Gli interventi promossi dall’Unione Europea sul mobbing

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SOMMARIO: -1. Cos’è il mobbing? -2. Alcuni dati sul fenomeno mobbing nei Paesi Europei. -3. Unione Europea e mobbing: la nuova Carta Sociale Europea e la Risoluzione del 2001.
1. Cos’è il mobbing?
Il mobbing, nel mondo del lavoro, non è un fenomeno nuovo, ma solo la sua denominazione è recente. Sino ad una decina di anni fa il significato del termine mobbing era sconosciuto; i primi studi vennero fatte da H. Leymann agli inizi degli anni ’80, il quale considerò il mobbing come “azioni che hanno la funzione di manipolare la persona in senso non amichevole”[1]. Tali azioni si possono distinguere in cinque gruppi di comportamenti, che Leymann definì LIPT. Un primo gruppo di azioni riguarda la comunicazione con la persona da mobbizzare (gli si rifiuta il contatto con gesti, con sguardi scostanti o con allusioni indirette, con lui/lei si urla, si rimprovera, si critica continuamente il suo lavoro o la vita privata, ecc…); un secondo gruppo (riguarda) le relazioni sociali (non gli si parla più, non gli si rivolge la parola, si proibisce ai colleghi di parlare con lui, ci si comporta come se lui non esistesse, ecc…); un terzo gruppo (riguarda) l’immagine sociale (lo si ridicolizza, si sparla alle sue spalle, si spargono voci infondate su di lui, si prende in giro un suo handicap fisico, gli si fanno offerte sessuali, verbali e non, ecc…); un quarto gruppo (riguarda) la qualità della situazione professionale e privata (gli si danno più compiti da svolgere, gli si danno lavori senza senso, gli si danno lavori umilianti, ecc…) ed, infine, un quinto gruppo (riguarda) la salute (lo si costringe a fare lavori che nuocciono alla sua salute, lo si minaccia di violenza fisica, gli si causano danni per svantaggiarlo, ecc…). Poi, la conoscenza del fenomeno mobbing si diffuse in tutta Europa.
Per mobbing intendiamo qualsiasi forma di terrorismo psicologico, esercitato nell’ambiente di lavoro in modo ripetuto, da chi, nella maggior parte dei casi, detiene il potere decisionale capace di incidere nella sfera giuridica altrui. Quindi, il mobbing, si caratterizza attraverso vari comportamenti che presi isolatamente esistono da sempre (ad esempio: l’attivazione di una forte politica di repressione al punto che il dipendente è affiancato dai sorveglianti che devono controllare i minuti di pausa per il ristoro o i bisogni fisiologici; il confinamento in un edificio dello stabilimento in disuso e privo di sicurezza; le molestie sessuali; le continue minacce di licenziamento in caso di rifiuto a lavorare nei giorni festivi; i subdoli ricatti di non trasformare il contratto di formazione e lavoro in contratto a tempo indeterminato se il lavoratore non avesse acconsentito a svolgere le “mansioni più disparate”; le immotivate censure sul lavoro prodotto dal dipendente; i maltrattamenti verbali del superiore gerarchico davanti ai colleghi di lavoro; ecc…)[2], ma la loro ripetizione quotidiana li fa diventare mobbing e ciò colpisce gravemente la persona, la quale ha delle ripercussioni importanti sulla sua salute, fisica o psicologica. Infatti, secondo studi di sociologi e psicologi, il mobbing può provocare in un primo momento sintomi di stress: nervosismo, irritabilità, ansietà, perdita del sonno, ecc… Dopo qualche mese, questi sintomi si trasformano in problemi psichici fino a portare al suicidio.
Dunque, il mobbing è un fenomeno di non secondaria importanza e non deve essere, a mio avviso, sottovalutato.
 
 
2. Alcuni dati sul fenomeno mobbing nei Paesi Europei.
Il Rapporto ILO del 1998[3] sulle violenze nei luoghi di lavoro ha stabilito che in Europa l’8,1% dei lavoratori è vittima di violenze psicologiche di ogni tipo in ambito lavorativo; il che, tradotto in percentuale, equivale a ben 12 milioni di persone. In particolare, le persone vittime di mobbing in Gran Bretagna sono il 16,3%; in Svezia il 10,2%; in Francia il 9,9%; in Irlanda il 9,4%; in Germania il 7,3%; in Spagna il 5,5%; in Belgio il 4,8%; in Grecia il 4,7%; in Italia il 4,2%; ecc… Dal 1998 ad oggi, il trend di crescita del fenomeno mobbing  nei luoghi di lavoro non è cambiato; infatti, il terzo rapporto europeo sulle condizioni di lavoro[4], compiuto su 21.500 lavoratori appartenenti ai 15 Stati membri dell’Unione Europea, nella primavera del 2000, stima che il 2% (3 milioni) dei lavoratori sono stati molestati sessualmente e il 6% (9 milioni) sono stati oggetto di violenza fisica nei luoghi di lavoro negli ultimi 12 mesi.
Interessante risulta, a mio avviso, mettere a confronto le caratteristiche del mobbing in alcuni Paesi Europei[5], vale a dire in Italia, in Germania, in Francia e in Danimarca.
In Italia, una ricerca effettuata dall’Istituto superiore per la prevenzione e la sicurezza del lavoro, nel giugno 2000, riferisce che il 71% delle denunce riguarderebbe i dipendenti del pubblico impiego. Nel 62% dei casi, si tratterebbe di persone con più di 50 anni; l’81% sarebbe, poi, composto da quadri e impiegati. Da un’altra analisi risulterebbe che ad esercitare il mobbing sarebbero per il 57,3%  i superiori e per il 30,3% i colleghi.
Secondo una statistica del 1999, in Germania, il 65% dei casi di mobbing provengono dall’impiego medio (segretaria, venditore/commesso, impiegato commerciale, ecc…); il 30% da impieghi di livello più alto ed il 5% da settori più bassi (operaio, personale delle pulizie, ecc…). La tipologia più diffusa è quella dal “basso verso l’alto” per il 75% e, poi, segue per il 30% quella tra pari.
In Francia, invece, vengono colpiti tutti i settori, anche se i campi più interessati al fenomeno sono il terziario, la Sanità e la Scuola. A seguito dell’inchiesta fatta da M.F. Hirigoyen, il mobbing viene esercitato sul lavoratore dai superiori o da colleghi.
Infine, dai risultati di studi danesi risulta che gli operai e gli impiegati di livello medio-basso vengono vessati dai loro superiori e, allo stesso tempo, dai colleghi.
 
3. Unione Europea e mobbing: la nuova Carta Sociale Europea e la Risoluzione del 2001.
A causa della diffusione sempre più crescente del fenomeno, i Paesi dell’Unione Europea hanno iniziato ad affrontarlo, negli ultimi anni, con due importanti iniziative.
Innanzitutto, il 3 marzo 1996, nove Stati membri del Consiglio d’Europa hanno firmato a Strasburgo la nuova versione della Carta Sociale Europea[6]. L’obiettivo della Carta Sociale revisitata  è quello di riprendere i diritti già figuranti nella precedente Carta (come il diritto a condizioni di lavoro equo[7], il diritto alla sicurezza e all’igiene nel lavoro[8], il diritto alla protezione alla salute[9], ecc…) ed instaurarne nuovi, ad esempio, il diritto alla dignità al lavoro. Tale diritto è disciplinato dall’art.26, il quale afferma che “allo scopo di assicurare l’esercizio effettivo del diritto di ogni lavoratore alla protezione della loro dignità al lavoro, le Parti si impegnano, in consultazione con le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori: 1. a promuovere la sensibilizzazione, l’informazione e la prevenzione in materia di assillo sessuale sul luogo di lavoro o in relazione con il lavoro, ed a prendere ogni misura appropriata per proteggere i lavoratori contro tali comportamenti;
2. a promuovere la sensibilizzazione, l’informazione e la prevenzione in materia di atti condannabili o esplicitamente ostili ed offensivi diretti in modo ripetuti contro ogni lavoratore sul luogo di lavoro o in relazione con il lavoro, e a prendere ogni misura appropriata per proteggere i lavoratori contro tali comportamenti. Il paragrafo 2 non copre l’assillo sessuale”.
Con l’introduzione di questo nuovo diritto, vale a dire il diritto alla dignità al lavoro, si suole migliorare la protezione dei diritti sociali dei lavoratori dei 20 Paesi europei.
In secondo luogo, il Parlamento Europeo ha approvato il 20 settembre 2001 la Risoluzione[10]  “mobbing sul posto di lavoro”. Il documento, dopo aver richiamato l’attenzione sul fatto che il continuo aumento dei contratti a termine e della precarietà del lavoro, in particolare tra le donne, crea condizioni propizie alla pratica di varie forme di molestia e sugli effetti devastanti del mobbing sulla salute fisica e psichica delle vittime, nonché delle loro famiglie, in quanto essi impongono spesso il ricorso ad un trattamento medico e psicoterapeutico e conducono generalmente ad un congedo per malattia o alle dimissioni, esorta gli Stati membri a rivedere e/o a completare la propria legislazione sotto il profilo della lotta contro il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, a verificare e ad uniformare la definizione della fattispecie “mobbing” ed, infine, ad elaborare, con l’ausilio delle parti sociali, idonee strategie di lotta contro il mobbing e la violenza sul posto di lavoro. In tale contesto, raccomanda la messa a punto di un’informazione e di una formazione dei lavoratori dipendenti, del personale di inquadramento, delle parti sociali e dei medici del lavoro, sia nel settore privato che pubblico; e per questo motivo ricorda la possibilità di nominare sul luogo di lavoro una persona di fiducia alla quale i lavoratori possono eventualmente rivolgersi. Il documento invita, inoltre, la Commissione a presentare, entro marzo 2002, un Libro verde recante un’analisi approfondita della situazione relativa al mobbing in Italia e in ogni Stato membro e, poi, entro ottobre 2002 un “programma d’azione” contenente le misure comunitarie contro il mobbing. Infine, la Commissione viene esortata ad esaminare la possibilità di applicare la direttiva quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro o ad elaborare una nuova direttiva quadro, come strumento giuridico per combattere il fenomeno delle molestie, nonché come meccanismo di difesa del rispetto della dignità  della persona del lavoratore, della sua intimità e del suo onore.
Note:

[1] H. Leymann, Atiologie und Haufigkeit von Mobbing am Arbeisplatz. Eine Ubersicht uber die bisherige Forschung, in Zeitschrift fur Personalforschung, 1993, p.271-272.
[2] Questi comportamenti si riferiscono sia a fatti realmente accaduti di cui l’autore dello scritto è a conoscenza per aver collaborato alla ricerca promossa dalla Filca-Cisl Nazionale sul distretto dell’imbottito Bari-Matera “per conoscere ed analizzare il fenomeno mobbing, purtroppo presente in alcune aziende”, v.: R. Staiano, Il mobbing: un fenomeno emergente nel rapporto di lavoro, in AA.VV., Ricerca Filca-Cisl Nazionale del distretto Bari-Matera. Una ricerca, una proposta, Bari, 2001 e sia a casi riportati sui principali periodici e quotidiani italiani, come ad esempio: L’Espresso del 25 febbraio 1999; Corriere della Sera del 21 gennaio 2000, Panorama del 27 gennaio 2000 e La Stampa del 20 ottobre 2000; più di recente Il Mattino del 22 aprile 2002.
[3] I dati forniti dal Rapporto ILO del 1998 “La violence sur le lieu de travail – un problem mondial” è consultabile sul sito internet: www.ilo.org
[4] Terzo rapporto europeo sulle condizioni di lavoro dei lavoratori europei nell’Unione Europea elaborato dalla Fondazione Europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di Dubblino è disponibile sul sito internet: www.eurofound.ie
[5] Per approfondire le differenze di diffusione del mobbing nei vari Paesi di studio (Italia, Germania, Francia e Danimarca), v.: Relazione di F. Cochi, Il mobbing negli altri Paesi Europei, in Atti del Corso di Formazione sul Mobbing, promossa dal Centro Studi di Firenze, 16-17-18 aprile 2002.
[6] La Carta Sociale Europea è stata firmata a Torino il 18 ottobre 1961 dai membri del Consiglio d’Europa. E’ stata modificata con protocolli addizionali del 5 marzo 1988, del 21 ottobre 1991 e del 9 novembre 1991.
[7] Art. 2 della Carta Sociale Europea del 1961.
[8] Art. 3 della Carta Sociale Europea del 1961.
[9] Art. 11 della Carta Sociale Europea del 1961.
[10] La Risoluzione del Parlamento Europeo 2001/2339 (INI) è disponibile in questo sito internet, sezione Paesi europei e non europei, voce Unione Europea.

Staiano Rocchina

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