Il contratto di ormeggio

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Il contratto di ormeggio è una figura contrattuale di recente acquisizione. La sua affermazione nella prassi è strettamente connessa allo sviluppo impetuoso della nautica da diporto. Ed infatti, negli ultimi decenni si è potuto assistere al progressivo allargamento della cerchia di coloro che praticano tale attività.
Con la stipulazione del contratto di ormeggio il proprietario o possessore del natante intende ottenere l’assegnazione di un apposito e protetto spazio acqueo al fine di poter ormeggiare nel porto o approdo turistico col proprio mezzo nautico. Il concessionario gestore del porto o approdo turistico otterrà in cambio il corrispettivo del prezzo. Tuttavia, le prestazioni erogate dal concessionario non sono circoscritte alla sola messa a disposizione delle strutture portuali ma sovente la conclusione del contratto di ormeggio implica il sorgere di ulteriori obbligazioni: a) si pensi all’obbligo di custodia del natante ormeggiato nel posto barca assegnato come da contratto al diportista; b) ai servizi accessori erogati dalla società o associazione gestrice del porto o approdo turistico in favore del diportista qualora venissero richiesti (fornitura di energia elettrica, carburante, servizi telefonici, ecc..)
 
Dal momento che il contratto di ormeggio non è disciplinato né dal codice civile, né dal codice della navigazione appare evidente che ci troviamo dinnanzi ad una ipotesi di contratto atipico o innominato. Secondo l’articolo 1322 del codice civile le parti possono concludere contratti che non appartengono ai tipi che hanno una disciplina particolare , purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Nel caso del contratto di ormeggio non vi sono dubbi circa la meritevolezza degli interessi che le parti contraenti intendono realizzare con la sua conclusione.
 
Sia in dottrina che in giurisprudenza vi è stato un lungo dibattito al fine di individuare la disciplina concretamente applicabile al contratto di ormeggio. Necessità che è andata accentuandosi a causa delle lacune dell’ordinamento giuridico nonostante i recenti interventi normativi che hanno interessato il settore della nautica da diporto, si pensi alla legge 172 del 2003 recante disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico ed il d.lgs. 171 del 2005 recante codice della nautica da diporto. Quest’ultimo è stato realizzato in attuazione della delega contenuta nell’articolo 6 della legge 172 del 2003.
Gli aspetti che maggiormente hanno catturato l’attenzione della giurisprudenza e della dottrina riguardano la responsabilità del concessionario nel caso di danneggiamento dell’unità da diporto ormeggiata o furto della stessa e/o delle cose in essa contenute. Ed infatti, non è indifferente sotto il profilo della responsabilità del concessionario ricondurre il contratto di ormeggio entro l’ambito della disciplina legale del deposito, articoli 1766 e seguenti, codice civile, o entro l’ambito della disciplina legale della locazione, articoli 1571 e seguenti. Così in una prima fase la giurisprudenza, che si è occupata di individuare la disciplina concretamente applicabile al contratto di ormeggio, al fine di stabilire se fosse o meno configurabile una obbligazione risarcitoria in capo alla società o associazione gestrice del porto o approdo turistico nell’ipotesi di danneggiamento dell’unità da diporto ormeggiata ha preferito rinunciare ad un operazione di carattere generale risolvendo la controversia ad essa sottoposta facendo esclusivo riferimento alla specificità del caso concreto. Per tale via essa era giunta ad uno sdoppiamento concettuale. Configurando due ipotesi di contratto di ormeggio: a) la fattispecie dell’ormeggio-deposito; b) la fattispecie dell’ormeggio-locazione.
Nel caso in cui il diportista nautico era nella possibilità di fornire la prova in merito alla assunzione dell’obbligazione di custodia da parte del concessionario gestore del porto o approdo turistico il contratto di ormeggio andava ricondotto entro l’ambito della disciplina legale del deposito, articoli 1766 e seguenti, codice civile. La conseguenza concreta di tale operazione interpretativa consisteva nella configurabilità della responsabilità contrattuale del concessionario qualora si fosse verificato il danneggiamento o il furto dell’unità da diporto ormeggiata nel posto barca.
Viceversa, qualora il diportista non era nella condizione di fornire la prova circa l’assunzione dell’obbligazione di custodia da parte del concessionario ad avviso della giurisprudenza non vi erano le condizioni per ricondurre il contratto di ormeggio entro l’ambito della disciplina legale del deposito ma piuttosto bisognava procedere attingendo alla disciplina legale della locazione, articoli 1571 e seguenti.
 
Questo approccio non poteva considerarsi soddisfacente per numerosi aspetti. Anzitutto, così facendo la giurisprudenza rinunciava ad un operazione di più largo respiro, vale a dire la possibilità di costruire una disciplina generale applicabile al contratto di ormeggio, specie nell’ipotesi in cui il contratto in parola non fosse stato concluso per iscritto. Inoltre, tale sdoppiamento concettuale appariva artificioso in quanto non teneva conto della complessità ed articolazione del contenuto di siffatta fattispecie contrattuale.
 
Con la sentenza resa il 1 giugno del 2004 la n. 10484, la giurisprudenza di legittimità ha mutato il suo approccio optando per una soluzione maggiormente rispondente alle caratteristiche del contratto di ormeggio. Tenendo conto della complessità che lo caratterizza la Cassazione ha superato lo sdoppiamento concettuale precedente ed individuato una struttura minima essenziale, in mancanza della quale non può dirsi realizzata la detta convenzione negoziale, consistente nella semplice messa a disposizione ed utilizzazione delle strutture portuali con conseguente assegnazione di un delimitato e protetto spazio acqueo. Il suo contenuto può, peraltro, del tutto legittimamente estendersi anche ad altre prestazioni, sinallagmaticamente collegate al corrispettivo, quali la custodia del natante e/o quella delle cose in esso contenute. Spetta a colui che fonda un determinato diritto, o la responsabilità dell’altro contraente, sulla struttura del contratto, fornire la prova dell’oggetto e del contenuto, vale a dire, la prova che il contratto ha avuto ad oggetto non la semplice utilizzazione delle strutture, ai fini dell’attracco e della sosta, ma altresì la custodia dell’imbarcazione. Trattandosi di contratto o di contratti per il quale non è richiesta alcuna forma, la relativa prova può essere data anche attraverso testimoni e può, eventualmente essere tratta da presunzioni che presentino i connotati della gravità, della precisione e della concordanza (articolo 2729, codice civile).
 
La prestazione erogata dal concessionario consistente nella messa a disposizione ed utilizzazione dello specchio d’acqua antistante l’ormeggio, cui far accedere alcuni aspetti della disciplina della locazione, rappresenta il nucleo essenziale, capace di fondare tipologicamente il contratto di ormeggio, intorno al quale gravitano le altre prestazioni: a) le obbligazioni di custodia, cui far accedere parte della disciplina del deposito; b) la erogazioni di servizi accessori, quali forniture d’acqua, energia elettrica, servizi di controllo della sicurezza del natante e così via, cui far accedere la disciplina della somministrazione, artt. 1559 e ss. codice civile.
 
Al fine di individuare la disciplina applicabile al contratto di ormeggio occorre procedere anziché col metodo della sussunzione col metodo misto applicando la tecnica della combinazione. Quest’ultimo approccio consente senz’altro di ottenere risultati maggiormente rispondenti alla realtà del contratto di ormeggio preservando l’autonomia contrattuale delle parti contraenti.
Giuseppe Lantieri

Lantieri Giuseppe

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