Esiste un diverso regime normativo per quanto concerne il divieto di contemporanea partecipazione del Consorzio e delle consoriziate (ancorché non indicate quali future esecutrici dell’appalto) prima e dopo il secondo decreto correttivo al codice dei con

Lazzini Sonia 31/07/08
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Ai fini della completa ricostruzione del quadro normativo della questione (ed, in ultima analisi, di delimitazione del thema decidendum), occorre anche osservare che, con riferimento all’ipotesi dei consorzi stabili, le difficoltà interpretative cui si è dinanzi fatto cenno risultano superate a seguito dell’emanazione del c.d. ‘secondo decreto correttivo’ al d.lgs. 163 del 2006._ In particolare, mette conto richiamare il comma 1 dell’art. 2, d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113, la cui lettera i), nel riformulare per intero il testo del comma 7 dell’art. 37, del d.lgs. 163 del 2006., ha risolto de futuro i richiamati dubbi interpretativi._Ed infatti, la modifica normativa intervenuta nel 2007, eliminando espressamente nel testo dell’art. 37,comma 7, cit., il riferimento alla figura dei consorzi stabili (di cui al precedente art. 34, comma 1, lettera c)), ha sortito l’effetto di fissare in modo effettivamente generale il divieto di contemporanea partecipazione alla gara del consorzio stabile e di qualunque impresa consorziata, indipendentemente dal se quest’ultima fosse stata o meno indicata come esecutrice dell’appalto._     L’ulteriore conseguenza delle innovazioni normative intervenute nel corso del 2007 è nel senso che la questione che il Collegio è chiamato a risolvere mantiene rilevanza unicamente de praeterito (ossia, in relazione alle fattispecie realizzatesi in epoca anteriore alla novella legislativa), mentre per le ipotesi future è evidente la scelta di politica normativa volta a fissare in misura assoluta il divieto di doppia partecipazione di cui al comma 5 dell’art. 36, cit._ l’esame sistematico della questione palesi come maggiormente presuasiva la tesi secondo cui, nel periodo precedente all’entrata in vigore del d.lgs. 113 del 2007, il divieto di partecipazione alla medesima gara in capo al consorzio stabile ed alla singola consorziata non trovasse applicazione nelle ipotesi in cui la consorziata non fosse stata indicata quale esecutrice dell’appalto._ Concludendo sul punto, si ritiene che non appaia condivisibile un’opzione interpretativa la quale interpreti il combinato operare delle due disposizioni più volte richiamate nel senso di vietare a priori la partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata non indicataria, muovendo da un argomento logico-sistematico basato sul divieto di cui all’art. 34,comma 2 del ‘Codice’, laddove tale preclusione risulti fondata non già sulla dimostrazione in concreto circa la sussistenza di un unico centro decisionale, bensì su una sorta di sillogismo categorico la cui premessa minore è rappresentata dall’ordinaria sussistenza di una siffatta unicità nei rapporti fra il consorzio stabile e le proprie consorziate
 
 
Merita di essere segnalato il seguente passaggio tratto dalla decisione numero 2910 del 12 giugno 2008, inviata per la pubblicazione in data 17 giugno 2008, emessa dal Consiglio di Stato
 
 
< 2. La vicenda nel cui ambito è maturato il ricorso in epigrafe ripropone la questione dell’apparente antinomia fra due previsioni dettate dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109 e ss.mm.ii. e successivamente trasfuse, senza modifiche di rilievo, nel ‘Codice dei contratti’ del 2006.
 
     La prima delle disposizioni in questione è il comma 5 dell’art. 36, d.lgs. 163, cit. la quale, reiterando sostanzialmente la formulazione di cui al comma 5 dell’art. 12, l. 109, cit., stabilisce che “è vietata la partecipazione alla medesima procedura di affidamento del consorzio stabile e dei consorziati”. Per l’ipotesi di violazione del divieto in questione, la disposizione in parola prevede, poi, l’applicazione dell’art. 353 cod. pen., in tema di turbata libertà degli incanti.
 
     La seconda delle disposizioni in questione è il comma 7 dell’art. 37 del d.lgs. 163, cit. (si tratta di una previsione assente nell’originaria formulazione della ‘legge Merloni’ ed il cui testo era stato introdotto al comma 4 dell’art. 13 di tale legge ad opera del comma 23 dell’art. 9, l. 18 novembre 1998, n. 415). La disposizione in parola, al secondo periodo, stabilisce che “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettere b) [si tratta dei consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, nonché dei consorzi fra imprese artigiane,] e c) [si tratta dei consorzi stabili, quale l’odierno ricorrente, ] sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara; in caso di violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio sia il consorziato”.
 
     E’ noto che, con particolare riguardo alla questione – che qui rileva – della partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e di un’impresa consorziata (in specie, laddove non indicata dal consorzio come esecutrice dei lavori per l’ipotesi di aggiudicazione in proprio favore), il rapporto fra le due norme testé richiamate abbia dato luogo, nel corso degli anni a difformi interpretazioni.
 
     In particolare, si può affermare che il loro combinato operare si presti ad una duplice opzione interpretativa:
 
in base ad una prima opzione (sostenuta, ai fini che qui rilevano, tanto dall’Amministrazione aggiudicatrice, quanto dal T.A.R.), il divieto di cui all’art. 37, comma 7, cit. rappresenterebbe null’altro, se non una specificazione del divieto già posto, in termini generali, dal precedente art. 36, comma 5, con la conseguenza che fra le disposizioni in parola non sussisterebbe alcuna antinomia.
      In base a tale opzione interpretativa, sarebbe in ogni caso vietata la partecipazione alla medesima gara del consorzio e di una sua consorziata, a nulla rilevando la circostanza per cui la singola consorziata sia stata indicata quale esecutrice dell’appalto (ipotesi puntualmente contemplata dall’art. 37, comma 7, cit.), oppure no;
 
in base ad una seconda opzione interpretativa, il divieto di cui all’art. 37, comma 7 recherebbe una valenza derogatoria rispetto a quanto previsto dal precedente art. 36, comma 5 (ovvero, secondo una diversa opzione interpretativa, la prima delle menzionate disposizioni avrebbe sortito un implicito effetto abrogativo nei confronti della seconda). Conseguentemente, la portata puntuale dell’art. 37, comma 7 deporrebbe nel senso che il divieto di contemporanea partecipazione non risulterebbe operativo nel caso in cui alla medesima gara intendano partecipare il consorzio ed un’impresa consorziata non indicata in sede di offerta quale esecutrice dell’appalto di cui si discute.
     Ai fini della completa ricostruzione del quadro normativo della questione (ed, in ultima analisi, di delimitazione del thema decidendum), occorre anche osservare che, con riferimento all’ipotesi dei consorzi stabili, le difficoltà interpretative cui si è dinanzi fatto cenno risultano superate a seguito dell’emanazione del c.d. ‘secondo decreto correttivo’ al d.lgs. 163 del 2006.
 
     In particolare, mette conto richiamare il comma 1 dell’art. 2, d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113, la cui lettera i), nel riformulare per intero il testo del comma 7 dell’art. 37, cit., ha risolto de futuro i richiamati dubbi interpretativi.
 
     Ed infatti, la modifica normativa intervenuta nel 2007, eliminando espressamente nel testo dell’art. 37,comma 7, cit., il riferimento alla figura dei consorzi stabili (di cui al precedente art. 34, comma 1, lettera c)), ha sortito l’effetto di fissare in modo effettivamente generale il divieto di contemporanea partecipazione alla gara del consorzio stabile e di qualunque impresa consorziata, indipendentemente dal se quest’ultima fosse stata o meno indicata come esecutrice dell’appalto.
 
     L’ulteriore conseguenza delle innovazioni normative intervenute nel corso del 2007 è nel senso che la questione che il Collegio è chiamato a risolvere mantiene rilevanza unicamente de praeterito (ossia, in relazione alle fattispecie realizzatesi in epoca anteriore alla novella legislativa), mentre per le ipotesi future è evidente la scelta di politica normativa volta a fissare in misura assoluta il divieto di doppia partecipazione di cui al comma 5 dell’art. 36, cit.>
 
 
Ma vi è di più
 
< Nonostante quanto sin qui esposto, è tuttavia avviso del Collegio che l’esame sistematico della questione palesi come maggiormente presuasiva la diversa tesi secondo cui, nel periodo precedente all’entrata in vigore del d.lgs. 113 del 2007, il divieto di partecipazione alla medesima gara in capo al consorzio stabile ed alla singola consorziata non trovasse applicazione nelle ipotesi in cui la consorziata non fosse stata indicata quale esecutrice dell’appalto.
 
     In primo luogo (ed in relazione al primo dei richiamati argomenti che militerebbero in favore della tesi opposta), si osserva come non appaia persuasiva l’interpretazione secondo cui fra l’art. 36, comma 5 e l’art. 37, comma 7 ricorrerebbe un rapporto di genus ad speciem (nel senso che la prima di tali disposizioni fisserebbe un divieto di portata generale mentre la seconda si limiterebbe a specificarne la portata).
 
     Al contrario, appare innegabile che la lettura del comma 7 dell’art. 37 ne palesi il carattere inequivocabilmente derogatorio rispetto alla previsione dell’art. 36, co. 5, limitando expressis verbis il divieto di partecipazione alle sole consorziate per le quali il consorzio stabile concorre (i.e.: quelle indicate come esecutrici dell’appalto, in caso di aggiudicazione), con la conseguenza di ammettere – a contrario – la partecipazione a gara delle consorziate per cui il consorzio stabile non concorre.
 
     In definitiva, anche conducendo l’indagine ermeneutica in base al solo criterio dell’interpretazione lessicale (primo comma dell’art. 12 disp. prel.), si individuano concreti argomenti atti a deporre nel senso che il rapporto sistematico fra l’art. 36, comma 5 e l’art. 37, comma 7 non sia di genus ad speciem, bensì regola ad eccezione.
 
     In secondo luogo (ed in relazione al secondo dei richiamati argomenti a contrario addotti) si osserva come non appaia persuasivo l’approccio (per altro, seguito dal giudice di prime cure) secondo cui l’interpretazione più restrittiva del combinato disposto degli artt. 36 e 37 rappresenterebbe null’altro, se non un corollario del principio di salvaguardia della par condicio fra i partecipanti a gara (un principio da ultimo riaffermato, con valenza prescrittiva, attraverso l’innovativa ed espressa previsione di cui al secondo periodo del comma 2 dell’art. 34 del ‘Codice’ – “le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi” -).
 
     Al riguardo, si osserva in primo luogo che in senso contrario rispetto all’approccio in questione possono essere addotti ulteriori e diversi principi (del pari aventi valenza generale), quali il principio di matrice comunitaria del favor participationis.
 
     In particolare, si ritiene che il ricorso al principio in questione possa informare l’attività dell’interprete non solo nei casi in cui le disposizioni di portata potenzialmente equivoca siano contenute nella lex specialis (sul punto, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, sent. 4 novembre 2004, n. 7140), ma anche nelle ipotesi in cui siano le stesse disposizioni di legge a porre l’interprete dinanzi ad opzioni ermeneutiche che consentano in misura maggiore o minore la partecipazione a gara.
 
     E’ ben vero che l’applicazione del principio in questione deve essere coniugata con il concomitante principio di par condicio competitiva per tutti i partecipanti alla procedura (esigenza, questa, enfatizzata dalla decisione appellata), di guisa tale che l’espansione del primo non conduca ad una vanificazione dell’effet utile del secondo.
 
     E’ altresì vero, tuttavia, che l’opzione ermeneutica che qui si intende escludere conduce ad una compressione del principio del favor participationis più incisiva rispetto a quanto strettamente necessario ai fini della salvaguardia del principio di par condicio.
 
     Inoltre, l’adesione alla medesima opzione produce l’effetto (indifferenziato e quindi inammissibile nell’ottica del generale principio di proporzionalità, valevole anche nella materia de quā) di determinare in ogni caso l’esclusione dalla gara tanto del consorzio stabile quanto della consorziata, anche laddove alcun elemento in concreto induca nel senso della sussistenza di un unico centro decisionale.
 
     In tal modo, risulta altresì violato il principio di tassatività delle ipotesi di esclusione dalle pubbliche gare, fatte salve le ipotesi in cui ciò risulti organicamente funzionale alla salvaguardia di concomitanti principi generali valevoli nel medesimo settore di attività e posti a presidio di interessi di rango almeno equivalente.
 
     Ciò, a tacere della gravità delle conseguenze connesse alla violazione del divieto di cui all’art. 36, comma 5 cit., il quale comporta a carico dei contravventori l’applicazione delle previsioni di cui all’art. 353, cod. pen.
 
     Anche sotto tale profilo, quindi, l’opera dell’interprete deve muoversi con particolare cautela, escludendo in via tendenziale opzioni ermeneutiche le quali comportino a carico degli operatori economici conseguenze di particolare gravità, pur in assenza di motivi obiettivamente persuasivi idonei a giustificarle sotto il profilo sistematico.
 
     Riconducendo i principi testé enunciati alla questione oggetto della presente indagine, si osserva che l’indifferenziato ed automatico divieto di partecipazione a gara tanto a carico del consorzio stabile, quanto a carico della consorziata non indicataria potrebbe rinvenire una giustificazione sistematica (in relazione all’esigenza di salvaguardare la genuinità ed autonomia delle manifestazioni decisionali) solo laddove un’indagine in concreto dimostri che il rapporto fra i relativi organi decisionali conduca ad individuare un unico centro decisionale.
 
     Si ritiene, tuttavia, che la mera partecipazione dell’impresa ad un determinato consorzio stabile non fornisca elementi univoci in tal senso, tali da fondare la vera e propria praesumptio juris et de jure al riguardo delineata dal giudice di prime cure.
 
     A conclusioni ben diverse, come è evidente, potrebbe giungersi laddove risulti dimostrata in concreto la sussistenza di un rapporto di controllo, ovvero nelle ipotesi in cui risulti che nel consiglio direttivo del consorzio siano presenti amministratori o rappresentanti legali dell’impresa consorziata – non indicataria – la quale ha formulato autonoma domanda di partecipazione alla gara (in tal senso: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 15 febbraio 2002, n. 949).
 
     Concludendo sul punto, si ritiene che non appaia condivisibile un’opzione interpretativa la quale interpreti il combinato operare delle due disposizioni più volte richiamate nel senso di vietare a priori la partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata non indicataria, muovendo da un argomento logico-sistematico basato sul divieto di cui all’art. 34,comma 2 del ‘Codice’, laddove tale preclusione risulti fondata non già sulla dimostrazione in concreto circa la sussistenza di un unico centro decisionale, bensì su una sorta di sillogismo categorico la cui premessa minore è rappresentata dall’ordinaria sussistenza di una siffatta unicità nei rapporti fra il consorzio stabile e le proprie consorziate.>
 
A cura di *************
 
 
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.2910/08
Reg.Dec.
N. 5507 Reg.Ric.
ANNO   2007
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 5507 del 2007 proposto:
– dal consorzio ALFA Servizi Integrati, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avv. ************** ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, Viale Bruno Buozzi, 51
c o n t r o
CAP Gestione S.p.A., in persona del legale rappresentante, p.t., rappresentata e difesa dagli avvocati ***************** e **************** ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, Viale Giulio Cesare, 14/A;
per l’annullamento, previa sospensiva
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – Milano, Prima Sezione, n. 4973 dell’11 giugno 2007, con cui è stato respinto il ricorso proposto dal consorzio ALFA Servizi Integrati avverso il provvedimento di esclusione dalla procedura aperta per l’appalto del servizio di pulizia dei locali della sede aziendale e delle sedi decentrate della CAP Gestione S.p.A.
     visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
     visto l’atto di costituzione in giudizio della parte appellata;
     viste le memorie delle parti  a sostegno delle rispettive difese;
     visti gli atti tutti della causa;
     alla pubblica udienza del 26 febbraio 2008, relatore il Consigliere ****************, udito l’************** in delega dell’Avv. Cardi, per il Consorzio Appellante, nonché l’Avv. ******* per la società appellata;
     ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
FATTO
     Il consorzio appellante riferisce di aver inviato domanda di partecipazione alla procedura aperta indetta dalla società CAP Gestione (deputata alla gestione del servizio idrico intergrato per gli A.T.O. di Milano provincia, Lodi e Pavia) per l’affidamento del servizio di pulizia dei locali della sede aziendale e delle sedi decentrate per la durata di ventiquattro mesi.
     In tale occasione l’odierno appellante (che si configura quale consorzio stabile ai sensi della lettera c) dell’art. 34, d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) partecipava a gara designando quale affidataria del servizio, per l’ipotesi di aggiudicazione, la consorziata ALFABIS Pulimento s.r.l.
     Risulta agli atti che con nota in data 21 febbraio 2007 l’Amministrazione aggiudicatrice disponeva l’esclusione dalla gara del consorzio ravvisando nella specie “violazione dell’art. 36, quinto comma, del Codice Appalti in quanto vi è stata partecipazione alla medesima procedura di affidamento sia di Codesto Consorzio sia della consorziata BETA Global Service s.r.l.”.
     Nell’occasione, l’Amministrazione aggiudicatrice sottolineava altresì che l’inosservanza della prescrizione asseritamente violata comportasse l’automatica applicazione delle previsioni di cui all’art. 353 cod. pen. (si tratta del reato di turbata libertà degli incanti).
     Con nota in data 28 febbraio 2007, il consorzio appellante contestava estesamente i motivi della disposta esclusione rappresentando che la vicenda dovesse essere definita in base al combinato disposto di cui al comma 5 dell’art. 36 e di cui al comma 7 dell’art. 37, d.lgs. 163, cit., e non già sulla base della sola previsione di cui alla prima delle norme in questione.
     Nell’occasione il consorzio ALFA affermava che, se solo l’Amministrazione aggiudicatrice avesse correttamente valutato il combinato operare delle due richiamate disposizioni, avrebbe certamente omesso di adottare l’avversato provvedimento di esclusione.
     Con atto in data 15 marzo 2007 (impugnato con il ricorso in primo grado) la società CAP Gestione disattendeva le deduzioni dell’odierno appellante e disponeva in via definitiva l’esclusione dalla gara sia del consorzio appellante, sia della consorziata BETA Global Service s.r.l..
     Nella specie, l’Amministrazione aggiudicatrice fondava la sua determinazione sulla circostanza secondo cui le due norme dinanzi richiamate non presentassero alcuna antinomia sistematica (tale da necessitare una lettura in chiave sistematica) poiché, semplicemente, il  comma 5 dell’art. 36, cit. fisserebbe un divieto di portata generale che il successivo comma 7 dell’art. 37 si limiterebbe a specificare (senza con ciò alterarne la valenza prescrittiva).
     Il provvedimento di esclusione testé richiamato veniva impugnato dinanzi al T.A.R. per la Lombardia dall’odierno appellante, che ne chiedeva l’annullamento.
     Con la sentenza oggetto dell’odierno gravame, il Tribunale Amministrativo Regionale respingeva il ricorso ritenendo che la contestuale partecipazione alla gara da parte del consorzio e di una delle consorziate (pur se non indicata dal consorzio quale esecutrice in caso di aggiudicazione) incorresse in concreto nel divieto di cui agli artt. 36 e 37 del ‘Codice dei contratti’ e concretasse, altresì, una forma di collegamento sostanziale fra le imprese partecipanti a gara, vietato in via generale dall’art. 34 del medesimo codice.
     La sentenza in questione veniva gravata dal consorzio ALFA, il quale ne chiedeva la riforma proponendo un unico, articolato motivo.
     Si costituiva in giudizio la società CAP Gestione la quale concludeva nel senso della declaratoria di inammissibilità , nel merito, per la reiezione del gravame.
     Con ordinanza n. 4321 del 2007 (resa all’esito della Camera di consiglio del 28 agosto 2007), questa Sezione respingeva l’istanza di sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata.
     Nell’occasione, la reiezione della tutela cautelare veniva fondata sul rilievo secondo cui “non esiste il presupposto del periculum nelle more della definizione del giudizio di merito, costituente la sede appropriata per la definizione della quaestio juris relativa al coordinamento tra il disposto dell’art. 36, comma 5, ed il dettato dell’art. 37, comma 7, del codice dei contratti pubblici”.
     Entrambe le parti illustravano e precisavano le proprie deduzioni difensive.
     All’udienza pubblica del 26 febbraio 2008, le parti costituite  rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
      1. Viene all’esame del Collegio la decisione in ordine alla pronuncia del T.A.R. Lombardia con cui è stato respinto il ricorso del consorzio odierno appellante avverso il provvedimento dell’Amministrazione aggiudicatrice la quale lo ha escluso da una gara di appalto di servizi ritenendo che nella specie fosse stato violato il divieto di cui all’art. 36 del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
      In particolare, l’Amministrazione aggiudicatrice (con decisione sostanzialmente confermata in parte quā dal T.A.R.) ha ritenuto che la previsione di cui all’art. 36, d.lgs., cit. comporti in ogni caso l’esclusione dalla gara del consorzio stabile e della consorziata i quali abbiano formulato domanda di partecipazione alla medesima procedura, a nulla rilevando la circostanza per cui la consorziata di cui si discute non fosse stata indicata quale esecutrice dell’appalto per l’ipotesi di aggiudicazione.
      Al riguardo, il Giudice di prime cure ha rafforzato il convincimento in questione osservando che, laddove si consentisse la contemporanea partecipazione ad una pubblica gara di un consorzio stabile e di una sua consorziata (rappresentata o meno dal consorzio), si violerebbero le generali prescrizioni dettate dal ‘Codice dei contratti’ del 2006 in tema di divieto di partecipazione congiunta di imprese fra le quali intercorra un rapporto di collegamento sostanziale, con conseguente violazione del principio, parimenti di portata generale, volto ad assicurare la par condicio participationis fra i vari soggetti interessati all’aggiudicazione dell’appalto.
     2. La vicenda nel cui ambito è maturato il ricorso in epigrafe ripropone la questione dell’apparente antinomia fra due previsioni dettate dalla legge 11 febbraio 1994, n. 109 e ss.mm.ii. e successivamente trasfuse, senza modifiche di rilievo, nel ‘Codice dei contratti’ del 2006.
     La prima delle disposizioni in questione è il comma 5 dell’art. 36, d.lgs. 163, cit. la quale, reiterando sostanzialmente la formulazione di cui al comma 5 dell’art. 12, l. 109, cit., stabilisce che “è vietata la partecipazione alla medesima procedura di affidamento del consorzio stabile e dei consorziati”. Per l’ipotesi di violazione del divieto in questione, la disposizione in parola prevede, poi, l’applicazione dell’art. 353 cod. pen., in tema di turbata libertà degli incanti.
     La seconda delle disposizioni in questione è il comma 7 dell’art. 37 del d.lgs. 163, cit. (si tratta di una previsione assente nell’originaria formulazione della ‘legge Merloni’ ed il cui testo era stato introdotto al comma 4 dell’art. 13 di tale legge ad opera del comma 23 dell’art. 9, l. 18 novembre 1998, n. 415). La disposizione in parola, al secondo periodo, stabilisce che “i consorzi di cui all’articolo 34, comma 1, lettere b) [si tratta dei consorzi fra società cooperative di produzione e lavoro, nonché dei consorzi fra imprese artigiane,] e c) [si tratta dei consorzi stabili, quale l’odierno ricorrente, ] sono tenuti ad indicare, in sede di offerta, per quali consorziati il consorzio concorre; a questi ultimi è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara; in caso di violazione sono esclusi dalla gara sia il consorzio sia il consorziato”.
     E’ noto che, con particolare riguardo alla questione – che qui rileva – della partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e di un’impresa consorziata (in specie, laddove non indicata dal consorzio come esecutrice dei lavori per l’ipotesi di aggiudicazione in proprio favore), il rapporto fra le due norme testé richiamate abbia dato luogo, nel corso degli anni a difformi interpretazioni.
     In particolare, si può affermare che il loro combinato operare si presti ad una duplice opzione interpretativa:
  • in base ad una prima opzione (sostenuta, ai fini che qui rilevano, tanto dall’Amministrazione aggiudicatrice, quanto dal T.A.R.), il divieto di cui all’art. 37, comma 7, cit. rappresenterebbe null’altro, se non una specificazione del divieto già posto, in termini generali, dal precedente art. 36, comma 5, con la conseguenza che fra le disposizioni in parola non sussisterebbe alcuna antinomia.
      In base a tale opzione interpretativa, sarebbe in ogni caso vietata la partecipazione alla medesima gara del consorzio e di una sua consorziata, a nulla rilevando la circostanza per cui la singola consorziata sia stata indicata quale esecutrice dell’appalto (ipotesi puntualmente contemplata dall’art. 37, comma 7, cit.), oppure no;
  • in base ad una seconda opzione interpretativa, il divieto di cui all’art. 37, comma 7 recherebbe una valenza derogatoria rispetto a quanto previsto dal precedente art. 36, comma 5 (ovvero, secondo una diversa opzione interpretativa, la prima delle menzionate disposizioni avrebbe sortito un implicito effetto abrogativo nei confronti della seconda). Conseguentemente, la portata puntuale dell’art. 37, comma 7 deporrebbe nel senso che il divieto di contemporanea partecipazione non risulterebbe operativo nel caso in cui alla medesima gara intendano partecipare il consorzio ed un’impresa consorziata non indicata in sede di offerta quale esecutrice dell’appalto di cui si discute.
     Ai fini della completa ricostruzione del quadro normativo della questione (ed, in ultima analisi, di delimitazione del thema decidendum), occorre anche osservare che, con riferimento all’ipotesi dei consorzi stabili, le difficoltà interpretative cui si è dinanzi fatto cenno risultano superate a seguito dell’emanazione del c.d. ‘secondo decreto correttivo’ al d.lgs. 163 del 2006.
     In particolare, mette conto richiamare il comma 1 dell’art. 2, d.lgs. 31 luglio 2007, n. 113, la cui lettera i), nel riformulare per intero il testo del comma 7 dell’art. 37, cit., ha risolto de futuro i richiamati dubbi interpretativi.
     Ed infatti, la modifica normativa intervenuta nel 2007, eliminando espressamente nel testo dell’art. 37,comma 7, cit., il riferimento alla figura dei consorzi stabili (di cui al precedente art. 34, comma 1, lettera c)), ha sortito l’effetto di fissare in modo effettivamente generale il divieto di contemporanea partecipazione alla gara del consorzio stabile e di qualunque impresa consorziata, indipendentemente dal se quest’ultima fosse stata o meno indicata come esecutrice dell’appalto.
     L’ulteriore conseguenza delle innovazioni normative intervenute nel corso del 2007 è nel senso che la questione che il Collegio è chiamato a risolvere mantiene rilevanza unicamente de praeterito (ossia, in relazione alle fattispecie realizzatesi in epoca anteriore alla novella legislativa), mentre per le ipotesi future è evidente la scelta di politica normativa volta a fissare in misura assoluta il divieto di doppia partecipazione di cui al comma 5 dell’art. 36, cit.
     3. Questi essendo i termini normativi della questione al tempo in cui è sorta la vicenda di cui è causa, è opinione del Collegio che il ricorso sia fondato e meritevole di accoglimento.
     3.1. La stratificazione normativa che ha condotto dapprima alla stesura dell’art. 12, comma 5 della l. 109 del 1994, dipoi alla stesura dell’art. 13, comma 7 della medesima legge e, da ultimo, alla pressoché integrale trasfusione delle richiamate disposizioni nell’ambito del ‘Codice dei contratti’ ha determinato alcune incertezze in dottrina ed in giurisprudenza.
     Non sfugge al Collegio che, anche alla luce delle evidenziate lacune in termini di drafting normativo, l’interpretazione congiunta delle due richiamate disposizioni potesse effettivamente condurre all’esito di ritenere comunque vietata la contemporanea partecipazione alla gara del consorzio stabile e di qualunque sua consorziata.
     Neppure può tacersi che la richiamata opzione interpretativa abbia incontrato in numerosi casi il consenso della giurisprudenza amministrativa anche in grado di appello (Cons. Stato, Sez. V, sent. 24 marzo 2006, n. 1529; id., Sez. V, sent. 28 maggio 2004, n. 3465).
     Fra gli argomenti che potevano militare (lo si ripete, in un periodo antecedente alle modifiche normative introdotte dal d.lgs. 113 del 2007) nel senso di una tale lettura restrittiva, quattro in particolare appaiono meritevoli di approfondimento.
      In primo luogo, si è osservato che il disposto delle due richiamate disposizioni ben potrebbe essere inteso nel senso che il legislatore abbia inteso affiancare ad un divieto di carattere generale (quello di cui all’art. 36, comma 5 del Codice) un ulteriore divieto, di carattere specifico (quello di cui all’art. 37, comma 7).
            In secondo luogo (secondo un argomento enfatizzato dal T.A.R. nell’ambito della decisione appellata), l’apparente antinomia normativa andrebbe comunque risolta conferendo rilievo preminente al principio generale (da ultimo esplicitato all’art. 34, comma 2 del ‘Codice dei contratti’) secondo cui è comunque vietata la contemporanea partecipazione a gara dei concorrenti le cui offerte sono riconducibili ad un unico centro decisionale (corollario, questo, del principio di par condicio fra i partecipanti alle procedure ad evidenza pubblica).
      In terzo luogo, si è ritenuta non condivisibile la tesi secondo cui la l. 415 del 1998, introducendo nell’ambito della legge Merloni il nuovo art. 13, comma 4 (in seguito: art. 37, comma 7 del ‘Codice’) avrebbe implicitamente abrogato il divieto generale di cui all’art. 12, comma 5 della medesima legge (in seguito: art. 36, comma 5 del ‘Codice’).
      In quarto luogo, si è osservato che la previsione normativa di cui all’art. 37, comma 7, cit. (secondo cui, in caso di contemporanea partecipazione a gara del consorzio stabile e della consorziata indicata come esecutrice dell’appalto, a quest’ultima “è fatto divieto di partecipare, in qualsiasi altra forma, alla medesima gara”), non avrebbe l’effetto di attenuare il più generale divieto di cui al precedente art. 36, comma 5, quanto piuttosto il diverso effetto di affiancare al richiamato divieto a carico di tale impresa l’ulteriore divieto di intervenire nella gara in altra forma associativa (si cita al riguardo la pronuncia Cons. Stato, Sez. V, 23 marzo 2007, n. 1423).
     3.2. Nonostante quanto sin qui esposto, è tuttavia avviso del Collegio che l’esame sistematico della questione palesi come maggiormente presuasiva la diversa tesi secondo cui, nel periodo precedente all’entrata in vigore del d.lgs. 113 del 2007, il divieto di partecipazione alla medesima gara in capo al consorzio stabile ed alla singola consorziata non trovasse applicazione nelle ipotesi in cui la consorziata non fosse stata indicata quale esecutrice dell’appalto.
     In primo luogo (ed in relazione al primo dei richiamati argomenti che militerebbero in favore della tesi opposta), si osserva come non appaia persuasiva l’interpretazione secondo cui fra l’art. 36, comma 5 e l’art. 37, comma 7 ricorrerebbe un rapporto di genus ad speciem (nel senso che la prima di tali disposizioni fisserebbe un divieto di portata generale mentre la seconda si limiterebbe a specificarne la portata).
     Al contrario, appare innegabile che la lettura del comma 7 dell’art. 37 ne palesi il carattere inequivocabilmente derogatorio rispetto alla previsione dell’art. 36, co. 5, limitando expressis verbis il divieto di partecipazione alle sole consorziate per le quali il consorzio stabile concorre (i.e.: quelle indicate come esecutrici dell’appalto, in caso di aggiudicazione), con la conseguenza di ammettere – a contrario – la partecipazione a gara delle consorziate per cui il consorzio stabile non concorre.
     In definitiva, anche conducendo l’indagine ermeneutica in base al solo criterio dell’interpretazione lessicale (primo comma dell’art. 12 disp. prel.), si individuano concreti argomenti atti a deporre nel senso che il rapporto sistematico fra l’art. 36, comma 5 e l’art. 37, comma 7 non sia di genus ad speciem, bensì regola ad eccezione.
     In secondo luogo (ed in relazione al secondo dei richiamati argomenti a contrario addotti) si osserva come non appaia persuasivo l’approccio (per altro, seguito dal giudice di prime cure) secondo cui l’interpretazione più restrittiva del combinato disposto degli artt. 36 e 37 rappresenterebbe null’altro, se non un corollario del principio di salvaguardia della par condicio fra i partecipanti a gara (un principio da ultimo riaffermato, con valenza prescrittiva, attraverso l’innovativa ed espressa previsione di cui al secondo periodo del comma 2 dell’art. 34 del ‘Codice’ – le stazioni appaltanti escludono altresì dalla gara i concorrenti per i quali accertano che le relative offerte sono imputabili ad un unico centro decisionale, sulla base di univoci elementi).
     Al riguardo, si osserva in primo luogo che in senso contrario rispetto all’approccio in questione possono essere addotti ulteriori e diversi principi (del pari aventi valenza generale), quali il principio di matrice comunitaria del favor participationis.
     In particolare, si ritiene che il ricorso al principio in questione possa informare l’attività dell’interprete non solo nei casi in cui le disposizioni di portata potenzialmente equivoca siano contenute nella lex specialis (sul punto, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. V, sent. 4 novembre 2004, n. 7140), ma anche nelle ipotesi in cui siano le stesse disposizioni di legge a porre l’interprete dinanzi ad opzioni ermeneutiche che consentano in misura maggiore o minore la partecipazione a gara.
     E’ ben vero che l’applicazione del principio in questione deve essere coniugata con il concomitante principio di par condicio competitiva per tutti i partecipanti alla procedura (esigenza, questa, enfatizzata dalla decisione appellata), di guisa tale che l’espansione del primo non conduca ad una vanificazione dell’effet utile del secondo.
     E’ altresì vero, tuttavia, che l’opzione ermeneutica che qui si intende escludere conduce ad una compressione del principio del favor participationis più incisiva rispetto a quanto strettamente necessario ai fini della salvaguardia del principio di par condicio.
     Inoltre, l’adesione alla medesima opzione produce l’effetto (indifferenziato e quindi inammissibile nell’ottica del generale principio di proporzionalità, valevole anche nella materia de quā) di determinare in ogni caso l’esclusione dalla gara tanto del consorzio stabile quanto della consorziata, anche laddove alcun elemento in concreto induca nel senso della sussistenza di un unico centro decisionale.
     In tal modo, risulta altresì violato il principio di tassatività delle ipotesi di esclusione dalle pubbliche gare, fatte salve le ipotesi in cui ciò risulti organicamente funzionale alla salvaguardia di concomitanti principi generali valevoli nel medesimo settore di attività e posti a presidio di interessi di rango almeno equivalente.
     Ciò, a tacere della gravità delle conseguenze connesse alla violazione del divieto di cui all’art. 36, comma 5 cit., il quale comporta a carico dei contravventori l’applicazione delle previsioni di cui all’art. 353, cod. pen.
     Anche sotto tale profilo, quindi, l’opera dell’interprete deve muoversi con particolare cautela, escludendo in via tendenziale opzioni ermeneutiche le quali comportino a carico degli operatori economici conseguenze di particolare gravità, pur in assenza di motivi obiettivamente persuasivi idonei a giustificarle sotto il profilo sistematico.
     Riconducendo i principi testé enunciati alla questione oggetto della presente indagine, si osserva che l’indifferenziato ed automatico divieto di partecipazione a gara tanto a carico del consorzio stabile, quanto a carico della consorziata non indicataria potrebbe rinvenire una giustificazione  sistematica (in relazione all’esigenza di salvaguardare la genuinità ed autonomia delle manifestazioni decisionali) solo laddove un’indagine in concreto dimostri che il rapporto fra i relativi organi decisionali conduca ad individuare un unico centro decisionale.
     Si ritiene, tuttavia, che la mera partecipazione dell’impresa ad un determinato consorzio stabile non fornisca elementi univoci in tal senso, tali da fondare la vera e propria praesumptio juris et de jure al riguardo delineata dal giudice di prime cure.
     A conclusioni ben diverse, come è evidente, potrebbe giungersi laddove risulti dimostrata in concreto la sussistenza di un rapporto di controllo, ovvero nelle ipotesi in cui risulti che nel consiglio direttivo del consorzio siano presenti amministratori o rappresentanti legali dell’impresa consorziata – non indicataria – la quale ha formulato autonoma domanda di partecipazione alla gara (in tal senso: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 15 febbraio 2002, n. 949).
     Concludendo sul punto, si ritiene che non appaia condivisibile un’opzione interpretativa la quale interpreti il combinato operare delle due disposizioni più volte richiamate nel senso di vietare a priori la partecipazione alla medesima gara del consorzio stabile e della consorziata non indicataria, muovendo da un argomento logico-sistematico basato sul divieto di cui all’art. 34,comma 2 del ‘Codice’, laddove tale preclusione risulti fondata non già sulla dimostrazione in concreto circa la sussistenza di un unico centro decisionale, bensì su una sorta di sillogismo categorico la cui premessa minore è rappresentata dall’ordinaria sussistenza di una siffatta unicità nei rapporti fra il consorzio stabile e le proprie consorziate.
     Neppure risulta persuasivo il terzo degli argomenti a supporto della tesi restrittiva dinanzi richiamata (la non condivisibilità della tesi secondo cui il nuovo art. 13, comma 4 della legge 109 – in seguito: art. 37, comma 7 del ‘Codice’ – avrebbe implicitamente abrogato il divieto generale di cui all’art. 12, comma 5 della medesima legge – in seguito: art. 36, comma 5 del ‘Codice’ -).
     Ed infatti, se pure può convenirsi circa il fatto che la novella del 1998 – poi trasfusa nell’art. 37, co. 7 – non abbia recato un’abrogazione in parte quā del previgente art. 12, comma 5 – in seguito: art. 36, comma 5 – (ciò in quanto entrambe le disposizioni sono state in seguito trasfuse nel ‘Codice’ del 2006, la cui valenza novativa sulla materia oggetto di disciplina appare fuori discussione), nondimeno è ben possibile annettere alla prima di tali disposizioni un effetto derogatorio rispetto al richiamato divieto generale: un effetto che ben può prodursi anche in assenza di una disposizione munita di manifesta vis abrogans.
     Ciò in quanto, in applicazione di generali principi, il fenomeno della deroga risulta ben diverso rispetto al fenomeno dell’abrogazione, costituendo la prima figura, l’effetto giuridico in forza del quale una norma sopravvenuta esclude rispetto ad ipotesi di specie la forza qualificatoria di una norma anteriore, la quale rimane in vigore rispetto alle ipotesi di genere per l’innanzi da essa prevedute.
      Ancora, non risulta persuasivo il quarto degli argomenti a supporto della tesi restrittiva dinanzi richiamata (ci si riferisce all’argomento secondo cui la previsione normativa di cui all’art. 37, comma 7, cit. non sortirebbe l’effetto di attenuare il più generale divieto di cui al precedente art. 36, comma 5, quanto piuttosto il diverso effetto di affiancare al richiamato divieto a carico di tale impresa l’ulteriore divieto di intervenire nella gara in altra forma associativa).
      Ed infatti, l’interpretazione in questione non fornisce alcun argomento onde chiarire la ragione per cui il legislatore avrebbe inteso esplicitare tale presunto ‘secondo divieto’ con riferimento espresso al solo caso della consorziata non indicataria e non anche (a dispetto della portata asseritamente generale del principio in parola) con riguardo a qualunque consorziata.
      Inoltre, atteso che una siffatta prescrizione di principio risulterebbe null’altro se non un corollario del più generale divieto recato dall’art. 36, comma 5, non emerge alcuna ragione sistematica per cui il legislatore avrebbe scelto di fissare l’ulteriore divieto di partecipazione in altra forma associativa collocando la relativa prescrizione (non già nell’ambito della previsione generale di cui all’art. 36, comma 5, bensì) nell’ambito della previsione speciale relativa all’ipotesi della consorziata non indicata quale esecutrice dell’appalto (art. 37, comma 7).
     3.3. Vi è poi un ulteriore argomento testuale il quale depone nel senso che, per il periodo precedente all’entrata in vigore del d.lgs. 113 del 2007, il divieto di partecipazione alla medesima gara in capo al consorzio stabile ed alla singola consorziata non trovasse applicazione nel caso di consorziata non indicata quale esecutrice dell’appalto. Si tratta di un argomento direttamente desumibile dalla relazione illustrativa al decreto legislativo in parola.
     Occorre premettere al riguardo che i fautori della tesi – per così dire – ‘restrittiva’ devono necessariamente ritenere che l’art. 2, comma 1 del secondo decreto correttivo al ‘Codice dei contratti’, per la parte in cui ha escluso testualmente la deroga di cui all’art. 37, comma 7 nel caso dei consorzi stabili (in tal modo riespandendo la piena e generale valenza del divieto di cui all’art. 36, comma 5), avrebbe corretto una sorta di lapsus calami del Legislatore, non introducendo in parte quā alcuna innovazione di carattere sostanziale.
     Tuttavia, dall’esame della relazione illustrativa al richiamato decreto legislativo emerge al contrario che la puntuale voluntas del legislatore delegato fosse nel senso di modificare il quadro normativo fino a quel momento vigente, eliminando una disposizione derogatoria valevole per il solo caso dei consorzi stabili e riespandendo, per tali figure, il generale divieto di cui all’art. 36, comma 5 del Codice (nel documento in questione, infatti, è dato leggere che “gli interventi correttivi relativi all’articolo 36, comma 5, e all’articolo 37, comma 7, eliminano la lamentata disparità di trattamento dei consorzi stabili rispetto ad altre figure consortili, frutto del già mancato coordinamento normativo presente nella legge quadro sui lavori pubblici, a seguito delle modifiche alla stessa intervenute nel corso degli anni”).
     3.4. Da ultimo, si osserva che le conclusioni cui si è dinanzi giunti in ordine alla corretta interpretazione del combinato disposto di cui ai più volte richiamati artt. 36 e 37 non palesino alcun profilo di distonia con quanto statuito dalla Sezione con la pronuncia 23 marzo 2007, n. 1423 (pure, addotta dalla società appellata a sostegno delle proprie tesi).
     In primo luogo, si osserva al riguardo che la questione sostanziale sottoposta al Collegio nella pronuncia da ultimo richiamata concernesse un’ipotesi diversa rispetto a quella di cui al presente ricorso (si trattava, nella specie, della contemporanea partecipazione alla gara di due imprese consorziate e non anche del consorzio stesso).
     In secondo luogo, si osserva che la richiamata sentenza si è limitata a rilevare ‘una certa antinomia’ fra le due disposizioni, senza in alcun modo propendere per l’una o l’altra opzione interpretativa, oltretutto non rilevante nell’occasione ai fini del decidere.
     4. Per i motivi sin qui esposti, in riforma della sentenza appellata, il ricorso in appello deve essere accolto, con conseguente annullamento degli atti impugnati in primo grado.
     Sussistono nella specie giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti, anche in considerazione della parziale novità delle questioni coinvolte dalla presente decisione .
P.Q.M.
     Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe specificato, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, annulla gli atti impugnati con il ricorso in primo grado.
     Spese compensate.
     Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
     Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2008, dal Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale – Sez. VI – nella Camera di Consiglio, con l’intervento dei Signori:
******************* Presidente
************************ Consigliere
******************** Consigliere
****************** Consigliere
**************** Consigliere, est. 
Presidente
*******************
Consigliere       Segretario
****************   ***************** 
 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA 
Il 12/06/2008
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
**************** 
 
 
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta) 
Addì……………………………..copia conforme alla presente è stata trasmessa  
al Ministero…………………………………………………………………………………. 
a norma dell’art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642 
                                    Il Direttore della Segreteria
 
N.R.G. 5507/2007
 
FF

Lazzini Sonia

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