La fase di esecuzione nel rito del silenzio: gli atti del commissario ad acta

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Con la sentenza n. 8, del 25 maggio 2021, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato ha stabilito che, a seguito della nomina o dell’insediamento del commissario ad acta ai sensi dell’art. 117, co. 3, c.p.a., l’amministrazione rimasta inerte sull’istanza originaria conserva il proprio potere di provvedere, in concorrenza con il potere attribuito dal giudice amministrativo al commissario ad acta, e fino a quando quest’ultimo non abbia provveduto.

Indice

1. Il quadro normativo di riferimento in materia di silenzio inadempimento

L’art. 2, co. 1, della L. 241/1990 stabilisce che ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un’istanza o debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha l’obbligo di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
La norma in questione prevede il cd. obbligo di provvedere della pubblica amministrazione, che si declina tanto nell’obbligo di avviare il procedimento, quanto nell’obbligo di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
Laddove la pubblica amministrazione, a fronte dell’istanza del privato, rimanga inerte e non adempia il suddetto onere, e fuori dei casi in cui la mera inerzia della P.A. viene equiparata ad un provvedimento tacito di accoglimento o di rigetto (silenzio assenso e silenzio diniego), si forma il cd. silenzio – inadempimento (una volta denominato anche silenzio – rifiuto).
Dinanzi tale comportamento omissivo della P.A., sprovvisto di alcun significato giuridicamente rilevante, l’ordinamento consente al privato di adire il giudice amministrativo mediante l’azione avverso il silenzio, ex artt. 31 e 117 c.p.a., in forza della quale potrà ottenere una sentenza che condanni la pubblica amministrazione a provvedere sull’istanza originaria.
L’art. 31, co. 3, c.p.a., inoltre, afferma che il giudice amministrativo è legittimato a conoscere della fondatezza della pretesa laddove l’attività amministrativa che avrebbe condotto all’adozione del provvedimento sia vincolata, o qualora sia stato esaurito il potere discrezionale della P.A. e non siano necessari ulteriori adempimenti istruttori o tecnico – discrezionali.
In tale ultima ipotesi, il giudice può, dunque, condannare la P.A. all’adozione di un provvedimento determinato e, ove occorra e purché sia stata presentata istanza ad opera della parte interessata, può nominare, con sentenza che definisce il giudizio o successivamente, un commissario ad acta.

2. Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale

All’indomani dell’entrata in vigore del codice del processo amministrativo, sorsero, a tal proposito, problemi circa la definizione dei rapporti intercorrenti tra l’attività del commissario ad acta e quella della pubblica amministrazione.
In particolare, ci si chiedeva se, a seguito della nomina o dell’insediamento del commissario ad acta, l’amministrazione conservasse il potere di provvedere e, quindi, potesse comunque adottare l’eventuale provvedimento finale sull’originaria istanza del privato.
Al riguardo, dottrina e giurisprudenza negli anni elaborarono diverse soluzioni.
Un primo orientamento riteneva che la pubblica amministrazione, a seguito della nomina del commissario ad acta da parte del giudice della cognizione, decadesse dal potere di provvedere sull’istanza originaria del privato.
Un secondo orientamento collegava la perdita del potere di provvedere della P.A. non all’atto di nomina, bensì al momento dell’effettivo “insediamento” del commissario ad acta nell’organizzazione amministrativa, ossia dal momento della sua investitura commissariale.
A valle degli orientamenti suesposti, ci si interrogava, poi, circa la natura giuridica dell’atto eventualmente adottato dalla pubblica amministrazione a seguito della nomina (prima tesi) o dell’insediamento (seconda tesi) del commissario ad acta. A tal proposito, si distinguevano tre filoni di pensiero: chi optava per la nullità degli stessi per carenza di potere, altri per la loro inefficacia e, da ultimo, chi sosteneva l’annullabilità degli stessi per violazione del paradigma normativo.
Un terzo orientamento, invece, riteneva che la pubblica amministrazione, anche a seguito della nomina o dell’investitura del commissario ad acta, conservasse il suo potere amministrativo di provvedere sull’istanza originaria del privato.
Pertanto, la competenza commissariale concorrerebbe con quella dell’amministrazione, che continuerebbe a detenere i poteri che le sono attribuiti dalla legge.

3. L’ordinanza di rimessione della Sez. IV del Consiglio di Stato

A fronte del quadro appena delineato, con l’ordinanza del 10 novembre 2020, n. 6925, il Consiglio di Stato, Sez. IV, ha rimesso la questione all’Adunanza Plenaria, chiedendo di chiarire:
a)   se la nomina o l’insediamento del commissario ad acta, determini o meno la perdita del potere di provvedere in capo alla pubblica amministrazione e, in caso di esito positivo, quale sia la sorte degli atti successivi eventualmente adottati dall’amministrazione stessa;
b)  laddove, invece, si ritenga che l’amministrazione conservi la titolarità dei suoi poteri concorrendo con la competenza commissariale all’adozione del provvedimento finale, quale sia il regime giuridico degli atti tardivamente adottati dalla p.a. a seguito dell’esercizio del potere commissariale, e viceversa.

4. Commissario ad acta: la decisione dell’Adunanza Plenaria

L’Adunanza Plenaria, con sentenza del 25 maggio 2021, n. 8, ha ritenuto che l’amministrazione conservi il proprio potere di provvedere sull’istanza originaria anche a seguito della nomina o dell’investitura del commissario ad acta e fino a quando quest’ultimo non abbia provveduto.
Tale soluzione viene argomentata richiamando la natura giuridica del potere di cui è titolare il commissario ad acta. Quest’ultimo, in quanto ausiliario del giudice (e non un organo straordinario della P.A.), ritrae i propri poteri dall’atto di nomina, e questi ultimi sono esercitabili nei limiti e secondo i contenuti stabiliti dalla sentenza di condanna del giudice amministrativo all’adozione di quel provvedimento.
Il potere del commissario ad acta, pertanto, è un potere distinto da quello dell’amministrazione, in particolare, di natura giurisdizionale e non autoritativa.
Per tali motivi, l’amministrazione conserva il suo potere di provvedere, in concorrenza con quello commissariale. L’una e l’altro potranno esercitare i rispettivi poteri fintanto che uno dei due non abbia eventualmente provveduto.
Ne consegue che, i provvedimenti tardivi eventualmente adottati dalla P.A. o dal commissario ad acta dopo l’esercizio del potere, rispettivamente, giurisdizionale o amministrativo, dell’uno e dell’altra, saranno considerati inefficaci e, ove necessario, la loro rimozione potrà essere richiesta, a seconda dei casi, al giudice del silenzio (ex art. 117, co. 4) o al giudice dell’ottemperanza.

5. L’esercizio del potere di autotutela decisoria

Da ultimo, l’Adunanza Plenaria ha chiarito che, dal momento che il potere esercitato dal commissario ad acta è un potere di natura giurisdizionale sprovvisto della connotazione autoritativa propria del potere della pubblica amministrazione, quest’ultima non potrà eventualmente agire in autotutela, rimuovendo o annullando d’ufficio l’atto del commissario.
Il potere di autotutela decisoria è esercitabile soltanto per rimuovere un precedente provvedimento emanato dalla pubblica amministrazione stessa. In questo caso, verrebbe meno il requisito primario per l’esercizio di tale potere, ossia che il provvedimento di primo grado sia ad essa riconducibile.
La P.A. potrà, pertanto, rivolgersi, a seconda dei casi, al giudice del silenzio o al giudice dell’ottemperanza.

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Anastasia Tamburrini

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