I Principi propri delle azioni di tutela ambientale in ambito Comunitario

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Dopo avere descritto i principi generali propri della normativa europea sull’argomento, occorre scendere ad esaminare i principi relativi alle singole azioni di tutela ambientale.

Il primo principio che emerge già dalla risoluzione n. 4, adottata nel lontano 8 marzo 1968 dal Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa, è il principio di prevenzione, quale cardine dell’ordinamento comunitario in materia di tutela ambientale che risulta in tal modo quale tutela  anzitutto preventiva.

Questo principio, contenuto in vari atti di diritto secondario, giunge con la direttiva n. 85/337/CEE del 27 giugno 1985, così come modificata con la direttiva n. 87/11/CE del 3 marzo 1997, a trasformare la V.I.A. in strumento fondamentale di prevenzione.

Con l’Atto Unico Europeo questo principio viene espressamente inserito nel trattato CEE all’art. 130 R, par. 2, quale principio fondamentale dell’azione comunitaria in posizione prevalente sui principi di correzione e di “chi inquina paga”, che risultano essere secondari e subordinati per quanto possibile rispetto alla prevenzione.

A rafforzare questo principio interviene il principio di precauzione, che attraverso l’approccio precauzionale rende più stringente l’azione preventiva, creando una inversione dell’onere della prova nella necessità di dimostrare che certe attività non danneggiano seriamente l’ambiente.

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Il principio di precauzione

Il principio di precauzione definito nella dichiarazione di Rio De Janeiro (5 giugno 1992, principio 15), viene inserito nella risoluzione del 1 febbraio 1993 del quinto programma di politica ed azione.

Emerge la necessità di operare un bilanciamento tra i vari interessi in gioco, questo opera verso l’esterno, ossia verso gli altri interessi che si contrappongono alla tutela ambientale, e verso l’interno, in altre parole nella individuazione in concreto dell’interesse ambientale tra diverse possibilità operative.

Il principio del bilanciamento si rinviene specificamente nell’art. 130 R. par. 3, del trattato CE, nel quale si definiscono i parametri dell’azione comunitaria in materia ambientale:

  • I dati scientifici e tecnici disponibili;
  • Le condizioni dell’ambiente nelle varie regioni della Comunità;
  • I vantaggi e gli oneri che possono derivare dall’azione o dall’assenza d’azione;
  • Lo sviluppo socio-economico della Comunità nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni.

La conseguenza diretta del principio del bilanciamento, quale principio orientatore, è il principio della gradualità nel determinare obiettivi, fasi e tempi per una adeguata ponderazione dei vari interessi coinvolti.

Sebbene non esplicitamente normato nel trattato CE, tale principio lo si può desumere dalla direttiva n. 84/360/CEE, in cui si parla di gradualità nell’introduzione dei principi a tutela dell’inquinamento atmosferico.

Lo stesso dicasi per la direttiva n. 82/884/CE, nella quale si dice esplicitamente che “le misure adottate ai sensi della presente direttiva devono essere economicamente realizzabili e compatibili con uno sviluppo equilibrato”, per cui “ è necessario prevedere termini adeguati per la sua applicazione”.

Una ulteriore conseguenza diretta dell’affermato principio del bilanciamento è quello di dinamicità, non potendo essere la tutela ambientale un fattore statico.

Già lo stesso ordinamento comunitario all’art. 130 R, par. 3, parla di “dati scientifici e tecnici disponibili” a cui fare riferimento, presupponendo quindi una dinamicità degli stessi; su questo presupposto la nostra Corte costituzionale con sent. n. 94 del 1/1/85 ha preferito configurarlo come principio autonomo.

L’ultimo principio che consegue dal principio del bilanciamento è quello dell’obbligo alla “informazione ambientale” corretta.

Questa risulta essere fondamentale per un corretto bilanciamento degli interessi, l’informazione è di due tipi: “ascendente” per le sedi decisionali e “discendente” per gli utenti, come precisato nella direttiva n. 94/62/CE sugli imballaggi.

Vi è tuttavia il problema della tutela della riservatezza in rapporto al diritto di accesso, a tale problematica la Comunità ha risposto con la direttiva n. 90/313/CEE in cui si è ribadito un diritto assoluto alle informazioni ambientali, limitando tuttavia tale diritto in determinati casi espressamente elencati nell’art.3, par. 2, della direttiva se richiesto dai singoli Stati membri.

Quanto detto finora comporta la necessità della cooperazione e di un correlato principio di corresponsabilità tra i vari livelli territoriali di governo, sia in senso esterno all’ordinamento comunitario che all’interno dello stesso, questo sia tra gli Stati membri che al loro interno.

Oltre alle innumerevoli direttive e regolamenti, basti pensare al n. 85/337/CEE del 27/6/1985, al n. 1836/93, art. 6, par.3 o al n. 94/62/CE del 20/12/94, lo stesso trattato sull’Unione Europea al par. 1 dell’art. 130R, trattato CEE, aggiunge la necessità di promuovere sul piano internazionale misure destinate a risolvere i problemi ambientali a livello regionale o mondiale.

Si legga anche:” I principi di politica ambientale nell’U.E.”

Il principio di sussidiarietà

La corresponsabilità presuppone necessariamente il principio di sussidiarietà, al fine di una distribuzione ordinata e sostenibile dei ruoli e delle relative responsabilità ai vari livelli territoriali di  governo, così come riconosciuto esplicitamente nell’art. 3B, comma 2, del trattato CE.

Infine vi è, quale principio di chiusura, la clausola di salvaguardia, che costituzionalizzata nell’art. 130 T dell’Atto Unico Europeo, permette al livello dei singoli Stati membri di adottare misure di tutela ambientale più rigorose di quelle adottate sul piano comunitario.

Dobbiamo, tuttavia, osservare che in molti casi questi principi di coordinamento tra i vari livelli territoriali di governo si sono risolti nella realtà italiana in una paralisi decisionale, tra veti incrociati. Come, per paura della responsabilità penale, contabile e civilistica, in una altrettanto paralizzante rinuncia al principio di sussidiarietà.

Alla mancata parziale cooperazione interna si contrappone la mancanza, al livello internazionale, di una forte sensibilità ambientale in vaste aree sovra popolate del pianeta, una circostanza che mette in svantaggio competitivo l’area della Comunità se non adeguatamente protetta da filtri fiscali o qualitativi.

Le tecnologie se da una parte migliorano gli standard ambientali, dall’altra nel loro trasferimento incontrollato possono accelerare lo sfruttamento abnorme a livello globale  delle risorse naturali non riproducibili.

Nel trattato di Maastricht si stabilisce la necessità dell’integrazione delle esigenze ambientali nelle politiche economiche (art. 130 R).

Dobbiamo infatti considerare che la crescita economica comporta una analoga crescita nei trasporti, i due fattori determinano sinergicamente una domanda maggiore di energia e risorse naturali, con conseguente elevato livello di emissioni e rifiuti.

Necessita, pertanto, una maggiore efficienza nell’uso delle risorse naturali e nell’acquisizione di tecnologie più pulite, né il passaggio dalla produzione industriale ai servizi ha gli effetti positivi previsti, se comporta una mobilità crescente (es. trasporti aerei).

Ne consegue che nei trasporti gli utenti dovrebbero sostenere interamente i costi, in modo da indurli a scelte che comportino minori costi sociali.

Nel libro bianco su “Crescita, competitività e occupazione” si prospetta un cambiamento strutturale modificando i prezzi relativi ai fattori produttivi (tasse e contributi lavorativi), aumentando quelli sull’uso delle risorse naturali.

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Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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