Finanziamenti del socio e tutela del terzo creditore

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Non di rado le società di persone o di capitale a ristretta base societaria si ritrovano ad esercitare l’attività economica con un capitale sociale inadeguato al conseguimento dell’oggetto sociale generando in tal modo una condizione di sottocapitalizzazione societaria. Soffermandoci su quest’ultimo aspetto è possibile distinguere due forme di sottocapitalizzazione: quella nominale e quella materiale. La sottocapitalizzazione nominale, fenomeno alquanto esteso nelle società medio-piccole, ha luogo quando la società si dota di risorse necessarie all’esercizio dell’impresa non ricorrendo al capitale di rischio mediante l’apporto di mezzi propri, ma con la ricezione di prestiti da parte dei soci. La seconda forma, invece, si ravvisa allorquando il fabbisogno finanziario di una società, dotata di un capitale del tutto sproporzionato rispetto all’oggetto sociale, non è garantito neanche facendo ricorso a finanziamenti dei soci.

Si ricorre ai versamenti dei soci come strumento di capitalizzazione della società per svariati motivi, come ad esempio per evitare la farraginosa operazione di aumento del capitale sociale o anche per mutare una remunerazione incerta nell’an, rappresentata dagli utili, in una remunerazione certa costituita dagli interessi sul capitale.

Le modalità con cui possono avvenire i finanziamenti da parte dei soci nei confronti della società sono essenzialmente 2:

– finanziamento inteso come vero e proprio prestito fruttifero o non di interessi;

– versamenti in conto capitale.

Finanziamenti a titolo di prestito

Si è in presenza, invece, di un finanziamento inteso come vero e proprio prestito fruttifero o non di interessi quando il socio, comportandosi come qualsiasi terzo, concede alla società un puro prestito da rimborsare.

In questo caso non si tratta più di capitale di rischio, ma di un regolare credito del socio verso la società che può anche essere produttivo di interessi. All’atto della concessione delle somme è necessario, inoltre, stabilire il termine di restituzione che può essere a scadenza fissa o con scadenza rinnovabile.

Dalla lettura dell’art.1815 del cod. civ., il quale dispone che «salvo diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante», si è orientati a presumere l’onerosità dei capitali dati a mutuo, presunzione non assoluta ma relativa, ammettendo dunque la prova contraria. Quindi, affinché tali finanziamenti siano qualificati come non fruttiferi di interessi, è fondamentale la stipula di un accordo scritto fra socio e società, come un atto pubblico o una scrittura privata, da cui si evinca la gratuità del prestito.

Ai sensi del combinato disposto degli artt. 1815 e 1284 del cod. civ., salvo diverso accordo fra le parti, gli interessi risultano dovuti dal mutuatario nella misura legale, oppure in misura superiore previo accordo in forma scritta; qualora, invece, gli interessi convenuti tra le parti siano considerati usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi.

Tali finanziamenti trovano allocazione nel passivo dello stato patrimoniale (alla voce D3-debiti verso soci per finanziamenti), non è richiesta alcuna delibera assembleare e non è necessario che i prestiti siano proporzionali alle quote.

Sul punto:”Capitale sociale: definizione e differenze tra i diversi tipi societari”

I versamenti in conto capitale

È doveroso, inoltre, scindere il finanziamento in senso proprio dai c.d. versamenti in conto capitale dato che, per la dottrina maggioritaria, i versamenti in questione comportano l’attribuzione definitiva al patrimonio dell’oggetto del versamento, la sua soggezione alle regole organizzative della società e la conseguente assenza dell’obbligo di restituzione.

Nonostante tale preclusione, la società potrebbe deliberare in favore dei soci la restituzione delle somme erogate tramite distribuzione delle riserve disponibili da eseguire obbligatoriamente in proporzione alle quote di capitale sottostante, anche se i finanziamenti sono stati eseguiti in maniera differente.

L’elemento discriminante che vale a qualificare le erogazioni dei soci a favore della società come finanziamenti è dunque quello dell’individuabilità del diritto dei soci alla restituzione di tali erogazioni.

Si considerano versamenti in conto capitale gli apporti eseguiti dai soci spontaneamente non rispettando i modi indicati nel codice civile per l’esecuzione dei conferimenti in sede di costituzione della società per azioni o di aumento del capitale sociale; i predetti versamenti vengono iscritti in bilancio tra le varie voci del patrimonio netto (alla voce “altre riserve” – “versamenti in conto capitale”).

I versamenti in conto capitale presentano caratteristiche simili con i versamenti a fondo perduto; tuttavia quest’ultimi vengono impiegati per ripianare le perdite e la loro attribuzione alla società è definitiva, infatti, non vi è più alcun collegamento della corrispondente posta con i soci che li hanno conferiti. Queste 2 tipologie di versamenti possono avere ad oggetto non solo una somma di denaro, ma anche un bene in natura o un credito, sia verso terzi sia verso la società stessa.

Gli aspetti che contraddistinguono i versamenti in conto capitale sono in definitiva:

–        L’infruttuosità (si preclude la possibilità di ricevere la somma aumentata degli interessi);

–        L’assenza dell’obbligo di rimborso del versamento effettuato;

–        Spontaneità dei versamenti da parte soci (data la non obbligatorietà il socio decide liberamente se effettuare tali versamenti);

–        La mancanza del vincolo di proporzione (in caso di restituzione non si considera l’importo versato dal socio, ma si terrà conto esclusivamente della quota di capitale detenuta dal singolo socio).

Il versamento senza obbligo di restituzione può non avere una specifica finalità ed in questo caso si parla di versamenti in conto capitale o a fondo perduto, oppure può essere caratterizzato da un vincolo di destinazione ed in tal caso si parlerà di versamenti in conto futuro aumenti di capitale, se saranno utili alla sottoscrizione di un prossimo aumento di capitale, o versamenti a copertura delle perdite nel caso in cui in bilancio si palesino delle perdite d’esercizio da colmare.

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Il principio di postergazione dei rimborsi

L’introduzione dell’articolo 2467 del cod. civ. ha influito sensibilmente sui modi e tempi di restituzione dei finanziamenti dei soci ed ha rappresentato la risposta del legislatore al fenomeno della c.d. sottocapitalizzazione nominale.

Difatti, la riforma del diritto societario (D.Lgs. n. 6/2003) ha voluto disciplinare una pratica frequente e poco prudente, ossia, quella dei soci di finanziare la società senza imputare l’apporto al capitale di rischio e pregiudicando potenzialmente i diritti dei creditori. Nonostante questa procedura non sia vietata, il legislatore ha inteso salvaguardare il terzo creditore nei confronti di società sottocapitalizzate che eludevano i vincoli di rimborso del capitale sociale sfruttando in maniera artificiosa il finanziamento soci.

La postergazione, ritenuta uno dei metodi più efficienti ed accreditati per ovviare a quest’anomalia, si avvale del più mite regime in materia di prestiti rispetto a quello dedicato ai conferimenti in capitale. L’istituto della postergazione dispone che il rimborso di tali finanziamenti deve essere postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente l’eventuale dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito. Inoltre, affinché il rimborso dei finanziamenti dei soci possa essere “bistrattato” rispetto ai creditori è fondamentale che si verifichi almeno uno dei seguenti eventi:

–        che si sia in presenza di uno squilibrio eccessivo tra indebitamento e patrimonio netto;

–        oppure, che la società si trovi in una situazione finanziaria tale che un conferimento possa rappresentare un ragionevole compromesso.

Se la società volesse trasferire le somme versate come finanziamento nel capitale sociale, tale operazione è possibile solo previa rinuncia al credito vantato dai soci in virtù del diritto di restituzione; di conseguenza sarà costituita una riserva di capitale che potrà essere impiegata per ripianare le perdite o per futuri aumenti di capitale.

 

 

 

Dott. Tortorelli Luigi

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