I nomi ed i ritratti possono diventare dei marchi: tra disciplina, limiti e casi

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a cura della Dott.ssa Serena Biondi

Si premette che, in linea di massima, un soggetto può registrare come marchio il proprio nome e/o il proprio pseudonimo e/o la propria immagine.

Detto diritto è disciplinato, come presto approfondito, dal Codice della Proprietà Industriale.

Inquadramento normativo

Nello specifico, la tutela è prevista dall’’articolo 8 del c.p.i. il quale stabilisce:

al primo comma che i ritratti possono essere registrati solo con il consenso delle persone ritratte e dopo la loro morte, con il consenso del coniuge e dei figli ed in loro mancanza, con quello dei parenti fino al quarto grado.

Al secondo comma si legge che possono essere registrati come marchi i nomi di persona diversi da quelli di chi chiede la registrazione, a condizione che il loro uso non leda la fama, il credito o il decoro del soggetto che ha detto nome. L’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, precisa la norma, può subordinare la registrazione di detto marchio al rilascio del consenso previsto da primo comma.

Inoltre, si legge al medesimo comma, la registrazione non impedisce a chi ha il diritto al nome di farne uso nella ditta da lui prescelta, se ne sussistono le condizioni.

Il terzo comma dell’articolo in analisi infine stabilisce che i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo, le definizioni e le sigle di manifestazioni e di enti ed associazioni non aventi finalità economiche e gli emblemi di questi possono essere usati o registrati come marchio solo dall’avente diritto o dai soggetti da questo autorizzati o autorizzati dai soggetti di cui al primo comma della norma.

Primo caso:

Ebbene proprio a proposito di quanto previsto da questo articolo si è recentemente pronunciato il Tribunale di Milano, con sentenza numero 11374 del 9.12.2019.

Di seguito si riporta:

La massima

“Il riconoscimento di un diritto assoluto sui segni utilizzati in campo artistico, sportivo e scientifico, ai sensi dell’art. 8 CPI, è volto a riservare lo sfruttamento del relativo valore suggestivo a chi ne abbia il merito, con lo scopo di ostacolare possibili fenomeni di parassitismo. La citata disposizione contribuisce infatti alla piena legittimazione del merchandising, pratica che permette all’avente diritto di capitalizzare i vantaggi competitivi insiti nel segno, attribuendone la licenza a terzi nei più diversi campi imprenditoriali. Non è invece conforme alle regole di buon funzionamento del mercato il trarre vantaggio dallo sfruttamento parassitario dell’altrui notorietà, e bisogna assicurare lo sfruttamento commerciale del segno con i relativi emblemi soltanto a chi ne abbia determinato la notorietà.”

 

I Giudici meneghini si sono così pronunciati al termine della causa che ha visto parte attrice citare parte convenuta per aver indebitamente utilizzato e sfruttato a fini commerciali il nome e/o il marchio dell’attore per un’attività di carattere economico.

Secondo caso

I Giudici meneghini si sono pronunciati relativamente al terzo comma dell’articolo 8 c.p.i. con sentenza – tra le altre- numero 6355 del 2018 in una causa promossa da Elisabetta Canalis nei confronti di una casa di moda che, a suo dire, aveva utilizzato il nome, l’immagine, il ritratto e lo pseudonimo della showgirl oltre i termini del contratto concluso per lo sfruttamento degli stessi.

Ebbene nel provvedimento i Giudici hanno sposato la posizione di parte attrice in quanto una casa di moda che continua ad utilizzare come marchio, per una linea di prodotti, lo pseudonimo o il nome di una persona nota, dopo la scadenza del contratto stipulato con la stessa, viola la tutela del nome/pseudonimo prevista dal terzo comma dell’articolo 8 c.p.i.  e non solo, anche dagli articoli 6, 7 e 9 del codice civile (BREVE FOCUS: l’articolo 6 del c.c. disciplina il diritto al nome; l’articolo 7 c.c. la tutela dello stesso e l’articolo 9 la tutela dello pseudonimo).

Inoltre, allo scadere del contratto, la casa di moda avrebbe dovuto rimuovere dai social anche i post pubblicati durante la pendenza del rapporto, raffiguranti l’immagine della testimonial.

Infine, si precisa che nel caso di specie erano state anche manipolate le foto della Canalis tagliando il volto della donna od eliminando i tatuaggio e ciò, secondo i Giudici, costituisce un atto abusivo molto grave nei confronti della donna in quanto la sua immagine è stata mercificate, trattata come un manichino.

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Dott. Lione Federico

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