I diritti della moglie sul conto in banca intestato al marito

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Spesso ci si chiede quali possano essere i diritti vantati da una moglie su un conto corrente intestato al marito che contiene esclusivamente i redditi da lavoro di lui.

Ci si chiede se la donna, in regime di comunione di beni, possa ad esempio utilizzare la carta del bancomat al fine di prelevare denaro che serve a soddisfare i suoi bisogni e quelli della famiglia, oppure se debba chiedere l’autorizzazione al marito.

La comunione dei beni implica sempre la contitolarità degli acquisti che vengono effettuati dopo le nozze dei coniugi anche in modo singolo.

Costituisce un’eccezione quello che proviene da donazione, eredità, risarcimento del danno e i beni di utilizzo personale che non entrano in comunione.

Non entra nella comunione neanche la pensione di invalidità.

A questo fine, se la stessa viene depositata in banca, la moglie non ha nessun potere di attingere le somme a carattere personale.

Il conto corrente di solito è costituito dai proventi dell’attività lavorativa.

Al fine di comprendere nel migliore dei modi quali siano i diritti della moglie sul conto corrente intestato esclusivamente al marito, ci si deve rivolgere alla disciplina legale prevista.

Il conto corrente del marito

In presenza di una coppia sposata  che abbia optato per il regime di separazione dei beni, il conto corrente del marito resta di sua proprietà esclusiva, la moglie non può vantare nessun diritto, salvo in caso di separazione, esigere un assegno di mantenimento in proporzione alle disponibilità economiche di lui se siano superiori alle sue.

Il conto diventa esclusivamente un parametro dal quale dedurre la ricchezza del coniuge e, di conseguenza, quantificare gli alimenti da versare all’ex.

Le circostanze sono diverse in presenza di una coppia che abbia optato per il regime di comunione dei beni.

I rapporti tra i coniugi e la banca

Quando il conto corrente bancario viene acceso dal marito, è lui l’unico titolare del rapporto ed è autorizzato ad esercitare in modo legittimo i diritti nei confronti della banca.

L’istituto di credito non potrà consentire alla moglie di prelevare, salvo sia munita di bancomat o di delega a fare movimenti sul conto.

La delega che può essere generale oppure per la singola operazione.

Nel primo caso può essere conferita all’apertura del rapporto di conto corrente oppure si può fare in un momento successivo.

In presenza di una delega del marito sul conto, la moglie può prelevare qualsiasi cifra dallo stesso, la banca non ha il potere di impedirglielo, né rispondendone verso il proprietario, salvo che, all’atto della conclusione del contratto, siano stati stabiliti dei limiti di importo, oltre i quali c’è l’obbligo della firma di entrambi.

Il marito, in alternativa alla delega, può decidere di cointestare il conto alla moglie, al fine di garantirle la possibilità di utilizzare il denaro liberamente.

Non si tratta di una donazione se risulta che i soldi sono il frutto del reddito di uno dei coniugi in modo esclusivo, si tratterebbe di una simulazione.

Anche in questo caso, però, la banca non può evitare prelievi alla moglie, anche oltre la metà, salvo l’obbligo per la stessa di restituire al marito le somme prelevate senza la sua autorizzazione.

I rapporti tra i coniugi

Se il conto corrente dovesse risultare essere il frutto dei redditi esclusivi del marito, la moglie non può vantare nessun diritto sulle somme stesse, nonostante i coniugi abbiano il regime di comunione dei beni.

Il codice civile, a questo proposito, prevede che i guadagni dell’attività lavorativa separata di ognuno dei coniugi non entrino in comunione, ma vadano divisi esclusivamente in caso di separazione.

Se sul conto ci sono centomila euro, la moglie non può assolutamente prelevare, né la banca, se non ci sono deleghe o cointestazione, glielo può consentire.

Se la coppia dovesse decidere di separarsi, le somme ancora depositate sul conto andranno divise a metà, anche se si tratta del frutto dei risparmi di uno dei coniugi.

In presenza di simili circostanze, a volte, alcuni spendono quello che hanno sul conto prima di separarsi, per non doverlo dividere con l’ex coniuge.

Lo stesso principio vale anche se la situazione dovesse essere capovolta, vale a dire per il conto corrente intestato esclusivamente alla moglie nei confronti del marito.

Le somme depositate sul conto corrente che derivano da redditi diversi da quello di lavoro, come ad esempio, donazioni, eredità, vendite di beni derivati da donazioni o eredità, risarcimenti del danno o da pensioni di invalidità non devono essere divise, neanche in presenza di separazione o divorzio.

La circostanza nella quale i soldi del conto del marito vengono spesi

Se il marito spende i soldi presenti sul conto prima della separazione, evita la divisione della giacenza in banca.

A questo proposito, si deve ribadire che gli acquisti fatti durante il matrimonio entrano in automatico nella comunione dei beni anche se tra i coniugi si dovesse respirare aria di crisi.

In presenza di circostanze nelle quali non ci siano soluzioni per evitare la spartizione dei frutti del proprio lavoro, il codice civile stabilisce che non entrano nel regime di comunione, i beni di utilizzo strettamente personale, come abiti, gioielli e oggetti per l’esercizio della professione, mentre l’acquisto di una macchina o di una casa ci rientrano e si deve sempre avere attenzione a che cosa si acquista.

Quando uno dei due coniugi spende di più rispetto all’altro

Se uno dei due coniugi preleva dal conto cointestato più dell’altro e la spende per i suoi bisogni, l’altra parte gli può contestare la  circostanza al massimo entro un anno e pretendere la restituzione della sua parte di comunione utilizzata senza prima avere chiesto l’autorizzazione.

Ad esempio, in un conto con tremila euro, se la moglie ne spende millecinquecento è tenuta a restituire al marito millecinquecento euro.

Il ripristino della quota di comunione spesa in modo indebito è obbligatorio se non si riesce a dimostrare che la spesa effettuata con il denaro prelevato è andata a vantaggio della comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.

È stato chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione con la sentenza che riprende gli insegnamenti che più di trent’anni fa erano stati forniti dalla Corte costituzionale (C. Cost. sent. n. 311/88).

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