I costi del mito tecnologico. Semplificazione e costi nella governance

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         L’introduzione della tecnologia comporta la presenza di costi di struttura (fissi) correlati alle dimensioni e alla capacità della struttura stessa, in altre parole la tecnologia costa non solo nel momento della sua introduzione ma ancor più nel periodo successivo del mantenimento e della sua implementazione. Inoltre più è complessa e interconnessa maggiori sono i costi in quanto maggiori i rischi di blocco del sistema, aumentando la sensibilità dell’insieme agli errori dei singoli elementi che lo compongono.
         Occorre pertanto rapportare i vantaggi produttivi che se ne ricaveranno con i costi della sua introduzione, mantenimento e implementazione, questo non solo con riferimento all’acquisto, installazione e manutenzione, ma anche alla formazione e dipendenza dal personale.
         Come in tutti i sistemi complessi, l’aumento della complessità fa crescere il rischio di rottura e pertanto la necessità del controllo del sistema, si deve quindi decidere il livello di rischio accettabile ossia l’affidabilità richiesta anche in funzione dei costi sostenibili, tenendo presente l’aumento di interdipendenza dei singoli elementi all’aumentare della complessità del sistema, con un rapporto diretto che viene di fatto ad incidere sul livello di efficienza produttivo che si intende mantenere.
         Tra le teorie dello sviluppo economico proprie del secondo ‘900, dagli anni ’60 si sono sviluppati modelli che a partire da Arrow hanno endogenizzato il progresso tecnico secondo la teoria della crescita endogena.
         Sebbene Arrow introduca tra i fattori di crescita della produttività del lavoro gli investimenti diretti in conoscenza della singola impresa e quelli indiretti derivanti dalle altre imprese, tuttavia lega il risultato finale al tasso di crescita della popolazione, soltanto negli anni ’80 vengono elaborati modelli in cui si supera tale émpasse.
         Si ipotizza che annualmente una parte dei consumi è sacrificata negli investimenti necessari per la produzione di nuova conoscenza, considerata nell’insieme ovvero sia quella prodotta dalla singola impresa che quella indiretta prodotta dalle altre imprese pubbliche o private.
         La capacità produttiva comunque cresce indipendentemente dalla popolazione e dalle altre risorse produttive, l’accento viene quindi posto a seconda dei vari modelli più sull’aspetto tecnico (Romer) o piuttosto sull’investimento in capitale umano (Lucas).
         Quando la tecnologia aumenta in complessità gestirla richiede crescenti competenze con una esponenziale crescita dei costi, sia in termini di manutenzione che di preparazione del personale, i sistemi d’altronde invecchiano e si usurano ed anche la loro sostituzione comporta pesanti costi né si può usare un sistema cannibalistico di integrazioni successive rischiando di aumentare i rischi di blocco e i rallentamenti per bassa compatibilità dei vari elementi.
         D’altronde crescono le tentazioni nei contratti di fornitura, mentre regolamentare richiede capacità superiori a quelle necessarie a coloro che devono essere controllati e più sofisticata è la tecnologia più rigorose devono essere le metodologie.
         I costi anche per questa parte vengono ad aumentare si che non sempre l’ultimo modello è quello più conveniente per le operazioni in atto ed anche l’ammortamento dei costi e quindi la durata presunta dei sistemi deve essere pianificata, al fine di evitare duplicazioni e costi impropri sul personale e la sua formazione.
         Si vede bene che inserire nuova tecnologia non è qualcosa di semplicemente tecnico, ma comporta una capacità di previsione degli scenari e di pianificazione economica più sofisticata delle normali metodologie, oltre alla necessità di rigorose tecniche per impedire individualismi e valutazioni interessate.
         Vi è infine il rischio di un sottoutilizzo dei sistemi affiancato ad una errata pianificazione, soprattutto in presenza di forti interessi falsamente finalizzati all’efficienza produttiva.
         E’ stato osservato che i modelli tradizionali usati per la valutazione dei progetti di investimento non considerano due variabili critiche, costituite dall’aleatorietà del contesto ambientale operativo e dalla flessibilità sul campo dei decisori.
         Si è pertanto ipotizzata la possibilità della redazione di un bilancio “ esteso” da affiancarsi al bilancio civilistico, con la finalità principale di una valutazione più completa dell’impresa in presenza di elementi di incertezza, si che al valore attuale dei flussi di ricavi che una attività genererà nel corso della sua vita, al netto del costo di acquisto e dei costi di funzionamento, si dovrà incorporare le opzioni legate all’incertezza degli scenari futuri e della capacità di adattamento del management, definito valore attuale netto esteso, secondo la teoria delle opzioni reali (Pierleoni, Camerata).
         Già nella valutazione di un investimento la spesa iniziale viene individuata come prezzo per un contratto aleatorio premessa per una serie di opportunità di guadagno tante quante sono le alternative di sviluppo del progetto, alternative legate alle condizioni di incertezza che caratterizzano gli scenari operativi, a loro volta collegati alle capacità strategiche manageriali (Myers, Trigeorgis).
         Si pone un problema di governance volto ad evitare la massimizzazione dell’interesse personale a scapito dell’interesse pubblico, circostanza che impone un potenziamento dei sistemi di controllo e l’eventuale passaggio da una rendicontazione puramente economico-finanziaria ad una rappresentazione della performance sociale con una partecipazione degli utenti mediante controlli di qualità.
Viene a crearsi una sintesi tra l’autonomia manageriale e il soddisfacimento degli interessi pubblici anche mediante l’adozione, come proposto, di un modello dualistico in cui il consiglio di amministrazione si dovrebbe dividere in un consiglio di gestione e un consiglio di sorveglianza (Cristofoli, Valotti), in alternativa al modello più frequente dell’attribuzione di ampie deleghe agli amministratori esecutivi allontanando il luogo di formazione delle decisioni strategiche da quello della rappresentanza politica, pur mantenendo l’equilibrio dei controllo fra i vari organi.
         Appare quindi evidente la necessità del controllo economico determinato dal crescere del fattore complessità e dalla necessità di una sua valutazione in termini di ritorno produttivo, soprattutto nel settore pubblico dove possono crearsi nuove sacche di spesa ideologicamente giustificate, dobbiamo infatti sempre considerare la complessità gestionale del sistema e la sua durata nel tempo anche in rapporto al livello di affidabilità richiesto dal settore.
         Comprimere i costi del personale ricorrendo alla tecnologia, senza prevedere gli scenari futuri e i costi di mantenimento e pianificazione nella sostituzione dei sistemi obsoleti può pertanto risolversi nella pura alimentazione di un mito.
 
 
Sergio Sabetta
 
 
Bibliografia
 
·        A. Capocchi, Il processo di e-government nel sistema delle amministrazioni pubbliche, Giuffrè, 2003;
·        M. Pollifroni, Processi e modelli di e-government ed e-governance applicati all’azienda pubblica, Giuffrè, 2003;
·        D. Cristofoli – G. Valotti, Proprietà e corporate governance delle public utilities, in “E. & M.” , Etas, 75-92, 4/2007;
·        M. R. Pierleoni – F. Camerata, Valutazione dell’impresa e opzioni reali: la visione “estesa” del bilancio, in “E. & M.”, Etas, 93-111, 4/2008.
 

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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