I documenti rinvenuti in macchina e provenienti da banche con sede in Svizzera , non bastano per provare investimenti e disponibilità all’estero.

Jole Veltri 25/10/13
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Con decisione n° 22508 del 08.10. 2013 la sezione tributaria della Corte di Cassazione civile ha stabilito che il mero sequestro dei documenti rinvenuti nei bagagli della contribuente non era idoneo, in mancanza di espletamento di ulteriori indagini per risalire agli effettivi beneficiari degli estratti conto, a ricondurre tali conti correnti alla contribuente; mentre da nessuna diversa documentazione era emersa la presunzione di possesso in capo alla contribuente di disponibilità finanziarie all’estero.

Il dictum della Corte di Cassazione prende vita da una vicenda che ha riguardato una contribuente nella cui macchina la Guardia di Finanza, rinveniva nei bagagli della sig.ra G.S.I. cinque documenti, provenienti da banche con sede in Zurigo e Ginevra ed intestati a soggetti diversi .

Veniva redatto processo verbale con il quale si contestavano le seguenti violazioni: infedele dichiarazione per non avere riportato negli anni dal 1993 al 1997 il reddito da capitale ricavato dagli investimenti e dalle disponibilità detenute all’estero; omessa dichiarazione di investimenti all’ estero nonché omessa dichiarazione di trasferimenti da, verso e sull’estero di denaro e successivamente emesso avviso di accertamento in rettifica delle dichiarazioni presentate dalla contribuente per l’anno 1993 nonché per il medesimo anno di imposta, veniva emesso altro atto di irrogazioni sanzioni previste dall’art 6 del Dlgs n 417/97.

In base a tale articolo gli investimenti esteri e le attività estere di natura finanziaria, trasferiti o costituiti all’estero, senza che ne risultino dichiarati i redditi effettivi, si presumono, salvo prova contraria, fruttiferi in misura pari al tasso ufficiale di riferimento vigente in Italia nel relativo periodo di imposta, a meno che, in sede di dichiarazione dei redditi, venga specificato che si tratta di redditi la cui percezione avviene in un successivo periodo di imposta, o sia indicato che determinate attività non possono essere produttive di redditi. La prova delle predette condizioni deve essere fornita dal contribuente entro 60 giorni dal ricevimento dell’espressa richiesta notificatagli dall’Ufficio delle imposte.

I giudici di legittimità nel rigettare il ricorso proposta dall’Agenzia delle Entrate hanno ritenuto le motivazioni della stessa inconsistenti e non idonee a fondare la pretesa impositiva dell’avviso di accertamento in rettifica poiché il dato fattuale dato dal possesso dei documenti, non costituiva presunzione di titolarità del conto intestato alla contribuente non sussistendo il presupposto della gravità, precisione e concordanza della suddetta presunzione . Per fondare l’accertamento occorrono prove ben più solide, rispetto al ritrovamento della documentazione essendo altresi’ irrilevante che il contribuente si dimostri scarsamente collaborativo con l’Ufficio finanziario che gli ha richiesto chiarimenti. 

Gli Ermellini hanno chiarito che non stati forniti dall’Ufficio elementi idonei a fondare la presunzione e, quindi, a determinare a carico della contribuente l’inversione dell’onere della prova di cui .all’art.4 del d.l. 28/6/1990 che pone a carico del contribuente l’onere di fornire la prova contraria in relazione al carattere fruttifero dei titoli trasferiti all’estero. L’Agenzia dell’Entrate infatti non ha addotto validi elementi a supporto della sua pretesa fiscale idonei a porre il relativo onere a carico della contribuente .

Va, inoltre, rammentato l’obbligo della compilazione del modulo RW, il quale rientra nella più ampia disciplina del monitoraggio fiscale contenuta nel DL 167/90. Normativa di recente modificata dalla L. n. 97 del 6 agosto 2013, la quale non solo ha previsto alcune semplificazioni, la riduzione delle sanzioni e l’ampliamento dei soggetti obbligati alla presentazione del modulo ma anche ha disciplinato tutti quei casi in cui l’Agenzia delle Entrate, per contestare la mancata compilazione del modulo RW in un caso analogo a quello di specie, dovrà provare che il contribuente esercitava un controllo o la direzione effettiva del soggetto titolare dei conti correnti esteri a cui si riferiscono gli estratti conto.

Occorre altresi’ ricordare che sono tenuti alla dichiarazione delle attività detenute all’estero non solo i possessori formali delle stesse (persone fisiche, enti non commerciali e società semplici), ma anche coloro che, pur non essendo i possessori diretti, sono considerati i titolari effettivi dell’investimento, secondo quanto previsto dall’art. 1 comma 2 lett. u) dell’allegato tecnico del DLgs. 231/2007.

In conclusione , sulla base di un costante orientamento maggioritario, i supremi giudici della Corte di cassazione Sezione tributaria hanno ribadito che la mera detenzione di estratti conto intestati ad altri soggetti, seppure con nomi di fantasia, non consente di ricondurre, in mancanza di una “diversa documentazione”, alla detentrice-contribuente dei documenti la titolarità dei conti correnti bancari.

Jole Veltri

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