Il danno biologico terminale  

Redazione 28/08/19
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Per supplire alla non risarcibilità del c.d. danno tanatologico, la giurisprudenza ha elaborato la categoria del c.d. danno biologico terminale. Vediamo entro che limiti può essere risarcito e liquidato.

Per sapere tutto sul danno biologico terminale leggi “I danni non patrimoniali” di Gianluca Pascale.

Danni non patrimoniali derivanti dall’evento morte

L’evento morte causato da una condotta illecita di terzi comporta conseguenze dannose nella sfera giuridico patrimoniale della vittima e dei parenti (in quest’ultimo caso la giurisprudenza suole parlare del c.d. danno patrimoniale riflesso).

Quanto ai congiunti (c.d. vittime secondarie), come anticipato essi hanno diritto al risarcimento: (i) del danno patrimoniale iure proprio, consistente nella perdita delle utilità economiche di cui i prossimi congiunti beneficiavano e di cui, presumibilmente, avrebbero continuato a godere in futuro; (ii) del danno biologico iure proprio, se le sofferenze causate a costoro dalla perdita del prossimo congiunto hanno determinato una loro lesione dell’integrità psicofisica; nonché (iii) il danno esistenziale iure proprio, ossia la lesione grave e irreparabile del legame familiare costituzionalmente tutelato.

Oltre ai danni appena elencati, i congiunti potranno fare valere iure hereditatis i danni non patrimoniali risarcibili alla vittima e trasmissibili agli eredi, vale a dire:

(i) il danno biologico (danno terminale): si tratta della lesione del bene salute come danno conseguenza, consistente nei postumi invalidanti che hanno caratterizzato la durata concreta del periodo di vita del danneggiato, nella fase tra la lesione alla morte;

(ii) il danno morale soggettivo (danno catastrofale): si tratta dello stato di sofferenza spirituale patito dalla vittima nell’avvicinarsi della fine-vita, ossia la lucida e cosciente percezione dell’ineludibilità della propria fine.

È esclusa invece la risarcibilità del danno tanatologico, cioè il danno derivante dalla perdita in sé del bene della vita, e del danno esistenziale, cioè derivante dalla grave lesione e stravolgimento delle condizioni sociali di vita che, per prodursi, necessitano della permanenza temporale della lesione (che, in caso di morte, non può configurarsi).

In particolare, il danno biologico terminale

Come noto, dopo l’intervento delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (S.U., sentenza n. 15350 del 22 luglio 2015), il danno tanatologico è indiscutibilmente entità di per sé non risarcibile: essendo il bene vita fruibile solo dal titolare, esso è insuscettibile di essere liquidato per equivalente. Pertanto, qualora il decesso si verifichi immediatamente o dopo brevissimo tempio dalle lesioni personali, deve escludersi la risarcibilità iure hereditatis del danno tanatologico.

Per supplire alla non risarcibilità del c.d. danno tanatologico, la giurisprudenza ha elaborato la categoria del c.d. danno biologico terminale. Esso consiste nel pregiudizio non patrimoniale patito dalla vittima primaria nell’intervallo di tempo intercorso tra la lesione del bene salute e il sopraggiungere della morte. Tale voce di risarcimento si produce, quindi, nella sfera giuridica della vittima che ancora non è deceduta e pertanto è trasmissibile agli eredi (a differenza del danno tanatologico).

Il danno biologico terminale rientra nel danno da inabilità temporanea considerato nel massimo della sua entità e intensità (cfr. Cass. civ., 16 maggio 2003, n. 7632). Infatti, il giudice di merito, ai fini della liquidazione del danno biologico terminale quale danno da inabilità temporanea, dovrà considerare che, sebbene temporanea, la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte.

Condizione necessaria per la risarcibilità del c.d. danno biologico terminale è che tra l’evento lesivo e la morte intercorra un considerevole lasso di tempo.

Affinché sussista lo spazio intertemporale richiesto dalla giurisprudenza (v. ad es. Cass. civ., 28 aprile 2006, n. 9959 e Cass. civ., 22 marzo 2007, n. 6946) occorre una netta separazione temporale fra i due eventi, di tal che sia possibile distinguere la loro verificazione nel tempo. Nel caso in cui la morte sia conseguenza immediata delle lesioni, la giurisprudenza costantemente esclude la risarcibilità del danno biologico terminale, giacché, se la morte avviene in un tempo eccessivamente breve, non è possibile accertare la maturazione del danno alla salute.

In proposito, Cass. civ., 28 agosto 2007, n. 18163 ha affermato che “l’apprezzabilità dello spazio intertemporale richiesta dalla giurisprudenza consiste nel requisito di una netta separazione temporale fra i due eventi che valga a distinguere la loro verificazione nel tempo. Verificatosi questo requisito il danno biologico terminale è sempre esistente per effetto della percezione anche non cosciente della gravissima lesione dell’integrità personale della vittima nella fase terminale della sua vita”.

In altri termini, la brevità del periodo di sopravvivenza non sarebbe suscettibile di degenerare in danno biologico. Ad ogni modo, sarà senz’altro integrato il danno morale terminale subito dalla vittima per la sofferenza provata nell’avvertire consapevolmente l’ineluttabile approssimarsi della propria fine. A ta fine, in luogo del criterio temporale, verrà in rilievo il diverso criterio dell’intensità della sofferenza provata.

Dunque, nel quantificare il risarcimento dei danni morali deve tenersi conto anche della sofferenza psichica subita dalla vittima di lesioni fisiche alle quali sia seguita dopo breve tempo la morte, la quale sia, tuttavia, rimasta lucida durante l’agonia, in consapevole attesa della fine (così Cass. civ., 8 aprile 2010, n. 8360).

Occorre comunque considerare che il risarcimento del danno morale terminale può essere riconosciuto agli eredi solo se prima sia entrato a far parte del patrimonio della vittima al momento della morte. Pertanto, qualora non sia data la prova della sussistenza di uno stato di coscienza nel breve intervallo tra il sinistro e la morte, la lesione del diritto alla vita non è suscettibile di risar-cimento e ai congiunti spetta il solo risarcimento conseguente alla lesione della possibilità di godere del rapporto parentale con la persona defunta.

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