Il Contratto a termine nella riforma del mercato del lavoro nel protocollo governo-parti sociali del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibili.Brevi riflessioni sul tema.

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La c.d. “precarietà del lavoro” che oggi è al centro del dibattito giuridico-politico nel nostro paese è costituita nei fatti in gran prevalenza, se non del tutto, a parer nostro,da un coacervo di contratti a termine e contratti di lavoro a progetto, caratterizzati da instabilità e incertezza nel tempo per le loro caratteristiche intrinseche di temporaneità ( la durata temporale tout court nel primo, la durata del progetto nel secondo).
In questo ambito si colloca l’ulteriore problema dell’ “abuso” dei contratti a termine,ed in particolare nel succedersi di una serie degli stessi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore.
 
 
Per comprendere correttamente le modifiche che il protocollo Prodi vuole introdurre, occorre tracciare un quadro generale con precisi parametri di riferimento.
Il framework legislativo in cui si inquadra la materia si rifà al D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368, “Attuazione della direttiva 1999/70/CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE,dal CEEP e dal CES”, il quale prevede, all’art. 1, comma 1, che “è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato”.
Ma quale durata può aversi, in forza di tale normativa, per un contratto a termine? (1)
Certo quella confacente alle “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che lo supportano. Tale “termine di durata” potremmo definirlo come il “termine di durata del contratto iniziale”, che potrà essere, a seconda dei casi, unico o soltanto primo di altri contratti a termine che, a loro volta, avranno ciascuno una propria durata, dalla cui sommatoria (del termine del contratto iniziale e dei termini dei contratti successivi) risulterà una durata complessiva della serie.
I successivi contratti potranno, a loro volta, trovare fondamento in una“proroga” del primo contratto (art. 4 D.Lgs. n. 368/2001), anche se più precisamente la proroga non dovrebbe considerarsi un diverso contratto, bensì la semplice continuazione del contratto iniziale, o in un ulteriore diverso contratto a temine (art. 5, comma 3, D.Lgs. n. 368/2001).
Con riguardo alla prima ipotesi si può considerare quanto segue.
La proroga,ammessa una sola volta, può aversi solo quando la durata iniziale del contratto sia inferiore a tre anni. In tal caso la durata complessiva del contratto non potrà essere superiore ai tre anni (contratto iniziale + proroga < = 3 anni). Sono richieste altre condizioni: 1) il consenso del lavoratore; 2) essere richiesta da ragioni oggettive; 3) che si riferisca alla stessa attività lavorativa (n.b. non alle stesse mansioni) per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato. Il sopraddetto limite dei tre anni,dispone la legge, si applica “con esclusivo riferimento a tale ipotesi” dal che si deduce che in ipotesi diverse dalla proroga del contratto iniziale tale limite temporale dei tre anni non si applica.
Si pone, a parer nostro, anche il problema se la proroga debba intervenire senza soluzione di continuità del primo contratto ovvero possa intervenire entro il ventesimo o il trentesimo giorno previsti dall’art. 5, comma 2, del D.Lgs. n. 368/2001, e cioè prima che il rapporto a termine si trasformi in rapporto a tempo indeterminato, ferma restando la maggiorazione della retribuzione per ogni giorno di continuazione del rapporto iniziale prevista dall’art. 5, comma 1, del D.Lgs. n. 368/2001.
Con riguardo alla seconda ipotesi si può considerare quanto segue.
La riassunzione di un lavoratore,ai sensi dell’art. 1 del D.Lgs. n. 368/2001, non richiede particolari condizioni, se non che avvenga decorso un periodo di “dieci giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata fino a sei mesi” ovvero di “venti giorni dalla data di scadenza di un contratto di durata superiore ai sei mesi”. In altri termini decorsi tali intervalli temporali può stipularsi, tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, una successione di contratti di durata indefinita, sempre che sussistano le ragioni tecniche, produttive, organizzative ovvero di carattere sostitutivo previste dall’art. 1 D.Lgs. n. 368/2001. Eppertanto non si stabilisce dalla legge una durata complessiva della successione dei contratti. La sommatoria della durata dei successivi contratti a termine potrà certamente essere superiore ai tre anni.
Alla luce di questo quadro consideriamo quanto dice e quanto non dice sul tema il protocollo tra Governo e Parti sociali del 23 luglio 2007 su previdenza, lavoro e competitività per l’equità e la crescita sostenibili.
Il testo recita “qualora a seguito di successione di contratti per lo svolgimento di mansioni equivalenti il rapporto di lavoro fra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore abbia complessivamente superato i 36 mesi comprensivo di proroghe e rinnovi, ogni eventuale successivo contratto a termine fra gli stessi soggetti dovrà essere stipulato presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio, con l’assistenza di un rappresentante dell’organizzazione sindacale cui il lavoratore sia iscritto o conferisca mandato. In caso di mancato rispetto della procedura indicata il nuovo contratto si considera a tempo indeterminato”.
Possono farsi sul provvedimento considerazioni di carattere generale.
Un primo preliminare appunto di fondo che può muoversi è quello per cui l’introduzione di un termine formale tendenzialmente di carattere generale, e cioè applicabile a tutte le fattispecie, potrebbe apparire e considerarsi in contrasto con l’impianto generale del D.Lgs. n. 368/2001 e con la stessa Direttiva europea, che, entrambe, pongono a fondamento della apposizione di un termine al rapporto di lavoro subordinato ragioni di carattere sostanziali, obiettive (per la Direttiva vedi considerazioni, punto7 (2)). In particolare il decreto legislativo introduce un termine massimo, e ne esplicita il carattere di eccezionalità, solo (“esclusivamente ”, dice la legge) per il caso di proroga. Occorrerebbe quindi fare i conti con questo aspetto, a parer nostro, snaturante dell’istituto. Se è vero peraltro che il Protocollo sembra prevedere la possibilità di reiterare più volte la procedura davanti alla Direzione provinciale del lavoro è altrettanto vero che la scansione dei 36 mesi appare meccanicistica e sganciata dalle ragioni giustificanti.
Non solo ma qualche sospetto di incostituzionalità potrebbe porre l’asserita “inemendabilità” del testo che contrasterebbe con le prerogative del parlamento, nonostante la fattibilità tecnica dell’operazione.
Tale procedura rappresenterebbe, in definitiva, una specie del genere di negozio che presenta un rafforzamento e/o controllo della manifestazione della volontà negoziale della parte debole del negozio medesimo, ovvero dell’istituto della c.d. “volontà assistita”. (3)
Ma non mancano diverse considerazioni di carattere più specifico che possono farsi sul provvedimento.
La prima considerazione che possiamo fare è che la fattispecie presa in considerazione dal Protocollo riguarda una “successione di contratti per lo svolgimento di mansioni equivalenti” eppertanto non riguarderebbe, almeno prima facie, una successione di contratti per lo svolgimento di mansioni non equivalenti, che potrebbero essere inferiori o superiori, trattandosi di rapporti negoziali indipendenti l’uno dall’altro, così come non riguarderebbe una successione di contratti per lo svolgimento di una attività lavorativa diversa; per non dire della difficoltà (come ci ha insegnato la lunga vicenda dell’art. 2103 c.c.) di individuare l’equivalenza delle mansioni. Ne dovremmo concludere che in caso di mansioni non equivalenti e di una attività diversa il limite dei 36 mesi e la procedura introdotta dal protocollo non avrebbero ingresso.
Altra considerazione che ci ispira il testo del protocollo è quella relativa alla ripetitività, come, sempre prima facie,sembrerebbe, della procedura amministrativa/sindacale in oggetto, ossia se il datore di lavoro e il lavoratore de quibus possano stipulare una serie di nuovi contratti, utilizzando la procedura medesima, e per una durata indefinita.
Un’ulteriore considerazione da farsi è che il limite dei 36 mesi non opererebbe in quei casi in cui il contratto a termine sia stipulato ab initio per una durata superiore ai 36 mesi, il che può ben verificarsi in quei settori merceologici che operano per commesse di lunga durata.
Peraltro non comprendiamo la ragione per la quale la limitazione temporale e la procedura de qua non possa trovare applicazione nei contratti di somministrazione di cui agli artt. 20 e seguenti del D.Lgs. n. 276 del 2003 e successive modifiche, lavoratori che si trovano anch’essi in situazione di precarietà.
Altra importante considerazione che può formularsi è che, a parer nostro la stipulazione del nuovo contratto davanti alla Direzione Provinciale del lavoro, deve dichiarare le ragioni che lo giustificano non potendo bastare il solo accordo formale tra le parti negoziali certificato dalla stessa Direzione, ragioni – tecniche, organizzative, produttive, sostitutive – che potranno essere oggetto di sindacato da parte del giudice circa la loro conformità alla legge.
 
Nel protocollo si precisa che le disposizioni su illustrate non si applicano ai dirigenti per i quali pertanto continua a valere la normativa del D. Lgs. 368/2001 che al punto 4 dell’art.10 stabiliva per tali lavoratori una durata massima dei rapporti a tempo determinato di cinque anni, recedibile dopo il triennio, rispettando il preavviso.E’ questa una precisazione necessaria a fronte di una norma di carattere generale.
Inoltre è previsto ,per i lavoratori che abbiano lavorato a termine per un periodo superiore a sei mesi- anche in più rapporti presso la stessa azienda -un diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro nei successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in precedenza durante i predetti rapporti a termine.Lo stesso principio viene esteso alle assunzioni a tempo determinato nelle attività stagionali. Laddove il punto 9 dell’art.10 del D.Lgs 368/2001 demandava ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sin­dacati comparativamente più rappresentativi la facoltà di introdurre   un diritto di precedenza nell’assunzione presso la stessa azienda e con la me­desima qualifica, limitatamente a favore dei lavoratori che abbiano pre­stato attività lavorativa con contratto a tempo determinato per le ipotesi già previste dall’art. 23, c. 2°, della L. 28 febbraio 1987, n. 56, e cioè per i lavoratori che abbiano prestato attività lavorative con contratto a tempo determinato nelle ipotesi previste dall’art. 8-bis del decreto legge 29 gennaio 1983, n.17,convertito con modificazioni,dalla legge 25 marzo 1983 ,n.79 [ lavoratori stagionali e lavoratori del settore del commercio e del turismo].Pertanto la riforma proposta amplia la platea dei lavoratori che possono beneficiare di tale diritto di precedenza, comprendendo in essa,in conformità dell’interpretazione che ci pare più plausibile secondo la lettera della legge, anche i lavoratori stagionali a prescindere dalla durata del rapporto ed escludendo però i lavoratori del turismo e del commercio con contratti a termine di durata inferiore ai sei mesi.Nel D.Lgs 368/2001,punto10 dell’art10,era anche prevista una decadenza per cui il diritto di precedenza in oggetto doveva esercitarsi, a pena di estinzione, entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro a termine e a condizione che il lavoratore medesimo manifestasse in tal senso la propria volontà al datore di lavoro entro tre mesi dalla data di cessazione del rapporto medesimo.La riforma non prevede l’onere del lavoratore di manifestare preventivamente la sua volontà in tal senso e di fatto conserva il limite dei dodici mesi per l’esercizio del diritto e per il correlato obbligo del datore di lavoro.Con più precisione nella riforma si parla di “mansioni” e non di” qualifica” come,letteralmente,invece, si esprimeva il legislatore del D.Lgs. 368/2001.
Infine il protocollo prevede che le assunzioni a termine per attività stagionali, per ragioni sostitutive e quelle connesse alle fasi di avvio di attività d’impresa siano escluse da limiti massimi percentuali ove fissati dai contratti collettivi nazionali stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi.
 
 
 
 
 
 
Durata del contratto a tempo determinato
 
A) nel sistema delineato dal D.Lgs. 6 settembre 2001, n. 368
 
Durata massima di un unico contratto a termine: nessuna (ma comunque confacente con le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo giustificano)
Durata massima di un contratto a termine con relativa proroga (art. 4 D.Lgs. n. 368/2001): 36 mesi
Ove il contratto iniziale sia di per sé superiore ai 36 mesi non è ammessa proroga
Durata massima di una successione di contratti intervallati (art. 5 D.Lgs. n. 368/2001): nessuna
 
 
B) nel sistema modificato dal Protocollo 23 luglio 2007
 
Durata massima di un unico contratto a termine: nessuna (ma comunque confacente con le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che lo giustificano)
Durata massima di una successione di contratti comprese proroghe e rinnovi (per mansioni equivalenti): 36 mesi (salvo esperimento della procedura davanti alla Direzione provinciale del lavoro)
Durata massima di una successione di contratti al di fuori del caso testè indicato: come nel D.Lgs. n. 368/2001
 
 
 
NOTE
(1) Sulla necessità o meno della sussistenza di una “intrinseca limitatezza temporale” del contratto a tempo determinato vedasi A. Vallebona – C. Pisani, Il nuovo lavoro a termine, Cedam, Padova, 2001, 25: “La questione centrale è se il lavoro a termine sia ammesso solo come extrema ratio, cioè quando sia inevitabile a causa della oggettiva temporaneità dell’occasione di lavoro, oppure anche quando, pur in presenza di un occasione permanente di lavoro, sussista una ragione oggettiva non arbitraria o illecita che renda in concreto preferibile un rapporto a termine. L’interpretazione più corretta è sicuramente quest’ultima. Invero la nuova norma generale sostituisce non solo le precedenti ipotesi legali che tipizzavano occasioni temporanee di lavoro, ma anche le vecchie ipotesi di fonte collettiva che, invece, ben potevano riferirsi, ed in effetti si riferivano, in assenza di un vincolo legale qualitativo, anche ad occasioni permanenti di lavoro, tipizzando una qualsiasi ragione legittimante la loro copertura a termine […] era certa l’assoluta libertà dell’autonomia collettiva di individuare causali oggettive legate ad esigenze aziendali, a prescindere dal carattere temporaneo o permanente dell’occasione di lavoro”. Vedi anche Corte di Cassazione n.6029 del 21 marzo 2005, per intero in Diritto & Diritti/Osservatorio/diritto del lavoro, https://www.diritto.it , anche in Mass. giur. lav., 2005, 482,solo massima, sia pure con riferimento alla fattispecie prevista dall’art. 23 della legge n. 56 del 1987 – che anche secondo il sopraccitato testo di Vallebona e Pisani viene assorbita dalla nuova normativa -: “appare, dunque, – si legge nella motivazione- parzialmente inesatta la statuizione contenuta nella sentenza impugnata [della Corte di Appello di Milano] nel punto in cui rinviene nel sistema delineato dalla legge la necessità che – ove le nuove ipotesi di contratto a termine siano dotate di particolare ampiezza tale da capovolgere il rapporto tra la regola generale dell’assunzione a tempo indeterminato e l’assunzione a termine – la norma contrattuale debba naturalmente avere, di per sé, una efficacia temporale limitata, perché (come già rilevato nella particolare fattispecie normativa) l’autonomia sindacale non trova limiti nella legge per quanto riguarda la tipologia e l’ambito temporale di operatività delle nuove ipotesi di contratti a termine da introdurre.”. Posizioni peraltro che possono dar adito in taluno a perplessità, in particolare sugli assunti della ora citata sentenza. Si avrebbe un contratto a tempo determinato senza “efficacia temporale limitata”. Parrebbe una contraddizione in termini.Peraltro secondo i logici (vedi G. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, Libro Terzo, Delle parole, Capitolo III, Dei termini generali, § 10) “il cammino più spedito per definire [è] … per mezzo del genere e della differenza”; così l’uomo è definito come un animale [genere] razionale [differenza]. Ora applicando tale metodo logico alla nostra fattispecie, che non si pone certo fuori dalla logica, potremmo definire il contratto a tempo indeterminato come “contratto di lavoro subordinato” [genere] “con durata illimitata” [differenza] e il contratto a tempo determinato come “contratto di lavoro subordinato” [genere] “con durata limitata” [differenza]. Le ultime posizioni esaminate potrebbero apparire in contrasto con la logica. Altri orientamenti dottrinari ammettono senz’altro l’intrinseca temporalità del rapporto speciale agganciandolo a vari criteri.In particolare v.Ichino Lezioni di diritto del lavoro.Un approccio di labour law and economics Giuffrè 2004,510, che in linea generale asserisce di aderire ad una interpretazione in senso liberista della norma introdotta dal D.lgs.368/2001 e, per quel che ci interessa in questo scritto lega le ragioni di esistenza e la tempistica di durata del contratto a termine alla<< ragionevole prevedibilità… [ da parte del datore di lavoro di una ]..incertezza superiore al normale circa la redditività positiva della prosecuzione[ del rapporto di lavoro]: la pattuizione del termine è legittima in tutti i casi nei quali al momento della costituzione del rapporto il bilancio attivo o passivo della prosecuzione del rapporto oltre il termine è soggetto a incertezza maggiore rispetto a quella normalmente propria di un rapporto di lavoro qualsiasi a tempo indeterminato>>,il che finisce per significare che un tempo massimo alla durata del rapporto c’è e deve esserci in concreto e dipende di volta in volta dalla previsione del datore di lavoro, laddove, in assoluto e in generale tale massima durata è indefinita ,ovverossia non esiste.
 
 
(2) “L’utilizzazione dei contratti di lavoro a tempo determinato basato su ragioni oggettive è un modo di prevenire gli abusi”.
3) Sulla introduzione della c.d. “volontà assistita” vedi A. Vallebona, Norme inderogabili e certezza del diritto: prospettive per la volontà assistita, in Dir. lav., I, 1992, 479 ss. che approccia il tema nei seguenti termini: “in effetti ancora oggi sarebbe improponibile una secca deregolazione che abbandonasse la disciplina del rapporto al contratto individuale []. Si può, invece, discutere se l’indispensabile protezione degli interessi della parte debole, debba continuare ad essere affidata esclusivamente al controllo successivo da parte del giudice circa il rispetto delle norme inderogabili legali e collettive, con i conseguenti costi in termini di certezza, oppure se sia prospettabile l’introduzione di una qualche forma di controllo preventivo sulle pattuizioni individuali, con eliminazione ab origine di ogni dubbio sulla validità delle stesse”.
 

Avv. Viceconte Massimo

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