Fra liceità e legalità

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Poche questioni riguardanti la società umana sono state poste tanto insistentemente e sono state risolte da pensatori seri in modi tanto diversi, strani e perfino paradossali come la questione – Che cos’ è il diritto?”

( Herbert L. A. Hart – Il concetto di diritto)

 

Nel distinguere fra liceità e legalità riconosciamo la difficoltà che sussiste nel sovrapporre i due termini in una società sempre più fluida nel delimitare culturalmente l’identità del gruppo ( Appadurai).

Ogni cultura è fornita di una propria razionalità interna che ne determina una intima coerenza, la quale permette di dirigere e valutare i comportamenti di coloro che vi appartengono sia in termini etici che normativi. A riguardo Summer parla di etnocentrismo per cui la propria cultura interiorizzata con i suoi valori ritenuti “fatti di natura”, è termine di misurazione per le culture altrui.

La cultura è dalla moderna antropologia concepita come (Wright)

  • Entità circoscritta con caratteristiche definite;

  • In equilibrio che si autoriproduce;

  • Che poggia su un sistema sottostante di significati condivisi;

  • Con la possibilità della interscambiabilità degli individui;

tuttavia questo non garantisce una uniformità culturale in una entità collettiva, infatti potrebbero esistere gruppi senza ben definiti tratti culturali, come dall’altro vi è la possibilità di istituire differenze valoriali anche dove vi è una sostanziale uniformità, ne deriva in tutte queste ipotesi il carattere “ideologico” dell’appartenenza al gruppo in quanto risultato non di oggettive differenze culturali ma di volute selezioni per costruire unità o separazione (Nadel), inclusione o esclusione.

Si è giunti a parlare di “invenzione delle tradizioni” (Hobsbawm – Ranger), di una rilettura del passato con gli occhi moderni per legittimare il presente (Handler) e creare identità diasporiche che evadano dalla ormai ristretta gabbia dello stato nazionale moderno.

Il problema culturale è alla base del concetto di liceità, risulta l’elemento etico che permette agli occhi del gruppo l’azione e la rende lecita se non desiderabile. Il differenziarsi fra l’elemento culturale e l’aspetto giuridico-formale imposto da una parte della leadership alla comunità, prepara la produzione giuridica dell’illegalità, fa sì che vi sia un incolmabile spazio fra liceità ed illegalità.

La frattura corre all’interno della comunità in quanto, come sopra evidenziato, non sempre omogenea culturalmente, anzi molte volte suddivisa in gruppi valoriali differenti i quali con la “deterritorializzazione” esistente non sono più determinabili sul territorio, ma restano collegati fra loro nelle dimensioni sociali e culturali proprie della globalizzazione, nel quale l’aggregazione “liquida” (Bauman) scioglie parte dei “vincoli istituzionali”.

Come ricorda Castells la produzione e diffusione di codici culturali di informazione attraverso le reti di comunicazione sono lo strumento per trasformare interessi e valori in norme, il potere risiede nel controllare la trasmissione di tali codici, d’altronde il diritto e la stessa comunità statale non sono altro che il prodotto tecnologico dell’alfabetizzazione e delle crescenti possibilità di comunicazione.

Nella “deterritorializzazione” favorita dai mezzi di comunicazione si ha come conseguenza anche una insostenibile frammentazione della fruizione normativa, circostanza che favorisce potentati economici i quali agiscono in termini extraterritoriali attraverso Stati considerati “poco più che aree di polizia territorialmente delimitate che garantiscono la sicurezza di permanenza e di viaggio dei poteri extraterritoriali” (Bauman), questo non toglie tuttavia la possibilità per lo Stato di svolgere un proprio importante ruolo nell’organizzazione produttiva mediante una autonoma politica commerciale strategica.

Ne deriva che i due termini vengono a divaricarsi con sempre maggiore forza al crescere della complessità culturale, si che l’aspetto giuridico espressione e parte di una cultura con crescente energia viene imposto in termini unificanti quale uno dei minimi comuni denominatori dell’operare economico e sociale tra culture, questo tuttavia di per sé non è sufficiente senza un’azione sulla “politicizzazione”culturale (Wright) e sull’affermarsi di politiche di identità (Eriksen) su cui deve intervenire una permeabilizzazione dei confini.

Koopmans e Statham nel caso estremo di culture derivanti da flussi migratori definiscono tre tipologie di modelli di integrazione: assimilazionismo etnoculturale; assimilazionismo civico; pluralismo civico. Tuttavia ciascuna di queste varianti presentano elementi di contrasto e di disaggregazione, come il rischio di favorire culture chiuse, vincolanti e alternative ai principi giuridici sostenuti dalle Istituzioni con adattamenti individualistici su personalità carismatiche.

Il contrasto tra liceità dell’agire e sua legalità può in tal modo diventare massimo e inconciliabile, come del resto già sperimentato in Italia nell’ottocento con la sua riunificazione elitaria e la conseguente guerra civile nata nel mezzogiorno e con il tempo trasformatasi in brigantaggio, con società segrete la cui linfa nasceva dal disconoscimento delle Istituzioni statali imposte in termini camaleontici.

In tutta la storia unitaria la presenza di un potere forte autolegittimatosi è stato il momento di riforme imposte in termini di necessità, ma che hanno successivamente subito il degrado operativo della tensione nascente tra culture opposte, d’altronde le esigenze di una cultura dell’efficienza può entrare in un potenziale conflitto con il principio della legalità, sì da essere quest’ultimo identificato non come una regolarità comportamentale garantista, ma come un mero vincolo di scopo all’attività economica e a quella pubblica ad essa indirizzata, il raggiungimento del risultato diventa esso stesso parametro di legalità.

 

 

Sabetta Sergio

 

Bibliografia

  • D. Appadurani, Maturità in polvere, Molteni 2001;

  • E. Hobsbawem e T. Ranger, L’invenzione della tradizione, Einaudi 1987;

  • A. Rivera, La guerra dei simboli, Dedalo 2005;

  • C. Taylor, Multiculturalismo. La politica del riconoscimento, Anabasi 1993;

  • A. Schiavone, Italiani senza Italia. Storia e identità, Einaudi 1998;

  • M. Castells, la nascita della società in rete, Bocconi Ed., 2002;

  • A. Touraine, La globalizzazione e la fine del sociale: per comprendere il mondo contemporaneo, Il Saggiatore, 2008;

  • Z. Baumann, Modernità e globalizzazione, Edizioni dell’Asino, 2009.

Dott. Sabetta Sergio Benedetto

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