in tema di danno non patrimoniale e di danno da perdita parentale (v. in particolare Cass. n. 23469/2018, nonché Cass. 901/2018 e Cass. 7513/2018)

(i) il pregiudizio da perdita del rapporto parentale rappresenta un peculiare aspetto del danno non patrimoniale e consiste (non già nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità, bensì) nello sconvolgimento dell’esistenza, rivelato da fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, nonché nella sofferenza interiore derivante dal venir meno del rapporto;

(ii) il danno da perdita parentale è un danno non patrimoniale iure proprio del congiunto, ristorabile anche in caso di mera lesione del rapporto parentale;

(iii) le categorie di danno disciplinate dall’ordinamento sono soltanto due: il danno patrimoniale (ex art. 1223 c.c. nelle forme del danno emergente e del lucro cessante) e del danno non patrimoniale (ex artt. 2059 c.c. e185 c.p.).;

(iv) il danno non patrimoniale ha natura unitaria ed onnicomprensiva: il giudice di merito deve tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze derivanti dall’evento di danno, evitando però duplicazioni con l’attribuzione dinomi diversi a pregiudizi identici;

(v) occorre pervenire ad un accertamento concreto e non astratto del danno, all’uopo dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova, ivi compresi il fatto notorio, le massime di esperienza, le presunzioni.

(vi) nel procedere all’accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve valutare tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (c.d. danno morale, sub specie del dolore, della vergogna, della disistima di sé, della paura, della disperazione) quanto quello dinamico-relazionale (destinato ad incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto);

(vii) la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, solo in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale ed eccezionali;

(viii) costituisce duplicazione risarcitoria la congiunta attribuzione del danno biologico (che già comprende, per definizione legislativa, l’incidenza sulle quotidiane attività dinamico-relazionali) e del danno c.d. esistenziale;

(ix) al contrario, non costituisce duplicazione risarcitoria la differente ed autonoma valutazione compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute, come oggi confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 del c.d.a.

(x) al di fuori della lesione della salute, ogni vulnus arrecato ad un altro bene costituzionalmente tutelato andrà accertato all’esito di compiuta istruttoria e in assenza di qualsiasi automatismo.

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