I ristretti termini previsti dal rito direttissimo, risultando incompatibili con l’effettuazione dell’incidente probatorio, possono assumere rilevanza ai fini dell’assunzione in giudizio degli atti investigativi non più ripetibili

Gulotta Licia 25/11/10
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Con sentenza n. 34203 del 2010, la terza Sezione penale ha respinto il ricorso dell’imputato che, condannato all’esito di giudizio direttissimo a seguito di arresto in flagranza di reato, aveva impugnato la sentenza per violazione degli articoli 512 e 526 c.p.p., poiché pronunciata sulla base delle dichiarazioni rese durante le indagini dalle persone offese, non successivamente sentite in sede dibattimentale poiché irrintracciabili.

L’imputato lamentava, infatti, come l’irreperibilità delle persone offese avesse rappresentato una circostanza tutt’altro che imprevedibile, ed eccepiva, quindi, l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di dette parti, contestando, peraltro, la mancata assunzione del loro esame con le forme dell’incidente probatorio di cui agli art. 392 e seguenti c.p.p..

Precorrendo il ragionamento espresso dai giudici di legittimità nell’esaminanda pronuncia, occorre preliminarmente considerare che, nel rito direttissimo, il presupposto dell’evidenza della prova, per arresto in flagranza o confessione, rende implicito che non siano necessarie ulteriori indagini per sostenere validamente l’accusa in giudizio, tant’è vero che i commi 4 e 5 dell’art. 449 c.p.p. consentono al pubblico ministero di non richiedere altrimenti il rito direttissimo qualora ravvisi la possibilità di un grave pregiudizio nello svolgimento delle (ulteriori) indagini.

Qualora, invece, procedendo con il rito speciale, si manifesti una sopravvenuta ed imprevedibile impossibilità della ripetizione di atti già assunti nel corso delle indagini preliminari, tale accadimento assume rilevanza ai fini dei un’eventuale introduzione in dibattimento delle risultanze istruttorie raccolte nella fase investigativa, ed il giudice di merito, nel valutare ex art. 512 c.p.p., ha il compito di apprezzare liberamente le circostanze determinanti tale sopravvenuta irripetibilità, formulando in proposito una “prognosi postuma” la cui determinazione, se adeguatamente e logicamente motivata, non è peraltro sindacabile in sede di legittimità ( v. Cass. sentenza n. 14850 del 2009, n. 842 del 2007, n. 24249 del 2004, n. 42926 del 2002).

Ciò, tuttavia, non esclude – bensì semmai rafforza – l’obbligo, gravante sul giudice, di utilizzare un particolare rigore nel valutare l’applicabilità di una norma derogatoria al principio di oralità del dibattimento, qual è l’art. 512 c.p.p., risultando, infatti, sempre necessario, in tali circostanze, bilanciare il diritto costituzionalmente garantito all’imputato al contraddittorio nell’assunzione probatoria con l’altrettanto fondamentale principio di non dispersione della prova legittimamente acquisita.

Sul punto, va, peraltro, osservato che l’interpretazione costantemente fornita dalla Suprema Corte sul principio del “giusto processo” previsto al quinto comma dell’art. 111 Cost. induce ad escludere un’automatica violazione dei diritti della difesa ogniqualvolta la mancata sottoposizione del teste al controesame da parte dell’imputato sia dovuta ad oggettiva e non preordinata impossibilità di ripetizione dell’atto e di formazione della prova nel contraddittorio (v. Cass. n. 5821 del 2005).

Sulla base dei principi sopra delineati, i giudici di legittimità, nell’esaminata pronuncia, hanno osservato come la fisiologica compressione dei tempi antecedenti il dibattimento per l’esercizio dell’azione mediante giudizio direttissimo renda, di fatto, non praticabile il ricorso allo strumento dell’incidente probatorio, considerato altresì che il breve lasso di tempo previsto dall’art. 449 c.p.p. tra le due fasi procedimentali risulta, il più delle volte, idoneo a far ragionevolmente prevedere che il soggetto che abbia già spontaneamente riferito in sede di indagini preliminari, a maggior ragione se denunciante, possa verosimilmente rendere testimonianza anche in giudizio.

Di conseguenza, a parere della Corte, nessuna censura può essere mossa al giudice che, nell’ambito della valutazione riconosciutagli ex art. 512 c.p.p., abbia attribuito, appunto, particolare rilevanza alla circostanza che, proprio per la celerità dei tempi del rito direttissimo, la sopravvenuta irreperibilità delle persone offese non fosse altrimenti prevedibile.

 

Gulotta Licia

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