Il controllo dalla frantumazione alla complessità

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Frantumare per proteggersi
 
Sergio Sabetta
 
 
La mancanza di una forte identità pone molti alla mercè di pochi.
 
 
         Si parla di reti, processi per funzioni, complessità, ma molte volte frantumare la visione dell’insieme del problema, settorializzarlo, è sostanzialmente semplificare la sua gestione, facilitandone la lettura del prodotto e contemporaneamente non esporsi a valutazioni di insieme, politicamente imbarazzanti.
         Questo accade anche per settori apparentemente tecnici quali la contabilità, per cui è più facile evitare pericolose interpretazioni non gradite.
         L’organizzazione ha un proprio percorso storico che attraverso un seguito di trasformazioni ha formato la cultura organizzativa, questa d’altronde è anche il prodotto dei valori originati dalla direzione i quali tuttavia non sono sempre immediatamente identificabili (Tosi). Nelle strutture e nei processi si possono analizzare quelle scelte organizzative che ne realizzano la “messa in scena” (Floch).
         Vi è una differenza sostanziale tra l’apparire e l’essere, tra il modo in cui un’organizzazione si mostra e cioè che è in realtà, Coda definisce l’identità come ciò che l’organizzazione fa o vuole fare, perché lo fa e come lo fa, l’immagine è invece la rappresentazione che l’organizzazione dà di sé ai diversi pubblici esterni con cui viene a contatto.
         La scuola organizzativa mette in evidenza e si basa su ciò che i membri dell’organizzazione sentono, percepiscono e pensano, rivolgendosi all’interno dell’organizzazione alla sua cultura e influenza sul modo di pensare e agire degli individui e dei gruppi sociali ( Hatch, Schultz).
         A questa si affianca la scuola strategico – manageriale per la quale la strategia organizzativa costruisce l’identità e al tempo stesso ne è espressione, quale elemento di richiamo per concetti come visione, missione, valori. (Corti).
         Se vi è un’identità desiderata dalla dirigenza, quale rappresentazione di una identità ideale, a cui può più o meno avvicinarsi l’identità reale dell’organizzazione, altrettanto avviene per l’immagine per cui ad un’immagine desiderata si sovrappone un’immagine reale esterna.
         Si che se l’identità è ciò che l’organizzazione fa ed è in realtà, l’immagine è la rappresentazione di come viene percepita all’interno e all’esterno (Coda).
         Schein rappresenta la cultura organizzativa come un iceberg in cui si distinguono gli artefatti ( strutture e processi organizzativi) dai valori dichiarati (strategie, obiettivi, filosofie) e dagli assunti taciti condivisi (percezioni, sentimenti, pensieri di base, convinzioni inconsce e consce).
         Il modello Scandagli divide l’organizzazione in livelli nella quale la percezione esterna della stessa è la “punta di un iceberg” di qualcosa di nascosto che è strutturato ma indefinito. La psicologia della comunicazione permette di esplicitare il modello attraverso il concetto di “soglia della percezione” per cui vi è una percezione cosciente e una percezione non cosciente che può essere addirittura a carattere sublimale, come il cambiamento di modi di pensare o degli schemi socio-culturali per incorporazione di altre organizzazioni o il cambiamento dell’ambiente circostante.
         Per superare la pura immagine che l’organizzazione trasmette all’esterno occorre calarsi dal livello della discorsività (spazi, tempi, attori e figure), al livello della narratività (ruoli, trasformazioni, percorsi storici), fino al bacino dei valori (modelli di comportamento, etica, assunti taciti).
         Se per il livello della discorsività è sufficiente osservare i comportamenti e le dinamiche dell’organizzazione per i due successivi livelli l’analisi deve raccogliere e valutare informazioni che non sono rintracciabili nelle documentazioni aziendali né sono immediatamente visibili, in altre parole non è sufficiente osservare ma occorre l’ascolto della cultura organizzativa attraverso le interviste e il dialogo con i membri stessi e le percezioni; dobbiamo considerare che l’organizzazione informale, non codificata, si evidenzia dalla narrazione di fatti e storie (Atkinson).
         Questo permette di studiare l’organizzazione nel suo stato attuale e di analizzarne la dinamicità rispetto all’ambiente esterno.
         La turbolenza sviluppata da ogni organizzazione impedisce un controllo di predicibilità, se non in termini di standard medi sui rischi in modo da comprimere i dati e pertanto comprendere, in quanto comprendere è anche comprimere l’informazione.
         In termini di reti organizzative significa concentrare l’attenzione sugli hubs, superando gli aspetti uni-dimensionali propri delle visioni più semplicistiche le quali possono portare all’incomprensione o alla lettura distorta degli eventi. Dobbiamo considerare che la lettura contabile è una compressione dei dati di per sé enigmaticamente esprimenti le sottostanti dinamiche della narratività e del bacino dei valori, soli elementi che danno vita e prospettiva ai dati numerici di per se stessi asettici e facilmente reitativi.
 
 
 
Bibliografia
 
 
·        J. M. Floch, Semiotica, marketing e comunicazione. Dietro i segni, le strategie, Franco Angeli, 1997;
·        H. L. Tosi, Comportamento organizzativo. Persone, gruppi e organizzazione, Egea, 2002;
·        V. Coda, La comunicazione economica nella strategia aziendale, in AA.VV. La comunicazione economica: valore aziendale o sociale, Egea, 1989;
·        P. Corti, Identità e immagine dell’impresa, Franco Angeli, 2005;
·        P. Castelli, M. Merlino, Identità, immagine e generazione di senso: un modello semiotico per le imprese, in “E. & M.”, 69-90, 2/2007, Etas;
·        G. Chaitin, I limiti della ragione, in “Le Scienze”, 66-73, 453, 5/2006;
·        R. Atkinson, L’intervista narrativa, Cortina, 2002;
·        E. H. Schein, Culture di impresa, Cortina, 2000;
·        J. M. Hatch, M. Schultz, H. M. Larsen, The expressive organization, Oxford Press, 2000.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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