I controlli negli enti locali: evoluzione storica e prospettive future*

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1. Premessa.
 
Con il presente lavoro intendo procedere ad un’analisi dell’evoluzione che storicamente ha avuto luogo in materia di controlli negli enti pubblici, evoluzione che ha costituito il naturale riflesso del mutamento che ha caratterizzato nel tempo i compiti ed i rapporti tra gli stessi enti.
La tematica sarà trattata con specifico riferimento agli enti locali, rispetto ai quali un determinante fattore di innovazione è stato rappresentato dalla riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, operata con la legge costituzionale n. 3 del 2001, al cui processo di attuazione occorre porre particolare attenzione, in quanto fondamentale per i nuovi assetti degli enti.
 
 
2. Tipologie di controlli sugli enti locali nel periodo antecedente all’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana.
 
Il periodo storico successivo all’unificazione dell’Italia è stato caratterizzato da un sistema di controlli sugli enti locali di stampo fortemente accentrato, con un’impostazione di tipo tutorio-repressivo.
I controlli erano svolti da organi di amministrazione attiva (prefetti e giunte provinciali amministrative), ciò che talvolta determinava la coincidenza tra controllore e controllato.
Ulteriore inconveniente del sistema in esame era che l’attività di controllo interveniva nel procedimento di formazione degli atti amministrativi, appesantendone e condizionandone l’iter e costituendo causa di una patologica lentezza dell’azione amministrativa.
 
3.  L’entrata in vigore della Costituzione Repubblicana.
 
L’avvento della Costituzione Repubblicana comportò la previsione di nuovi organi di controllo, segnatamente per gli enti locali i comitati regionali di controllo (CORECO) e col tempo, anche sulla scorta di alcuni interventi della Corte Costituzionale, scomparvero dal sistema di controllo gli organi politici.
Restavano, tuttavia, l’impostazione centralistica e la pesante limitazione dell’ambito di autonomia degli enti locali.
In sostanza, permaneva in capo al governo centrale l’individuazione di cosa fosse legittimo e lecito nell’attività amministrativa degli enti locali e la disciplina delle forme in cui operare il controllo.
Tale situazione ostacolava lo sviluppo di istituzioni per le quali, invece, il dettato costituzionale aveva previsto criteri di funzionalità, praticità ed imparzialità.
 
 
4. La legge 142/’90: una svolta per gli enti locali.
 
La legge di riforma delle autonomie locali ( l. 142/’90) ha avviato un processo di affrancamento degli enti locali dalla suddetta situazione, con numerose innovazioni, tra le quali vanno ricordate l’abrogazione dei controlli di merito, la riduzione della tipologia di atti sottoposti al controllo preventivo di legittimità e la previsione di una differente composizione dei CORECO (cioè un membro di emanazione governativa e quattro componenti scelti dal consiglio regionale).
Successivamente la l. 127/’97 (c.d. Bassanini 2) ha ridotto ulteriormente l’ambito degli atti sottoposti al controllo necessario (=obbligatorio) ed ha modificato la disciplina relativa al controllo eventuale (=a richiesta di un certo numero di consiglieri) e facoltativo (=spontaneo).
Non va sottaciuta l’importanza che in materia di enti locali ha avuto il nuovo ordinamento finanziario e contabile, introdotto dal d.lgs. 77/’95.
Ulteriore svolta, su cui si dirà in seguito, si è avuta con la riforma delle funzioni giurisdizionali e di controllo della Corte dei Conti, operata dalla l. 20/’94, cui ha fatto seguito il d.lgs. 286/’99, di riforma dei controlli interni nella pubblica amministrazione.
Non si può non evidenziare l’incidenza che sugli enti pubblici ha avuto il progressivo affermarsi nella legislazione degli anni ’90 della distinzione tra attività di indirizzo, di pertinenza degli organi politici, ed attività di gestione, riconosciuta di competenza degli organi burocratici (dirigenza), sviluppatasi a partire dal d.lgs. 29/’93 e consolidata e rafforzata con il d.lgs 80/’98 (emanato a seguito di apposita delega contenuta nella legge 59/’97, c.d. Bassanini 1), fino a giungere al d.lgs 165/’01 e alla l. 145/’02.
Un’evoluzione normativa, quella sopra accennata, che ha teso a svincolare il ceto dirigente dal preesistente rapporto di vera e propria subordinazione gerarchica rispetto alla classe politica, introducendo un rapporto diverso, di direzione politica e, conseguentemente, ampliando l’ambito dei poteri e delle responsabilità dirigenziali.
Un’evoluzione che, sul piano concreto, ha sensibilmente ridotto negli enti locali il ricorso a deliberazioni degli organi collegiali (consigli e giunte), in passato chiamati ad esprimere la volontà degli enti attraverso un’enorme quantità di atti, determinando – anche grazie all’appesantimento derivante dai controlli preventivi di legittimità di cui si è accennato – un’azione amministrativa lentissima e certamente non degna di un paese civilmente evoluto.   
 
5. Ulteriori sviluppi normativi.
 
Le innovazioni suddette (riduzione delle tipologie di atti sottoposti a controllo preventivo di legittimità, responsabilizzazione del ceto dirigente e modifica nell’ordinamento finanziario e contabile) sono poi confluite nella l. 265/’99 (c.d. Napoletano-Vigneri) e, infine, nel d.lgs. 267/’00, Testo Unico delle Leggi sull’Ordinamento degli Enti Locali (T.U.E.L.).
Il definitivo declino dei controlli preventivi di legittimità sugli atti degli enti locali si è avuto con la riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione, sopravvenuta con la l. cost. 3 del 2001.
Nell’ambito di una riforma che si è incentrata sul riconoscimento di una pari dignità di Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato – tutti elementi costitutivi della Repubblica, secondo il dettato del nuovo art. 114 della Costituzione – non potevano più trovare spazio i controlli esterni di tipo tutorio di cui si è detto. Logica conseguenza è stata la loro abolizione.
Ma prima ancora della novella costituzionale, un’importante fonte di innovazione normativa in materia si è avuta con il d.lgs 286/’99, che ha segnato il rafforzamento dei poteri di controllo interni all’ente pubblico (autocontrollo), a fronte della progressiva riduzione dei controlli esterni (da parte di altri soggetti).
 
 
6. Il processo di programmazione e controllo: la programmazione.
 
Un esame della disciplina dei controlli posta dal d.lgs 286/’99 – che ha poi trovato con riferimento agli enti locali una sostanziale conferma nell’art. 147 del T.U.E.L. – non può prescindere da una premessa. L’ultimo decennio del secolo scorso è stato segnato da un’impostazione dell’attività degli enti pubblici caratterizzata dal rispetto dei canoni di efficienza, efficacia ed economicità, codificati dalla l. 241/’90, di disciplina del procedimento amministrativo.
L’importantissima fonte normativa ora citata ha segnato la c.d. procedimentalizzazione dell’attività amministrativa, inquadrata non più come insieme di singoli atti slegati, ma come un susseguirsi di atti tra loro collegati in vista del perseguimento delle finalità di pubblico interesse dell’ente.
Da tale premessa è scaturita la logica conseguenza: il superamento del tradizionale controllo formalistico afferente la legittimità dei singoli atti e l’avvento di forme di controllo che hanno per oggetto i risultati che scaturiscono dall’attività dell’ente.
La progressiva ispirazione dell’attività degli enti pubblici a principi aziendalistici già da tempo sperimentati nel settore privato ha trovato una sua conferma, riguardo agli enti locali, nella disciplina introdotta dal d.lgs. 267/’00, dando luogo all’introduzione di procedure di programmazione e controllo dell’intera attività gestionale.
La programmazione si sviluppa attraverso vari strumenti: 1) il Piano strategico di mandato; 2) l’annuale Piano dettagliato degli obiettivi (P.D.O.); 3)l’annuale Piano esecutivo di gestione (P.E.G.); 4) il Bilancio di previsione annuale e i relativi allegati.
Tale fase si integra inscindibilmente con le attività di controllo, ponendo in evidenza l’importanza del ruolo degli organismi di controllo interno.
Riguardo alla programmazione, va osservato che i suddetti strumenti evidenziano la sopra accennata distinzione tra attività di indirizzo e gestione. Infatti, il Piano strategico di mandato costituisce l’espressione degli obiettivi di fondo che nel corso del proprio mandato un’amministrazione intende perseguire. In altri termini, tale strumento rappresenta l’espressione della mission che l’amministrazione intende realizzare nel corso della legislatura, attingendo al programma su cui si è incentrata la competizione elettorale.
Espressa in tale documento la funzione di indirizzo politico di fondo, si rende necessaria la suddivisione temporale delle relative attività, ciò che ha luogo con i documenti annuali di programmazione.
Il Piano dettagliato degli obiettivi, approvato dalla giunta e predisposto ad opera del direttore generale dell’ente, racchiude gli obiettivi verso cui nel corso dell’anno è orientata l’azione dell’ente nei diversi settori di attività. Poiché il raggiungimento dei suddetti obiettivi è posto in capo ai dirigenti/responsabili dei servizi dell’ente, il procedimento di individuazione degli stessi è oggetto di una loro negoziazione tra gli organi politici (assessori di riferimento) e gestionali (dirigenti), con l’intervento del direttore generale, tipicamente organo filtro e di trasmissione degli input provenienti dai primi ai secondi.
Il documento in discussione assume una particolare importanza nel processo di programmazione, in quanto evidenzia con riferimento all’arco temporale di riferimento “chi deve fare e cosa”, offrendo un’articolazione degli obiettivi in una serie di azioni che dovranno verificarsi entro archi temporali prestabiliti.
Tale scomposizione, come si vedrà, assume un’importanza determinante per il controllo sull’attività burocratica.
Altro fondamentale strumento di programmazione è costituito dal Piano esecutivo di gestione, che evidenzia per ciascun centro di responsabilità gli obiettivi in termini finanziari da perseguire, le risorse assegnate e le responsabilità di gestione.
Tale documento, predisposto dal direttore generale dell’ente, è oggetto di deliberazione da parte della giunta, che ha luogo successivamente all’approvazione da parte consiliare del bilancio annuale di previsione e dei relativi allegati, di cui il P.E.G. può essere considerato una specificazione in termini operativi, una sorta di scomposizione del bilancio, suddividendo in capitoli le risorse (entrate) e gli interventi (spese), con riferimento ai centri di costo.
Il bilancio di previsione, approvato dal consiglio sulla base di uno schema proposto dalla giunta, riassume riguardo all’esercizio finanziario di riferimento la programmazione finanziaria dell’ente, individuando le risorse e gli interventi in cui utilizzarle, con carattere autorizzatorio. Rappresenta l’atto basilare annuale in cui viene espresso l’indirizzo politico dell’organo di diretta emanazione del corpo elettorale.
Va evidenziata la stretta connessione che ha luogo nel procedimento di formazione del bilancio e del P.E.G.. Sebbene cronologicamente l’approvazione di quest’ultimo segua quella del bilancio, l’iter formativo del P.E.G. precede e costituisce presupposto dello schema di bilancio di previsione predisposto dalla giunta, fondandosi sulle previsioni formulate per le entrate e le spese da parte dei dirigenti/responsabili dei servizi dell’ente, oggetto di negoziazione con l’esecutivo dell’ente e il direttore generale.
 
  
7. Processo di programmazione e controllo: il controllo.
 
Il processo di programmazione in precedenza sinteticamente descritto ha come naturale complemento il controllo.
Come già accennato, l’evoluzione dei controlli negli enti pubblici e, tra questi, negli enti locali è stata caratterizzata negli ultimi anni dalla perdita di importanza dei controlli preventivi di legittimità sui singoli atti, a favore di forme di controllo sull’attività e sui risultati che ne scaturiscono.
Decisiva in tal senso è stata la disciplina dei controlli interni posta dal già citato d.lgs 286/’99 e ribadita – per gli enti locali – dal d.lgs 267/’00.
La suddetta normativa ha previsto quattro tipologie di controlli interni:
1. la valutazione e il controllo strategico;
2. il controllo di gestione;   
3. la valutazione dei dirigenti;
4. il controllo di regolarità amministrativa e contabile.
La valutazione e il controllo strategico hanno la funzione di verifica del rispetto, nell’attività svolta, delle scelte fondamentali di programmazione dell’ente. Costituiscono, pertanto, un tipico strumento di controllo del consiglio nei confronti della giunta, che ha luogo valutando l’adeguatezza delle scelte operate dalla giunta in relazione ai programmi ed ai piani deliberati dal consiglio.
Tale tipologia di controllo ha luogo da parte di organi che rispondono direttamente agli organi di indirizzo politico, riferendo agli stessi con periodiche relazioni.
Il controllo di gestione rappresenta la più importante forma di controllo interno prevista dalla vigente normativa.
Già introdotto per gli enti locali con il d.lgs 77/’95 (Nuovo ordinamento finanziario e contabile degli enti locali), tale tipo di controllo costituisce un momento essenziale per l’applicazione agli enti locali della “cultura del risultato”. E’ l’elemento centrale dell’apparato dei controlli interni che – abbandonata la funzione di carattere repressivo-sanzionatorio – hanno dato luogo ad un sistema-guida per gli organi istituzionali, in vista del perseguimento degli obiettivi ultimi dell’azione degli enti, predeterminati a livello di vertice politico.
Il controllo di gestione è la procedura volta alla verifica dello stato di attuazione degli obiettivi programmati e consente – attraverso l’analisi delle risorse dell’ente e il raffronto tra costi sostenuti ed entità e qualità dei servizi offerti – la valutazione dell’efficienza, efficacia ed economicità dell’azione in corso.
Ad esito di tale valutazione, che in un processo bene impostato ha luogo “in corso d’opera”, cioè durante lo svolgimento dell’attività programmata, è possibile in caso di scostamenti rispetto ai risultati attesi la individuazione delle cause e la realizzazione delle azioni correttive ritenute opportune.
Come già accennato, gli obiettivi gestionali preventivamente definiti sono oggetto di scomposizione in azioni, da effettuarsi secondo un determinato cronoprogramma. L’adozione in fase di programmazione di tale impostazione consente la suddetta verifica, il controllo di tipo concomitante, avvalendosi di appositi indicatori di attività (=che raffrontano l’entità dell’attività erogata con le caratteristiche della specifica unità organizzativa), indicatori di efficienza (=che raffrontano i beni e servizi prodotti con le risorse a tal fine impiegate) e indicatori di efficacia (=che esprimono il grado di raggiungimento degli obiettivi ottenuto).
La misurazione dei risultati, la verifica degli scostamenti rispetto alle previsioni e l’introduzione di azioni correttive (meccanismo di retroazione o feedback) ha luogo periodicamente attraverso una serie di rapporti (report) illustrativi dei dati significativi a tal fine.
Va sottolineato che il T.U.E.L. nel prevedere l’obbligo degli enti locali di effettuare il controllo di gestione, lascia all’autonomia degli stessi, esercitabile attraverso il regolamento di contabilità, la scelta delle modalità concrete di tale tipo di controllo.
É opportuno porre in luce alcune analogie e differenze tra il controllo di gestione ed il controllo strategico. Come detto, quest’ultimo si riferisce essenzialmente ai rapporti tra organi di indirizzo politico e rappresenta un tipico strumento di controllo dell’operato della giunta da parte del consiglio.
Viceversa, il controllo di gestione ha per oggetto le scelte gestionali attuative dell’indirizzo politico e, quindi, attiene ai rapporti tra la giunta e i dirigenti.
Altra differenza di rilievo riguarda l’aspetto temporale: mentre il controllo strategico ha luogo con una periodicità di ampio respiro, il controllo di gestione si realizza in archi temporali più ristretti.
Inoltre, come accennato, il controllo di gestione finisce per costituire uno strumento di aiuto, una guida per l’azione gestionale.
Altro tipo di controllo interno è rappresentato dalla valutazione dei dirigenti, la cui funzione è fornire un giudizio sulle doti manageriali dei soggetti valutati. L’esito di tale tipo di controllo è il presupposto per la determinazione di una componente del relativo trattamento economico: la retribuzione di risultato. Inoltre, esiti negativi possono essere di base per l’avvio di procedimenti sanzionatori per responsabilità dirigenziale.
L’impostazione di tale tipo di controllo prende avvio da una preventiva determinazione di criteri di valutazione, che forma oggetto di accordo tra delegazione trattante di parte pubblica ed organizzazioni sindacali.
Oggetto del controllo sono le performances dirigenziali, sotto i seguenti profili:
1. la prestazione, in stretta relazione agli obiettivi assegnati;
2. la posizione dirigenziale, riferibile al peso delle responsabilità poste in capo al dirigente;
3. il potenziale, cioè l’abilità del dirigente in generale, cioè prescindendo dalla struttura cui è preposto.
La valutazione dei dirigenti si avvale di dati desumibile dal controllo di gestione, cui si aggiungono informazioni ottenute presso gli stessi soggetti valutati ed i loro collaboratori. Il tutto ha lo scopo di evidenziare la capacità manageriale del valutato, che non si limita ad aspetti solo di carattere tecnico (preparazione professionale, esperienze passate, ecc.) ma include anche una serie di abilità personali (consapevolezza e padronanza di sé, motivazione, ecc.) e nei rapporti sociali (rapporto di empatia con i collaboratori e gli altri interlocutori, assunzione di un ruolo guida, abilità nella comunicazione, nella gestione dei conflitti, ecc.).
La valutazione dei dirigenti ha luogo da parte di appositi organi, i “nuclei di valutazione”.
Infine, il controllo di regolarità amministrativa e contabile è finalizzato ad assicurare la legittimità, regolarità e correttezza dell’azione amministrativa.
Il sopra accennato mutamento nell’impostazione dell’attività degli enti pubblici, la c.d. “amministrazione per obiettivi”, non ha certo potuto offuscare i principi costituzionali di legalità e buon andamento (cfr. l’art. 97 della Costituzione “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento  e l’imparzialità dell’amministrazione”).
Il declino dei controlli preventivi esterni trova il suo contrappeso nel controllo interno che si inserisce nello stesso processo di formazione dell’atto amministrativo. Questo ha luogo attraverso il parere di regolarità amministrativa che viene espresso, con assunzione di responsabilità, da parte del dirigente del servizio interessato sulle proposte di deliberazione di giunta e di consiglio, ovvero direttamente con la sottoscrizione degli atti monocratici tipici dirigenziali (determinazioni).
Il controllo di regolarità contabile è invece di competenza del responsabile finanziario ed è espresso con il parere di regolarità contabile sulle proposte deliberative e con il visto di regolarità contabile, attestante la copertura finanziaria, per le determinazioni dirigenziali, che assumono in tal modo piena efficacia.
Va ricordato che il T.U.E.L. lascia ampio spazio alle fonti normative dell’ente locale (statuto e regolamenti) circa la disciplina della coerente modalità di effettuazione dei suddetti controlli. E proprio in esercizio del potere di autoorganizzazione gli enti locali possono integrare le suddette tipologie di controllo di regolarità amministrativa e contabile con ulteriori procedure.
Volendo fare delle ipotesi, può essere previsto in sede di regolamento di disciplina delle funzioni della dirigenza che il direttore generale (o il segretario generale negli enti privi di direttore) ove ravvisi vizi nei singoli atti amministrativi solleciti il dirigente che li ha emessi ad effettuare interventi correttivi entro un termine perentorio, decorso il quale potrà essere designato un dirigente sostituto “ad acta”. Oppure può essere previsto un controllo periodico a campione degli atti emessi dai singoli dirigenti dell’ente per una verifica della conformità legale degli stessi.
 
8. I controlli esterni: il ruolo della Corte dei Conti.
 
Ai controlli interni sopra descritti si aggiungono quelli esterni, svolti da organi in posizione di terzietà rispetto agli enti locali.
Soggetto attivo di tali controlli è la Corte dei Conti, attraverso il controllo sulla gestione del bilancio delle amministrazioni pubbliche ed il controllo sul funzionamento dei controlli interni alle stesse, cui si aggiungono i controlli di regolarità contabile e finanziaria, introdotti dalla legge finanziaria 2006 (l. 266/’05).
Il quadro delle prerogative della Corte dei conti si completa con i controlli che sono svolti in funzione del rispetto da parte degli enti pubblici degli equilibri di bilancio in relazione ai vincoli derivanti dall’appartenenza all’Unione Europea (c.d. patto di stabilità).
Il controllo sulla gestione è svolto rispetto agli enti locali dalle sezioni regionali della Corte territorialmente competenti. Si tratta di un tipo di controllo successivo che riguarda sia gli aspetti di legittimità e regolarità delle attività svolte che i profili di efficienza, efficacia ed economicità della stessa.
I destinatari ed i contenuti di tali controlli sono individuati in un apposito programma annuale predisposto da ogni sezione regionale. Tale tipo di controllo ha carattere globale, nel senso che scopo dello stesso è la valutazione del buon andamento della gestione complessiva dell’ente controllato. Inoltre si conclude con un referto, inoltrato all’organo elettivo dello stesso ente. Ciò mette in luce la funzione di tale tipo di controllo: non di carattere repressivo, ma collaborativo, di ausilio per il soggetto controllato, in quanto dal referto l’organo destinatario dello stesso potrà trarre impulso per processi di autocorrezione dei principi, delle linee guida dell’attività dell’ente.
Non va sottaciuto che le sezioni regionali trovano in tale tipo di attività un’ampia base nei risultati dell’operato degli organi di controllo interno, in primo luogo di quelli preposti al controllo di gestione.
Si giunge così ad un’altra importante funzione affidata alla Corte dei Conti: la verifica del corretto funzionamento degli organi di controllo interno, senza la quale lo stesso controllo esterno sulla gestione verrebbe privato della dovuta attendibilità.
Infine, gli esiti del controllo esterno sulla gestione sono oggetto di trasmissione annuale al Parlamento per l’esercizio di poteri di vigilanza e, eventualmente, per costituire lo spunto per interventi legislativi correttivi.
S’impone una breve considerazione sulle differenze ed i rapporti tra controlli interni e controlli esterni sulla gestione. I primi sono svolti da organi che promanano dal vertice dell’ente locale e perseguono le finalità illustrate nei paragrafi precedenti. Il controllo esterno sulla gestione è svolto, per le finalità appena ricordate, dalla Corte dei Conti, che agisce in posizione di assoluta neutralità, di equidistanza tra gli enti locali e le altre componenti della Repubblica, in perfetta aderenza con la sua collocazione costituzionale tra gli organi ausiliari della stessa.
Il controllo di regolarità contabile e finanziaria, introdotto dalla legge finanziaria 2006 trova il suo fondamento nell’esigenza – espressa nell’art. 119 della Costituzione – di coordinamento della finanza pubblica. In particolare, gli organi interni di revisione economico-finanziaria degli enti locali sono tenuti a trasmettere alle sezioni regionali di controllo apposite relazioni sul bilancio di previsione e sul rendiconto, redatte in conformità a linee guida previamente deliberate dalle articolazioni territoriali della Corte.
Sulla base di tali relazioni, ove riscontrino gravi irregolarità di ordine contabile e gestionale, le sezioni regionali potranno sollecitare gli organi consiliari degli enti a porre in essere le necessarie misure correttive. Emerge, anche in tal caso, una sinergia tra organo di controllo interno ed esterno ed il ruolo ausiliario esercitato dalla Corte.
Infine, la Corte dei Conti esercita il controllo sugli equilibri di bilancio, in relazione alla verifica del rispetto del patto di stabilità interno e dei vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea, segnatamente riguardo all’osservanza delle regole stabilite annualmente in occasione della legge finanziaria.
 
 
9. Considerazioni conclusive
 
Nel corso dell’ultimo decennio del secolo scorso e nei primi anno di quello attuale hanno avuto luogo profonde trasformazioni nella disciplina degli enti pubblici in genere e degli enti locali in particolare.
L’affermazione del principio di separazione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di gestione, il connesso incremento dei poteri e delle responsabilità dei dirigenti, la riforma del Titolo V della parte II della Costituzione sono solo alcuni dei fattori che hanno messo a nudo l’inadeguatezza di un sistema di controlli sugli enti pubblici incentrato su controlli preventivi di legittimità affidati ad organi esterni alle amministrazioni emananti i singoli atti.
Tale sistema, espressivo della c.d. “cultura dell’adempimento” è stato la causa di un’inaccettabile lentezza delle procedure amministrative, con inevitabili riflessi negativi sui cittadini.
Di pari passo con l’espansione dei settori di attività di pertinenza delle pubbliche amministrazioni, sovente in posizione di confronto, se non di concorrenza, con le imprese private, non poteva più persistere la suddetta impostazione ed ha finito per farsi strada, finalmente anche negli enti pubblici, la c.d. “cultura del risultato”.
La logica conseguenza è stata la progressiva compressione dei controlli sui singoli atti e l’adozione di forme di controllo che assumono ad oggetto i risultati delle attività svolte.
Resta da chiedersi se le nuove tipologie di controllo sono destinate ad assicurare gli obiettivi per cui esistono.
Ad avviso dello scrivente, il successo degli strumenti di controllo è legato principalmente a tre fattori:
1. la consapevolezza dell’importanza dei controlli interni;
2. la selezione dei componenti degli organi di controllo interno;  
3. l’integrazione tra controlli interni ed esterni.
La consapevolezza dell’importanza dei controlli interni è basilare per un’efficiente gestione dell’ente locale. L’utilità di una corretta impostazione ed implementazione del sistema di programmazione e controllo, strumento essenziale per il buon funzionamento dell’ente, deve sempre essere all’attenzione sia degli organi politici che del ceto dirigenziale.
E’ solo attraverso i documenti di programmazione che è possibile creare il c.d. “effetto cruscotto”, cioè un costante monitoraggio di come stanno procedendo le diverse attività in cui è idealmente scomponibile la gestione dell’ente, con la possibilità di adottare i correttivi necessari a seguito di scostamenti rispetto ai risultati attesi.
In sintesi, occorre liberarsi dalla sensazione – verosimile in passato – che i controlli abbiano finalità esclusivamente di tipo repressivo-sanzionatorio e prendere consapevolezza del ruolo di sistema-guida degli stessi.
La selezione dei componenti degli organi di controllo interno dovrà essere basata sulle doti di competenza tecnica dei soggetti prescelti, evitando di fondarsi su criteri di appartenenza politica. Senza un adeguato patrimonio di esperienza professionale, ben difficilmente i componenti degli organi in questione potranno assolvere adeguatamente all’importante compito affidato loro.
Infine, l’integrazione tra controlli interni ed esterni. Si è parlato, nel precedente paragrafo, del ruolo collaborativo dei controlli svolti dalla Corte dei Conti. Tale collaborazione deve condurre ad una sempre maggiore sintonia tra l’azione degli organi di controllo interno, degli organi politici e gestionali dell’ente e le sezioni regionali della Corte dei Conti.
Ciò rafforzerà il rapporto di ausiliarietà di quest’ultima nei confronti degli enti territoriali, in armonia con la previsione normativa di cui all’art. 7 della l. 131/’03 (c.d. legge La Loggia)  della possibilità di integrazione delle sezioni regionali di controllo con due componenti designati dalle stesse autonomie, regionali e locali.
Al consolidamento di tale rapporto, da ultimo, contribuisce l’attività consultiva che la Corte da tempo esercita a beneficio degli stessi enti locali. 
 
 
 
Dott. Giuliano Lentini                       
Funzionario amministrativo presso la Provincia di Taranto.
 
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*In memoria del dott. Antonio Pullara, già dirigente della Città di Torino.

Lentini Giuliano

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