Gli Smart contracts nel d.l. 135/2018

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Gli smart contracts sono programmi software, basati sulla tecnologia dei «registri distribuiti» (c.d. distributed ledger technologies) la cui esecuzione vincola in maniera automatica le parti contraenti in base agli effetti determinati dal contratto stesso.
La definizione è contenuta nel d.l. 135/2018, art. 8 ter, comma 2:«si definisce smart contract un programma per elaboratore che opera su tecnologie basate su registri distribuiti e la cui esecuzione vincola automaticamente due o più parti sulla base di effetti predefiniti dalle stesse. Gli smart contract soddisfano il requisito della forma scritta previa identificazione informatica delle parti interessate, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale».
Vengono così impiegati per garantire l’esecuzione del negozio stesso in modo automatizzato, senza l’intervento umano; al verificarsi di una determinata condizione, presente nell’accordo, avverrà l’esecuzione.

Indice

1. La natura giuridica del negozio

Importante rilievo deve però essere dato alle divergenze dottrinali circa l’inquadramento della natura giuridica[1] del negozio, concluso tramite smart contract.
In particolare, si può rilevare come l’identificazione dei contraenti, fondato sul meccanismo della «pseudonimizzazione» tipico della blockchain, possa essere da ostacolo all’accertamento della capacità giuridica del soggetto parte del contratto (con conseguente possibile annullamento[2]); ancora, il principio della «buona fede» non coinciderebbe necessariamente con l’esecuzione letterale del negozio (valutazione qualitativa ex art. 1375 c.c.) compromettendo così il coordinamento con la normativa civilistica in ambito di inadempimento; nello specifico, riguardo anche all’interpretazione delle volontà delle parti non ravvisabile nell’adempimento automatico[3].
Infatti, oltre a parte della dottrina che afferma come la «trasposizione tout court» della fattispecie contrattuale classica a quella dello smart contract si possa definire come una soluzione «superficiale e generalista[4]» in quanto contraria al c.d. principio della «neutralità tecnologica» (in base alla quale il legislatore non deve interferire nello sviluppo di una specifica tecnologia per favorirla rispetto ad altre), le vere criticità vengono rilevate nelle eventuali sedi interpretative in merito ai principi non facilmente (se non assolutamente intraducibili) convertibili in linguaggio software, quali la buona fede, il principio di correttezza, la diligenza, l’inadempimento per giusta causa, la capacità giuridica delle parti e, in generale, le clausole c.d. «eccessivamente vaghe».
In realtà, per sfruttare il potenziale delle nuove tecnologie e, in particolare della blockchain e degli smart contract, sarebbe anche solo sufficiente la creazione di un sistema chiuso che mantenga la posizione «gerarchicamente superiore» della PA in modo da validare, in maniera costantemente certa ed affidabile, i dati presenti e le operazioni effettuate nel sistema stesso (si potrebbe, infatti, creare un sistema basato su «nodi validatori» ai quali viene attribuito un ruolo «gerarchicamente superiore», da attribuire alla PA in modo che si mantenga la posizione di supremazia dell’attività esecutiva[5]).

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2. Prospettive di applicazione nella pubblica amministrazione

La correlazione tra la trasparenza, la certezza e l’immodificabilità dei dati offerta dalla tecnologia blockchain, rende la diffusione dello smart contract rilevante sia in ambito dei rapporti privatistici e sia, potenzialmente in ambito dell’azione della PA.
Si può, quindi, prospettare un ruolo di questa tecnologia, basata sul principio c.d. if this than that (se si verifica questa condizione, allora fai questo), nel settore dell’amministrazione pubblica (con la premessa della loro previa regolamentazione volta a produrre effetti giuridici assimilabili alla figura del contratto tradizionale e, quindi, a definirli degli «smart legal contract[6]»), in quanto non sembrerebbe contrastare con la capacità di diritto privato delle PPAA (ex art. 1, comma 1-bis della legge n. 241/1990), a prescindere dalla natura tipica od atipica del negozio giuridico (l’art. 8-ter del d.l. n. 135/2018 prevede, anzi, la possibilità di utilizzare le tecnologie basate sui registri distribuiti). Tuttavia, una criticità a questo aspetto viene illustrata dal Parlamento europeo che rileva come gli smart contract essendo privi di «flessibilità e incapaci di adattarsi a circostanze mutevoli o alle preferenze delle parti[7]», siano incapaci di rispondere a tutte le possibili circostanze non previste che, quindi, richiederanno necessariamente un’interpretazione ulteriore sulla corretta modalità di applicazione del negozio giuridico; il codice, risulta infatti, semplicemente troppo rigido per consentire di determinare algoritmicamente tutti i contratti.
Ciononostante, l’utilizzo degli smart contract garantirebbe vantaggi in termini di garanzie procedimentali quali la trasparenza e la tracciabilità (in quanto basati sulla tecnologia blockchain) e le automazioni potrebbero essere impiegate in quelle fattispecie dove l’azione della PA è vincolata dalla legge o dove le procedure risultino determinate in modi e tempi non immediati (si consideri la clausola stand still ex art. 32, comma 9, d.lgs. n. 50/2016) affinché si stipuli automaticamente il contratto trascorso un prescritto arco temporale. Si potrebbe, infatti, come già accennato, creare un sistema basato su «nodi validatori» ai quali viene attribuito un ruolo «gerarchicamente superiore», da attribuire alla PA in modo che si mantenga la posizione di supremazia dell’attività esecutiva.
Quindi, se la logica degli  smart contract consiste nell’automazione come conseguenza del verificarsi di determinate clausole si potrebbe, nell’ambito delle funzioni il cui contenuto è completamente definito dalla legislazione, predisporre una serie di smart contract che determinino un risultato non appena avviene l’esistenza della fattispecie indicata dalla legge (un esempio può rinvenirsi nella segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), dove il privato allega la documentazione richiesta dall’istituto in maniera totalmente digitalizzata) e così, se ogni presupposto previsto dalla normativa risultasse conforme e presente, si produrrebbe automaticamente l’atto richiesto.

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  1. [1]

    Sotto l’aspetto documentale si può rilevare come lo smart contract può essere qualificato come una «firma elettronica avanzata» ex art. 20, comma 1 bis del d.lgs. 82/2005.

  2. [2]

    F. Faini, Blockchain e diritto: le catene del valore, tra documenti informatici, smart contracts e data protection in «Responsabilità civile e previdenza», n. 1, 2020, ISSN: 0391187X, p. 307.

  3. [3]

    M. Giuliano, La Blockchain e gli Smart contracts nell’innovazione del diritto del terzo millennio in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», n. 6, 2018, ISSN: 1593-5795, p. 1027.

  4. [4]

    S. Rigazio, Smart contracts e tecnologie basate su registri distribuiti nella l. 12/2019 in «Il diritto dell’informazione e dell’informatica», n. 2, 2021, ISSN: 1593-5795, pp. 384 ss.

  5. [5]

    F. Sarzana di S. Ippolito, M. Nicotra, Diritto della Blockchain, Intelligenza Artificiale e IoT, IPSOA, 2018, p. 144.

  6. [6]

    Classificazione proposta da R. Cavallo Perin, I. Alberti, Il diritto dell’amministrazione, Giappichelli, 2020, p. 316.

  7. [7]

    Parlamento europeo, Come la tecnologia blockchain può cambiarci la vita, 2017, p. 16.

Mattia Petrianni

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