I contributi sindacali: rassegna giurisprudenziale

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COME GESTIRE I LAVORATORI
DALLA CRISI AL FALLIMENTO

Maggioli Editore – Novità Gennaio 2013

 

 

  

 

 

Sommario: 1. Nozioni generali. – 2. Casistica giurisprudenziale.

 

1. Nozioni generali

I prestatori di lavoro hanno il diritto di raccogliere, ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 26 della legge n. 300 del 20 maggio 1970 (1)  contributi nonché di svolgere attività ed opera di proselitismo per le loro organizzazioni  sindacali, all’interno dei luoghi di lavoro, senza pregiudizio del normale svolgimento dell’attività aziendale.

Sulla questioni del versamento dei contributi sindacali a favore delle organizzazioni sindacali non firmatarie di ccnl si sono registrati alcuni orientamenti giurisprudenziali.

Con la sentenza n. 1968 del 3 febbraio 2004 la Cassazione aveva escluso che la cessione di credito potesse essere utilizzata per ottenere il versamento dei contributi sindacali. Un orientamento decisamente opposto è stato espresso dalla Sezione Lavoro nella sentenza n. 3917 del 26 febbraio 2004.

Con tale  decisione la Corte ha rigettato il ricorso proposto dalla Fiat Auto contro il Sincobas per ottenere la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Torino in data 17 novembre 2000, che aveva dichiarato antisindacale il comportamento dell’azienda consistito nel non dar corso alle richieste di 128 lavoratori aderenti al Sincobas di effettuare le trattenute delle quote sindacali sulle loro retribuzioni in base a cessioni di credito da loro effettuate in favore del sindacato.

Mentre la cessione del contratto, comportando la sostituzione della parte tenuta all’esecuzione del rapporto, richiede sempre il consenso della parte ceduta – ha affermato la Corte – questo consenso non è richiesto per la cessione di credito, perché il cedente aliena e trasferisce semplicemente una pretesa creditoria e, normalmente, per il debitore ceduto è indifferente eseguire la prestazione ad un nuovo avente diritto; d’altra parte la cessione può riguardare anche crediti futuri (2)

Con riguardo a tale problematica, successivamente, sia la Corte di Appello di Torino (3), sia il Tribunale Ordinario di Firenze (4) sia il Tribunale Ordinario di Velletri (5), sia il Tribunale Ordinario di Roma (T. Roma 16 novembre 2007; T. Roma sent. 23 giugno 2008; T. Roma decr. 05 maggio 2009), sia il Tribunale Ordinario di Torino (Tribunale Torino 17 dicembre 2005; Tribunale Torino, Dott.ssa Visaggi, 16 giugno-12 agosto 2006), che il Tribunale di Bologna, sezione fallimentare (Trib. Bologna sez. fall. decr. 29 aprile 2009) hanno concordemente affermato che il D.P.R. 180/1950, nella versione novellata non pone un generale divieto di cessione, consentendo, per tramite dell’articolo 52, ai lavoratori dipendenti di utilizzare lo strumento della cessione del credito per il versamento dei contributi sindacali (6).

L’interesse del sindacato a ricevere le quote sindacali non costituisce un interesse di mero fatto, ma è pur sempre legislativamente protetto, dal momento che il primo comma dell’art. 26 della legge n. 300 del 1970, sopravvissuto alla abrogazione referendaria, contempla il diritto dei lavoratori di raccogliere i contributi sul luogo di lavoro, con conseguente compressione del potere di organizzazione imprenditoriale.

Né può dirsi, come sembra affermare la ricorrente, che, in tal modo, siano posti a carico della società datrice di lavoro oneri non previsti e comunque insostenibili. Nel bilanciamento dei diversi interessi non è affatto illogico che prevalga quello del sindacato alla raccolta dei contributi ed al versamento diretto degli stessi.

 

 

2. Casistica giurisprudenziale

Il divieto di cessioni parziali di credito di natura retributiva da parte dei lavoratori subordinati pubblici e privati, di cui all’art. 5, DPR 5/1/50 n. 182 come novellato dalle leggi 30/12/04 n. 311 e 14/5/05 n. 80, non ha carattere generale, essendo limitato alla sola estinzione di prestiti contratti con soggetti diversi dagli istituti di credito indicati agli artt. 15 e 53 del TU, sicché sono consentite le cessioni parziali di crediti retributivi al datore di lavoro ai fini di contribuzione sindacale. Cass. civ., 7 marzo 2012, n. 3546, in Dir. Lav., 2012, 688 

 

Il rifiuto datoriale di eseguire i pagamenti al sindacato delle quote di retribuzione cedute dai lavoratori costituisce inadempimento che, oltre a rilevare sotto il profilo civilistico, si configura anche quale condotta antisindacale ex art. 28 SL, ledendo il diritto del sindacato di acquisire dagli aderenti i mezzi di finanziamento necessari allo svolgimento della propria attività. Tale inadempimento può, tuttavia, essere giustificato – con onere della prova a carico del datore di lavoro – nel caso in cui la cessione comporti, in concreto, un onere aggiuntivo insostenibile per l’azienda, nella specie non configurabile in relazione al solo numero elevato delle cessioni che è proporzionale alle dimensioni dell’organizzazione sindacale e in mancanza di prova del rifiuto del creditore lavoratore cedente a collaborare per un equo contemperamento di interessi. Cass., 7 marzo 2012, n. 3546, in Dir. Lav.,  2012, 688

 

Con sentenza del 17 febbraio 2012, n. 2314, la Corte di Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi sull’utilizzo della cessione del credito (art. 1260 cod. civ. e segg.) per la riscossione dei contributi sindacali. In linea con il consolidato orientamento maggioritario della giurisprudenza (ex multis,Cass. Sez. Un. n. 28269/2005), affermando la legittimità del ricorso all’istituto in argomento seppur nei limiti del quinto dello stipendio e della durata massima decennale (7).

A quanto consta, la Suprema Corte si è soffermata, per la prima volta, sul profilo dell’ammissibilità della cessione dei crediti retributivi per il pagamento dei contributi sindacali, a seguito dell’estensione della disciplina contenuta nel d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180, Testo Unico concernente il pignoramento, sequestro e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, anche all’impiego privato, dopo alcune modifiche legislative intervenute nel 2005 (art. 1, comma 137, Legge 31 dicembre 2004, n. 311, D.L. 14 marzo 2005, n. 35 convertito in Legge 14 maggio 2005, n. 80 e Legge 23 dicembre 2005, n. 266).

In particolare, la Corte in commento ha affermato il principio di diritto in base al quale “L’art. 52 del d.P.R. 5 gennaio 1950 n. 180, come modificato nel 2005, conferma la legittimità della riscossione delle quote associative sindacali dei lavoratori dipendenti, pubblici e, dopo le menzionate modifiche legislative, anche privati, mediante trattenuta del datore di lavoro, in quanto esclude che simili cessioni di credito dei lavoratori subiscano limitazioni al novero dei cessionari, anche considerando che una differente interpretazione sarebbe incoerente con la finalità legislativa antiusura posta a garanzia del lavoratore stesso che, altrimenti, subirebbe un’irragionevole restrizione della sua autonomia e libertà sindacale.”

Nell’esercizio dell’autonomia privata e attraverso lo strumento della cessione del credito, è legittima la trattenuta dei contributi sindacali e il datore di lavoro è tenuto ad adempiervi salvo che vi sia un’eccessiva gravosità della prestazione da valutare in rapporto all’organizzazione aziendale. Cass. civ., 20 aprile 2011, n. 9049

 

Il credito delle organizzazioni sindacali per omesso versamento dei contributi loro dovuti dal datore di lavoro in forza delle cd. deleghe sindacali va ammesso allo stato passivo in privilegio ex art. 2751-bis, n. 1, cod. civ., configurandosi in tali casi non già un’ipotesi di delegazione di pagamento ex art. 1268 cod. civ., bensì un’ipotesi di cessione (parziale) del credito (futuro) da retribuzione che trova la propria disciplina negli artt. 1260 ss. cod. civ.

La Sezione fallimentare del Tribunale di Bologna riconosce al credito insinuato nel fallimento dalle organizzazioni sindacali, per omesso versamento dei contributi loro dovuti dal datore di lavoro in forza di «delega sindacale», il privilegio che assiste, a norma dell’art. 2751-bis, n. 1, cod. civ., i crediti retributivi. Tribunale Bologna, Sez IV civ. e fall., n. 29 aprile 2009

 

La disposizione contrattuale che prevede l’impegno del datore di lavoro di effettuare la trattenuta dei contributi sindacali ai dipendenti che ne facciano richiesta ha natura obbligatoria e non normativa e costituisce comportamento antisindacale il rifiuto del datore di lavoro di effettuare, su richiesta del lavoratore, le trattenute sindacali previste dal contratto collettivo applicato in azienda, in favore di un sindacato non firmatario dello stesso. (Fattispecie relativa all’interpretazione dell’art. 6 del c.c.n.l. Industria Metalmeccanica Privata). Cass., 9 maggio 2002, n. 6656, in Riv. it. dir. lav., 2003, 14

 

Manuela Rinaldi   
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master e in corsi per aziende; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq

 

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(1)    Meglio noto Statuto dei lavoratori.

(2)    http://www.legge-e-giustizia.it/index.php?option=com_content&task=view&id=1438&Itemid=131

(3)    Corte di Appello di Torino sentenza n. 24-2009.

(4)    Tribunale Firenze, 08 giugno 2006.

(5)    Tribunale Velletri decreto 04 giugno 2009; decreto 20 ottobre 2009.

(6)    Per approfondire cfr. Caponera V., http://retelegaleroma.blogspot.it/2010/01/versamento-dei-contributi-sindacali.html

(7)    Cfr. http://www.trentarighe.com/sezioniFirst/detail.aspx?TRS_ID=1738000&ID=2858

Rinaldi Manuela

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