Firma digitale e trasferimento di quote di società a responsabilità limitata

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Nota sul titolo[1]
 
 
Il Decreto Legge 112/2008, convertito, con modificazioni, in legge n. 133 del 6 agosto 2008, ha introdotto importanti novità in tema di trasferimento di partecipazioni in società a responsabilità limitata. In particolare, ci si riferisce all’articolo 36, comma 1-bis che così recita:
 
 «1- bis. L’atto di trasferimento di cui al secondo comma dell’articolo 2470 del codice civile puo` essere sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici, ed e` depositato, entro trenta giorni, presso l’ufficio del registro delle imprese nella cui circoscrizione e` stabilita la sede sociale, a cura di un intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2-quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340. In tale caso, l’iscrizione del trasferimento nel libro dei soci ha luogo, su richiesta dell’alienante e dell’acquirente, dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito, rilasciato dall’intermediario che vi ha provveduto ai sensi del presente comma. Resta salva la disciplina tributaria applicabile agli atti di cui al presente comma.»
 
Si ricorda che il comma II dell’articolo 2470 c.c. prevede quale unica modalità di trasferimento delle quote di s.r.l. la sottoscrizione di un atto autentico da depositarsi, a cura del notaio autenticante, presso il registro delle imprese nella cui circoscrizione sia stabilità la sede della Società. L’iscrizione del trasferimento nel libro soci dovrà poi avvenire su richiesta dell’alienante o dell’acquirente, dietro esibizione del titolo da cui risultino il trasferimento e l’avvenuto deposito.
Come è noto, la disciplina di cui sopra è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 12 agosto 1993, n. 310 (c.d. Legge Mancino), mirante a sottoporre ad adeguato monitoraggio gli impieghi di capitale realizzati con strumenti in grado di rappresentare veicoli per l’utilizzo di denaro di dubbia provenienza. Il provvedimento, dunque, si iscriveva nel contesto delle misure tendenti a prevenire e reprimere ogni possibile forma di utilizzazione strumentale dei circuiti finanziari ed economici per finalità illecite[2]
Con particolare riferimento alla materia di cui trattasi, il legislatore aveva operato aggiungendo un ulteriore comma all’allora articolo 2479 c.c. (oggi, art. 2470 c.c.) con cui si introduceva la necessità dell’autentica notarile ai fini della opponibilità dell’atto di trasferimento ai terzi e alla Società, giacchè, senza la prescritta forma, non avrebbe potuto effettuarsi il deposito presso il registro delle imprese e, conseguentemente, non sarebbe stato possibile richiedere la relativa annotazione nel libro soci[3]. Peraltro, come all’epoca sottolineato[4], poiché la norma non prevedeva (e non prevede) l’autenticazione della sola firma autografa del cedente o del cessionario, questa avrebbe dovuto riguardare tutte le sottoscrizioni contenute nell’atto.
 Cosa cambia con la recente novella legislativa? Ictu oculi, il Legislatore ha inteso far venir meno la necessità dell’autentica notarile laddove l’atto di trasferimento sia sottoscritto con firma digitale[5]. Questo sarà, poi, trasmesso all’ufficio del registro delle imprese a cura di un soggetto che risulti iscritto negli negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti[6]. Lo stesso, infine, rilascerà l’attestazione che consentirà all’alienante o all’acquirente di far annotare il trasferimento nel libro soci.
Non si è, dunque, inteso riformare in toto il procedimento di cui all’articolo 2470 c.c., ma si è introdotto un doppio binario in forza del quale l’uso della tecnologia digitale giustificherebbe di per sé il venir meno della garanzia di legalità rappresentata dall’autentica notarile. Non si discute la possibilità per il Legislatore di rivedere il sistema delle garanzie civilistiche connesse al trasferimento delle quote di s.r.l.: ciò che sorprende è che queste risultino ridotte solo allorquando si faccia uso del documento informatico e della firma digitale (che, mi sia consentito, ne necessiterebbero di maggiori), creando così una inaccettabile disparità di trattamento e mettendo fortemente a rischio la validità e l’attendibilità dei pubblici registri[7].
La norma risulta altresì criticabile sotto ulteriori profili, in primo luogo quello della tecnica di redazione. L’espressione “sottoscritto con firma digitale, nel rispetto della normativa anche regolamentare concernente la sottoscrizione dei documenti informatici” appare pleonastica: sarebbe stato sufficiente limitarsi al “sottoscritto con firma digitale”, giacchè è il Codice dell’Amministrazione Digitale che, nel disciplinare il documento informatico, rimanda espressamente al rispetto delle regole tecniche per la produzione di qualsivoglia effetto giuridico.
In secondo luogo il legislatore, nella logica del doppio binario, finisce per attribuire alla sottoscrizione digitale una valore superiore al corrispondente autografo, giacchè mentre la sottoscrizione in calce al contratto di cessione continuerà a necessitare dell’autentica notarile, ciò non sarà più richiesto laddove al medesimo contratto siano associate le firme digitali dell’alienante e dell’acquirente. In quest’ultimo caso, giova ribadirlo, il ruolo assegnato all’intermediario abilitato alla trasmissione al registro delle imprese sarà quello del “mero postino”[8], non essendo egli tenuto a verificare che la firme siano state apposte in sua presenza dai rispetti titolari del dispositivo di firma, previo accertamento della loro identità personale, della validità del certificato elettronico utilizzato e del fatto che il documento sottoscritto non sia in contrasto con l’ordinamento giuridico.
Mutatis Mutandis, possono riproporsi, con riferimento alla materia societaria, le stesse perplessità relative all’efficacia probatoria del documento informatico sottoscritto digitalmente espresse dal Consiglio di Stato nel parere[9] reso sull’allora schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive e integrative al Codice dell’Amministrazione Digitale.
In quella sede il Consiglio di Stato aveva avuto modo di far notare come, con riferimento alla firma digitale (o altro tipo di firma elettronica qualificata), ci fosse una discrasia tra quanto previsto dalla direttiva 1999/93/CE e quanto era stato poi normato nell’ordinamento nazionale al fine di dare attuazione alla suddetta direttiva.
Partendo dalla considerazione che nell’ordinamento italiano, la firma elettronica avanzata, descritta nella direttiva comunitaria, coincide, sul piano tecnico e giuridico, col sistema di firma digitale descritto nel Codice, il Consiglio di Stato aveva rilevato come la norma comunitaria imponesse agli Stati membri, quanto agli effetti probatori, esclusivamente di equiparare alla sottoscrizione autografa una firma elettronica avanzata, basata su un certificato qualificato e generata con un dispositivo sicuro e non, dunque, di attribuire ad essa, addirittura, un’efficacia probatoria maggiore.
Si legge nel parere di cui sopra: “le norme del decreto legislativo (che sono soprattutto norme di recepimento, nella specifica materia, delle disposizioni comunitarie) non sembrano recepire correttamente il diritto comunitario nel diritto interno e, soprattutto, sembrano alterare il sistema delle prove nel processo civile… In altri termini, come dalla sottoscrizione autografa si ricava la presunzione di legge, sino a prova contraria, del consenso del firmatario sul contenuto del documento, così dalla sottoscrizione del documento informatico, mediante la firma digitale, l’ordinamento dovrebbe trarre le medesime presunzioni legali, identificando nell’autore della firma digitale, l’autore del documento informatico a cui attribuire gli effetti dell’atto”.
“…In conclusione, il documento informatico, munito di firma digitale, sembra porsi, per effetto dell’inversione dell’onere della prova in tema di disconoscimento, come una sorta di tertium genus tra la scrittura privata e l’atto pubblico, avendo in giudizio la stessa efficacia probatoria di una scrittura privata munita di una sottoscrizione legalmente riconosciuta, ed essendo, in realtà, in nulla diverso da una scrittura privata munita di sottoscrizione non autenticata”
Se, come affermato dal Consiglio di Stato, il documento informatico firmato digitalmente deve costituire la semplice evoluzione tecnologica del corrispondente cartaceo, la novella legislativa risulta di difficile inquadramento sistematico.
Delle due l’una: o si è inteso rivedere verso il basso (reputandolo, evidentemente, eccessivo) il sistema di garanzie concernente il trasferimento delle quote societarie, o, al contrario, si è ritenuto che l’utilizzo della firma digitale sia di per sé idoneo al raggiungimento delle medesime finalità.
Nel primo caso chi scrive rinnova le proprie perplessità per una “deregulation” a metà, che lascia in vita il passato, creando un doppio binario con regole differenti per la medesima operazione.
Nel secondo caso, il Legislatore sarebbe incorso in un grossolano errore, “confondendo il dettato dell’articolo 24 CAD con la particolare previsione di cui al successivo articolo 25[10] dello stesso CAD”[11]
In ogni caso la soluzione adottata non convince in pieno. Essa potrebbe comportare ripercussioni negative sull’affidabilità del registro delle imprese e sul rispetto degli adempimenti in materia di antiriciclaggio, i cui danni sarebbero in grado di superare di gran lunga i risparmi per il cittadino ipotizzati dall’Esecutivo[12] e posti alla base dell’adozione della norma.
 
di Marco Scialdone
Computerlaw 2.0 – Informatica e Diritto
 


[1]Quest’opera è stata rilasciata sotto la licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo 2.5 Italia. Per leggere una copia della licenza visita il sito web http://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.5/it/ o spedisci una lettera a Creative Commons, 171 Second Street, Suite 300, San Francisco, California, 94105, USA.
[2]Cfr. Napolitano, Il trasferimento di quote di srl, in Corriere Tributario, 1994, circ. n.1
[3]A tal proposito si ricorda la circolare del Consiglio Nazionale del Notariato n. 5943 del 21/08/1993, in cui si precisava che la forma prevista costituiva un onere a carico delle parti assimilabile a quello previsto dalla normativa codicistica per la modifica di patti di società personali regolari.
[4]Cfr. Mottura, in Il fisco, 1993, pag. 8381
[5]Come recita l’articolo 1, lett. s) del Codice dell’Amministrazione Digitale (D.lgs 82/2005 e s.m.i.), per firma digitale deve intendersi: un particolare tipo di firma elettronica qualificata basata su un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e una privata, correlate tra loro, che consente al titolare tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica, rispettivamente di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici”.
[6] Si tratta per l’appunto dell’intermediario abilitato ai sensi dell’articolo 31, comma 2- quater, della legge 24 novembre 2000, n. 340, cui fa riferimento la norma
[7]Sul punto cfr. Maccarone, I “postini” e la certezza del sistema, in Interlex, n. 377 del 2 luglio 2008, disponibile al seguente indirizzo http://www.interlex.it/docdigit/maccaro13.htm (sito consultato il 20 agosto 2008)
[8]Maccarone, op. cit.
[9]Il parere può essere visionato al seguente indirizzo http://www.giurdanella.it/7296 (sito consultato il 21 agosto 2008)
[10] La norma, rubricata “Firma autenticata” prevede che si abbia per riconosciuta, ex articolo 2703 c.c., la firma digitale o altro tipo di firma elettronica qualificata autenticata dal notaio o altro pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
[11]Maccarone, op. cit.
[12]Il Ministro dell’Economia e delle Finanza, Giulio Tremonti, ha ipotizzato un risparmio parti a 300 milioni di Euro. La cifra è stata oggetto di contestazione da parte del Consiglio Nazionale del Notariato, secondo il quale il risparmio potrà essere al massimo di 50 milioni di Euro. http://www.notariato.it/Notariato/StaticFiles/Stampa/Sole19-07-08.pdf

Scialdone Marco

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