Il contratto di mantenimento

Scarica PDF Stampa

Il contratto di mantenimento è un accordo aleatorio con il quale una parte si obbliga, quale corrispettivo del trasferimento di un bene mobile o immobile o della cessione di un capitale, a fornire alla parte cedente prestazioni alimentari o assistenziali vita natural durante.

La prestazione di mantenimento consiste nel vitto, nell’alloggio, nell’assistenza medica, nella pulizia della casa e della persona, nella compagnia, comprendendo obblighi sia di dare, come gli alimenti, sia principalmente di fare, ad esempio l’assistenza, la pulizia, la compagnia; entrambi gli obblighi sono caratterizzati dall’intuitus personae.

La rapida diffusione di tale contratto è da ricercarsi nella maggiore duttilità dello schema che soddisfa diversi interessi delle parti, in particolare del destinatario della prestazione assistenziale (di solito persona anziana non autosufficiente), incapace di provvedere autonomamente ai propri bisogni ed esigenze di vita.

Si tratta di una figura contrattuale atipica (poiché non espressamente regolamentata nel codice civile) che trae origine dalla prassi nell’autonomia privata ex art. 1322 c.c. e trova riconoscimento nella giurisprudenza accanto alla figura tipica della rendita vitalizia.

Il contratto di mantenimento presenta diverse analogie con la figura tipica della rendita vitalizia disciplinata dagli artt. 1872 e s.s. c.c. e non ne costituisce species, infatti, ha un elemento causale autonomo rispetto al contratto di rendita vitalizia.

Le affinità tra i due istituti si riscontrano nell’essere entrambi contratti consensuali ai sensi dell’art. 1376 c.c.; ad effetti obbligatori per il soggetto beneficiario della prestazione, ad effetti reali, invece, per il soggetto obbligato alla prestazione (acquisto immediato del bene); possono essere a titolo gratuito o a titolo oneroso, nella seconda ipotesi si qualificano entrambi contratti di scambio, con attribuzioni corrispettive; contratti di durata caratterizzati dall’aleatorietà, relativa non solo alla durata della vita del vitaliziato, ma anche all’entità ed alla qualità delle prestazioni materiali e spirituali che non possono essere quantificate a priori nella stipula del contratto.

Quest’ultima caratteristica, ossia l’aleatorietà, in assenza della quale il contratto è nullo per mancanza di causa, è anche un elemento distintivo tipico tra le due figure contrattuali perché nel contratto di mantenimento l’alea è doppia poiché l’incertezza riguarda non solo la vita del beneficiario, ma anche l’entità delle prestazioni a suo favore che non sono predeterminate poiché dipendono dal susseguirsi dei bisogni.

Quindi, l’alea presuppone una situazione di incertezza circa il vantaggio economico a favore di una delle parti.

Nel contratto di mantenimento, per individuare l’aleatorietà è richiesta una “comparazione delle prestazioni sulla base di dati omogenei – quali la capitalizzazione della rendita reale del bene-capitale trasferito e la capitalizzazione delle rendite e delle utilità periodiche dovute nel complesso dal vitaliziante, – secondo un giudizio di presumibile equivalenza o di palese sproporzione da impostarsi con riferimento al momento di conclusione del contratto” (Cass. Civ. sez. II 19 luglio 2011 n. 15848).

Come ribadito da una sentenza più recente, precisamente dalla Corte di Cassazione Civile, sez. II, sentenza n. 7479 del 25 Marzo 2013, nel contratto di mantenimento è necessario che le prestazioni a carico delle parti siano caratterizzate da omogeneità e proporzione, onde evitare un uso distorto di questo contratto.

I due istituti si differenziano, altresì, sia per le prestazioni contemplate poiché il contratto tipico di rendita vitalizia è caratterizzato dal do ut des, mentre il contratto atipico di mantenimento dal do ut facias; sia per le modalità di esecuzione della prestazione perché nella rendita vitalizia l’esecuzione della prestazione è periodica e l’erogazione è fissa, nel contratto di mantenimento la prestazione è continuata e non periodica, variabile sia quantitativamente che qualitativamente.

Con riferimento alle modalità di esecuzione della prestazione il contratto di mantenimento si distingue anche dal vitalizio alimentare, nel quale un soggetto si obbliga nei confronti di un altro a fornirgli vitto, alloggio e vestiario vita natural durante sulla base del tenore di vita del vitaliziato, dei bisogni necessari per il beneficiario e del suo stato di bisogno, parametri che, invece, non vengono presi in considerazione nel contratto di mantenimento, caratterizzato da una prestazione più ampia.

La rendita vitalizia ha ad oggetto una prestazione di dare denaro o cose fungibili; invece, il contratto di mantenimento ha ad oggetto una prestazione infungibile sia di dare che di facere, consistente in un’assistenza materiale, morale e spirituale, infatti, è caratterizzata dall’intuitus personae che determina la scelta dell’obbligato, di conseguenza è intrasmissibile l’obbligazione a carico degli eredi di colui che vi è tenuto.

Le obbligazioni di fare infungibili derivanti dall’intuitus personae ( il beneficiario sceglie il soggetto tenuto alla prestazione sulla base di un rapporto di fiducia, infatti, l’obbligato è insostituibile per il beneficiario), tipiche del contratto di mantenimento, costituiscono la principale divergenza con la rendita vitalizia.

Il contratto di mantenimento è un altro sistema valido ed alternativo alle donazioni classiche con onere poiché presta più garanzie alla persona divenuta debole.

Nella donazione il donatario che ha goduto del bene immobile donato è sempre tenuto per legge a provvedere alle necessità del donante, se necessario, vendendo o affittando l’appartamento ricevuto gratuitamente, in caso di rifiuto, il donante potrebbe a pieno diritto, rivolgersi al Giudice lamentando la violazione degli obblighi di assistenza e di mantenimento; ma tale diritto risulterebbe vano se il bene donato, nel frattempo, fosse stato rivenduto a terzi rendendo irrintracciabili le somme liquide incassate e non avendo nulla l’obbligato.

Il contratto di mantenimento può essere stipulato sia con famigliari, sia con soggetti estranei, come per la donazione non prevede il pagamento di una somma di denaro, poiché il soggetto “acquirente”, come corrispettivo, si obbliga ad eseguire prestazioni di mantenimento vita natural durante.

Va redatto dinanzi ad un notaio, alla presenza di testimoni ed è necessario prevedere nell’atto una clausola risolutiva espressa che, in caso di inadempimento degli obblighi di assistenza, preveda lo scioglimento dell’accordo.

La scelta di stipulare un contratto di mantenimento va ponderata poiché il bene oggetto del trasferimento con obbligo di mantenimento non rientrerà nell’asse ereditario, a differenza di quanto accade nella donazione che può essere fatta oggetto di azione di riduzione da parte dei legittimari lesi nella quota di legittima.

Varie interpretazioni sono state formulate in presenza di un contratto di mantenimento, in particolare nell’ipotesi in cui l’obbligato sia coniugato in regime di comunione legale, per individuare se il bene oggetto di trasferimento, conseguito come corrispettivo dell’obbligo di assistenza, sia suscettibile di cadere in comunione.

Secondo una prima tesi, bisogna far riferimento all’art. 177, lettera c) c.c., secondo il quale costituiscono oggetto della comunione i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati ancora consumati (cosiddetta comunione de residuo).

Per “attività separata” si intende, nel caso de quo, l’obbligo di mantenimento cui è tenuto il soggetto obbligato che ha sicuramente carattere personale, vista la rilevanza dell’intuitus personae.

La tesi prospettata da parte della dottrina sostiene, invece, che il bene acquistato come corrispettivo del contratto di mantenimento è oggetto di comunione immediata ai sensi dell’art. 177, lettera a) c.c. sulla base che detto bene non può in alcun modo essere compreso nell’elenco tassativo di cui all’art. 179 c.c., rubricato proprio “beni personali”.

Questa ricostruzione della dottrina è stata oggetto di critiche poiché, se per adempiere la prestazione del mantenimento occorre accogliere il beneficiario in casa di persone coniugate in regime di comunione legale, l’obbligo di assistenza coinvolge entrambi i coniugi incidendo inevitabilmente sull’indirizzo della vita familiare, quindi bisogna considerare che non si applichi l’art. 177, lettera a) c.c., ma piuttosto si tratta di atti che eccedono l’ordinaria amministrazione della comunione ex art. 180 c.c., con la conseguenza pratica che è richiesto il consenso di entrambi i coniugi per la loro efficacia.

Alla luce di quanto esposto, quindi, si esclude la natura personale ex art. 179 c.c. del bene ottenuto in corrispettivo della prestazione di mantenimento, si considera la caduta in comunione de residuo ex art. 177 lettera c) c.c. o preferibilmente la comunione immediata ex art. 177 lettera a) c.c..

In ogni caso, per impedire che il bene cada in comunione (attuale o de residuo) anche al di fuori delle ipotesi di beni personali contemplati dalle lettere c), d) ed f) dell’art. 179 c.c., è comunque necessario l’intervento in atto del coniuge non obbligato alla prestazione.

Avv. Virelli Clementina

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento