Esclusione dalla procedura pubblica per “violazione dei doveri professionali”:La responsabilità deve essere accertata e provata, ma è sufficiente all’uopo “qualsiasi mezzo di prova”, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato

Lazzini Sonia 19/06/08
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 Appare importante quanto ci insegna il Consiglio di Stato con la decisione numero 6541 del 12 ottobre 2004:

  A tal fine, il concetto normativo di “violazione dei doveri professionali” abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili “gravi”.

 Si richiede, in ogni caso, che la responsabilità risulti accertata e provata, ma è sufficiente all’uopo “qualsiasi mezzo di prova”, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato>

a cura di *************

REPUBBLICA ITALIANA   IN NOME DEL POPOLO ITALIANO     

Il  Consiglio  di  Stato  in  sede  giurisdizionale – Quinta  Sezione       ANNO 2000

ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 393 del 2000 proposto dalla ** s.p.a., rappresentata e difesa dall’avv. **********************, presso lo studio del quale è elettivamente domiciliata in Roma, Via Val Maggia n. 7,

 contro

 la società La *** s.r.l., in persona del suo legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avv.ti prof. **************** e ********************** ed elettivamente domiciliata presso il loro studio in Roma, Via Carducci n.4,

e nei confronti

del Comune di Milano, non costituito in giudizio;

per la riforma

della sentenza n. 2849 in data 22 luglio 1999 pronunciata tra le parti dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, Milano, Sez. III;

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata La *** s.r.l.;

Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Relatore il cons. ******************;

Uditi alla pubblica udienza del 27 aprile 2004 gli avv.ti R. ********** per delega dell’avv. ********** e ************** per delega dell’avv. *******;

Visto il dispositivo di sentenza n. 291 pubblicato in data 3 maggio 2004;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue.

FATTO

Con la sentenza in epigrafe il Tribunale Amministrativo Regionale per Regionale per la Lombardia, Milano, Sez. III ha accolto il ricorso proposto dalla società La *** s.r.l. per l’annullamento dell’aggiudicazione del primo lotto di una fornitura di prodotti ortofrutticoli, di cui al verbale 19 giugno 1998, in favore della Commerciale Ortofrutticola *** s.p.a..

Per la riforma della sentenza quest’ultima ha proposto appello, deducendo che l’originario ricorso, in rito, avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per difetto d’interesse e, nel merito, avrebbe dovuto essere respinto siccome infondato.

Costituitasi in giudizio, la società appellata ha controdedotto al gravame e ne ha chiesto la reiezione perché infondato; con il favore delle spese di giudizio.

La causa, sentiti i difensori presenti, è stata riservata per la decisione all’udienza pubblica del 27 aprile 2004.

DIRITTO

L’appello è infondato.

Occorre premettere in fatto che le società contendenti partecipavano ad un’asta pubblica indetta dal Comune di Milano per una fornitura di prodotti ortofrutticoli divisa in sette lotti e che, riguardo al primo lotto, l’odierna appellante, risultata miglior offerente, si aggiudicava la gara, mentre l’appellata, inizialmente classificatasi al quarto posto, era passata al secondo, giacché il bando di gara consentiva l’assegnazione di un solo lotto e le due ditte concorrenti che immediatamente la precedevano avevano conseguito l’aggiudicazione, rispettivamente, del secondo e del terzo.

Con il ricorso di primo grado, che il T.A.R. ha accolto con la sentenza appellata, la società La *** s.r.l. ha impugnato l’aggiudicazione del primo lotto a favore della società Commerciale Ortofrutticola *** s.p.a., affermandone l’illegittimità, in quanto l’aggiudicataria avrebbe dovuto essere esclusa dalla gara ai sensi della disposizione di cui all’art. 68 R.D. 23 maggio 1924 n. 827, richiamato dall’art. 11 D.L.vo. 24 luglio 1992 n. 358, che prevede l’esclusione dalle future gare delle ditte che nell’eseguire altra commessa si siano rese colpevoli di negligenza o malafede.

Tanto premesso e passando ad esaminare le censure dedotte dall’appellante, questa sostiene, con il primo motivo, che il ricorso originario avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, per carenza di interesse, non potendo comunque la società ricorrente ricevere alcun beneficio dall’annullamento degli atti di gara, da cui sarebbe derivato soltanto l’obbligo per l’Amministrazione di aggiudicare alla seconda classificata.

L’assunto non è condivisibile.

Nella specie, infatti, non era configurabile un obbligo come quello sopra ipotizzato, atteso che, in virtù della clausola del bando che impediva l’assegnazione di più lotti allo stesso concorrente, le ditte seconda e terza classificata, come vincitrici di altro lotto della fornitura, andavano escluse dalla graduatoria del lotto in questione.

Né l’annullamento dell’aggiudicazione del primo lotto avrebbe comportato la necessità per il Comune di caducare anche 1’aggiudicazione del secondo. La determinazione con cui il Comune ha provveduto all’assegnazione delle forniture relative ai diversi lotti, invero, è atto di contenuto plurimo e scindibile, risolvendosi in tante distinte aggiudicazioni, ciascuna autonoma dall’altra, di una serie di lotti. Pertanto, la caducazione degli atti relativi al primo lotto non travolge affatto l’aggiudicazione del secondo, rimasta inoppugnata.

E, proprio in ossequio ai limiti soggettivi della pronuncia di annullamento di atto scindibile, il T.A.R. ha disposto l’annullamento dell’aggiudicazione relativa all’unico lotto oggetto di impugnazione. Con la conseguenza che appare infondata anche l’ulteriore censura con la quale l’appellante si duole che la sentenza impugnata abbia erroneamente preso in considerazione la gara di cui si tratta nella sua totalità.

Nel merito, la società appellante sostiene che il Comune non era obbligato ad escluderla dall’asta pubblica, come affermato dal giudice di primo grado, “in quanto l’esclusione dalla partecipazione ad un appalto può essere disposta solo se la malafede e la negligenza nell’esecuzione di altri contratti sia riconducibile ad una delle ipotesi tassativamente previste dalla normativa comunitaria e, quindi, solo nel caso di comprovate gravi violazioni dei doveri professionali o condanna – con sentenza passata in giudicato – per un reato che incida sulla moralità professionale: non certo, come avvenuto nella fattispecie, per una generica negligenza valutata discrezionalmente dall’Amministrazione aggiudicatrice”.

La doglianza va disattesa.

In virtù dell’espresso richiamo che l’art. 11 del D.Lgs. 24 luglio 1992 n. 358 opera all’art. 68 del R.D. n. 827 del 1924, la disciplina dettata dal primo, a norma del quale sono esclusi dalle gare “i fornitori… c) che nell’esercizio della propria attività professionale abbiano commesso un errore grave, accertato con qualsiasi mezzo di prova addotto dall’amministrazione aggiudicatrice”, va integrata con la previsione del secondo, il quale dispone che “sono escluse dal fare offerte per tutti i contratti le persone o ditte che nell’eseguire altra impresa si sieno rese colpevoli di negligenza o malafede”.

Attraverso la disposizione dell’art. 11 citato, per altro, il legislatore ha fatto diretta applicazione nel nostro ordinamento del disposto dell’art. 20 lett. d) della Direttiva C.E.E. 93/36, secondo il quale “può essere escluso dalla partecipazione ad un appalto qualunque fornitore il quale … d) si sia reso responsabile di gravi violazioni dei doveri professionali, provate con qualsiasi elemento documentale dall’Amministrazione”.

Dalla disciplina surriportata emerge che il potere di non consentire la partecipazione ad una o più procedure di scelta del contrente trova il suo presupposto nella responsabilità di una violazione dei doveri professionali nell’esecuzione delle obbligazioni rivenienti da precedenti rapporti contrattuali, che sia tanto grave da escludere l’affidabilità tecnico-professionale del potenziale aggiudicatario. A tal fine, il concetto normativo di “violazione dei doveri professionali” abbraccia un’ampia gamma di ipotesi, riconducibili alla negligenza, all’errore ed alla malafede, purché tutte qualificabili “gravi”. Si richiede, in ogni caso, che la responsabilità risulti accertata e provata, ma è sufficiente all’uopo “qualsiasi mezzo di prova”, senza la necessità di una sentenza passata in giudicato.

Nel caso in esame, appena qualche mese prima della procedura oggetto del presente giudizio, l’odierna appellante era stata dichiarata decaduta dall’aggiudicazione di una fornitura di contenuto analogo, con deliberazione 24 febbraio 1998 n. 441 della Giunta Municipale, in considerazione del fatto che “gli inadempimenti riscontrati e contestati alla fornitrice dal Settore Servizi Educativi, per la loro frequenza., modalità e reiterazione, sono indicativi di una volontà fraudolenta e sono tali da costituire violazione dei principi di correttezza e buona fede che sempre devono ispirare il comportamento delle parti nell’esecuzione del contratto. Ciò ha quindi conseguentemente comportato per il Comune il venir meno della fiducia nella propria fornitrice e nella possibilità futura del corretto svolgimento del rapporto contrattuale”.

La situazione, dunque, era tale, non solo da rimuovere ogni dubbio circa l’obbligo del Comune di valutare se gli inadempimenti contrattuali in cui era in passato incorsa la concorrente ora appellante ne consentissero l’ammissione alla gara per cui è giudizio, ma – come correttamente ha ravvisato il giudice di primo grado – era idonea ad integrare senz’altro la previsione di cui al citato art. 68 del R.D. 23.5.1924 n. 827, non potendosi, ormai, ritenere sufficiente l’affidamento che in ordine alla corretta esecuzione dei contratti la stessa concorrente dava.

Per le considerazioni fin qui svolte, l’appello va respinto.

Le spese del presente grado di giudizio seguono, come di regola, la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, respinge l’appello in epigrafe.

Condanna l’appellante Commerciale Ortofrtutticola *** s.p.a. al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, in favore dell’appellata La *** s.r.l., nella misura di € 4000,00 (quattromila).

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, nella camera di consiglio del 27 aprile 2004 con l’intervento dei Signori:

***************** – Presidente

****************** – Consigliere rel. est.

Chiarenza Millemaggi Cogliani – Consigliere

***************** – Consigliere

******************** – Consigliere

L’ESTENSORE                                    IL PRESIDENTE

F.to ******************                       F.to *****************

IL SEGRETARIO

F.to *******************

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 12 ottobre 2004

(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)

IL  DIRIGENTE

F.to **************

Lazzini Sonia

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