Enti e lavoratori subordinati: la responsabilita’ amministrativa e derivante da reato

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Gli atti compiuti dalla persona fisica preposta all’organo (rapporto di servizio) vengono imputati, sotto il profilo dell’efficacia e della responsabilità, direttamente all’Ente cui fa riferimento l’organo (rapporto organico). 

In ambito pubblicistico, la responsabilità diretta (civile, penale ed amministrativa) configurabile a carico dei pubblici dipendenti (artt. 28 e 97 co. 2 Cost.) si estende, sul piano civilistico, allo Stato ed agli Enti pubblici (D.P.R. 10-01-1957 n. 3).

In particolare, si configura responsabilità amministrativa (patrimoniale, l. 14-01-1994 n. 20) a carico del dipendente o dell’amministratore pubblico che cagiona un danno erariale (ed anche non patrimoniale) effettivo ed attuale alla P.A., con un comportamento attivo o omissivo, doloso o gravemente colposo in violazione degli obblighi di servizio.

Nella responsabilità amministrativa rientra, quindi, anche la tutela di interessi ulteriori rispetto all’integrità patrimoniale, ad es. la tutela dell’immagine delle P.A. e dell’interesse che le competenze individuate siano rispettate, le funzioni attribuite siano esercitate, le responsabilità dei funzionari siano attivate (1). Pertanto, anche le persone giuridiche possono subire un danno non patrimoniale (Cass. 10-07-1991 n. 7642, Cass. sez. prima 5-12-1992 n. 12951) (2).

In altri termini, la P.A. risponde degli illeciti aquiliani al pari del privato cittadino ed è, altresì, soggetto passivo di tali illeciti (Corte dei Conti 23-04-2003 n. 10). 

La responsabilità amministrativa, prescrivibile in cinque anni dalla commissione del fatto, si trasmette agli eredi dell’autore dell’illecito soltanto in caso di iingiustificato arricchimento degli stessi: dall’entità del danno risarcibile va, comunque, dedotto il vantaggio acquisito dalla P.A. 

In capo agli Enti (e persone giuridiche) non è, invece, configurabile la responsabilità penale la quale, infatti, è personale (art. 27 Cost.) per il principio “societas delinquere non potest”. Ciò significa che nei confronti degli Enti, per espresso disposto costituzionale, non sono applicabili i principi in materia di responsabilità penale sotto il profilo sanzionatorio.

Tuttavia, la commissione di illeciti penali arricchisce la sfera giuridica degli Enti nel cui interesse o vantaggio siano stati commessi.

Accanto ad una concezione psicologica della colpevolezza, che ne esaurisce cioè il contenuto nel legame psicologico tra autore e fatto, si è, quindi, mossa un’idea di colpevolezza intesa come rimproverabilità della condotta.

Così, a partire dalla l. 29-09-2000 n. 300 (in ratifica della Convenzione Ocse 17-12-1997), sono state previste le fattispecie di reato dalle quali può conseguire la responsabilità amministrativa degli Enti (persone giuridiche, società ed associazioni a soggettività privata o anche prive di personalità giuridica, d.lgs 8-06-2001 n. 231 e d.l. 23-05-2008 n. 92) diversi dallo Stato, dagli Enti pubblici territoriali, dagli enti pubblici non economici e da quelli che svolgono funzioni di rilievo costituzionale.

Trattasi di una sorta di responsabilità presunta e depenalizzata da fonte tipica penale.

Non si applica alle imprese individuali (Cass. sez. sesta 3-03-2004) (3) bensì alla capogruppo holding (Trib. Milano 20-09-2004, Trib. Milano sez. XI 20-12-2004) (4).

Non si applica agli enti che esercitano pubblici poteri (le singole Pubbliche Amministrazioni) bensì agli enti pubblici economici ed agli enti pubblici nel caso in cui esercitino attività amministrativa non autoritativa ed anche alle persone giuridiche straniere operanti in Italia.

La fattispecie si configura anche sul piano del tentativo di reato.

Non è, invece, configurabile la responsabilità dell’ente soltanto se la persona fisica ha agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi diversi dall’ente di appartenenza.

Il quadro degli illeciti sanzionati a titolo amministrativo è stato ampliato a seguito della l. 23-11-2001 n. 409 (falsità in monete, carte di pubblico credito, valori in bollo), d.lgs 11-04-2002 n. 61 e l. 28-12-2005 n. 262 (reati societari), l. 14-01-2003 n. 7 (delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico), l. 11-08-2003 n. 228 e l. 6-02-2006 n. 38 (personalità individuale), l. 18-04-2005 n. 62 (abuso di informazioni privilegiate e manipolazione di mercato), l. n. 7/2006 (pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili), l. n. 29/2006 (riciclaggio e reimpiego, ricettazione), l. 16-03-2006 n. 146 (per reato transnazionale di associazione per delinquere, di tipo mafioso, finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, al traffico illecito di stupefacenti, riciclaggio, traffico di migranti, intralcio alla giustizia).

L’adozione di un modello aziendale di organizzazione e gestione, su delibera dell’organo amministrativo, che prevede strumenti idonei ad identificare le aree di rischio nell’attività della società ed a individuare gli elementi sintomatici della commissione di illeciti è da considerarsi idoneo a prevenire i reati e, pertanto, ad escludere la responsabilità amministrativa dell’ente, potendo sospendere le misure cautelari disposte in modalità idonea e proporzionale per gravi indizi (fumus boni iuris e periculum in mora).

In altri termini, il modello deve essere idoneo ad impedire l’illecito (realizzato) dei dipendenti e quello integrato dai dirigenti: può essere, quindi, adottato sulla base di codici di autoregolamentazione preventivamente redatti dalle associazioni rappresentative degli enti e comunicati al Ministero della Giustizia (D.M. 26-06-2003 n. 201).

La responsabilità dell’Ente è, quindi, presunta se quest’ultimo non disponga di un modello di gestione e controllo anticrimine (inversione dell’onere della prova) mentre nell’ipotesi in cui sia dotato di tale strumento di governance è la controparte lesa che deve dimostrare che il sistema sia inidoneo o inefficace (artt. 11 e 12 d.lgs n. 231/2001).

Nei casi più gravi, oltre al modello organizzativo è richiesto, onde evitare sanzioni interdittive, l’integrale risarcimento del danno e la messa a disposizione del profitto conseguente al reato.

E’ da precisare che la mancata adozione del modello aziendale organizzativo non è ritenuta, ex se, sanzionabile.

Vicende modificative come la trasformazione, la fusione o la scissione parziale non incidono sulla configurabilità della responsabilità: infatti, resta ferma la responsabilita’ per i reati commessi anteriormente alla data in cui la modificazione ha avuto effetto (artt. 28, 29, 30). Nel caso di cessione dell’azienda nella cui attivita’ e’ stato commesso il reato, il cessionario e’ solidalmente obbligato, salvo il beneficio della preventiva escussione dell’ente cedente e nei limiti del valore dell’azienda, al pagamento della sanzione pecuniaria (art. 33).

Il procedimento per l’illecito amministrativo dell’ente (art. 38) e’ riunito al procedimento penale instaurato nei confronti dell’autore del reato: si procede, invece, separatamente per l’illecito amministrativo dell’ente soltanto quando e’ stata ordinata la sospensione del procedimento, quest’ultimo e’ stato definito mediante procedimenti speciali (stante l’applicabilità di tali riti penali di cui al libro sesto c.p.p. cioè giudizio abbreviato, patteggiamento e procedimento per decreto) ovvero ciò è reso necessario dall’osservanza delle disposizioni processuali.

Il pubblico ministero procede all’accertamento dell’illecito amministrativo negli stessi termini previsti per le indagini preliminari relative al reato da cui dipende l’illecito stesso: quando non dispone l’archiviazione, il P.M. contesta, all’ente, l’illecito amministrativo dipendente dal reato.

Il provvedimento che applica misure cautelari interdittive e la sentenza irrevocabile di condanna sono comunicati alle Autorita’ che esercitano il controllo o la vigilanza sull’ente (art. 84 d.lgs n. 231).

L’ente che svolge servizio pubblico o di pubblica necessità, sanzionato con l’interdizione dall’esercizio dell’attività, prosegue la propria attività a mezzo commissario giudiziale, onde evitare grave pregiudizio alla collettività, ed i relativi profitti sono soggetti a confisca (Trib. Milano 20-09-2004) (5).

Il soggetto danneggiato dal reato non può costituirsi parte civile nei confronti dell’ente chiamato a giudizio per responsabilità amministrativa (Trib. Milano 9-03-2004) (6) e quest’ultimo, a sua volta, non può costituirsi parte civile nei confronti degli imputati persone fisiche (Trib. Milano 25-01-2005) (7).

Le sentenze relative alla responsabilità amministrativa dell’Ente sono impugnabili (art. 593 c.p.p.) e revisionabili (art. 629 c.p.p.) mentre non risulta applicabile la riparazione dell’errore giudiziario (art. 643) ed il risarcimento del danno (art. 647).

E’ da aggiungere, in ultima analisi, che, presso il casellario giudiziale centrale, è istituita l’anagrafe nazionale delle sanzioni amministrative dipendenti da reato (art. 80 d.lgs n. 231).

 

NOTE AL TESTO

1- Per approfondimenti, G. CASSANO-C. GIURDANELLA, “La responsabilità della Pubblica Amministrazione”, Padova, 2007 e G. GARRI-F. GARRI, “La responsabilità civile nella pubblica amministrazione”, Torino, 2007.

2- reperibili in www.corteconti.it

3- In Foro It. 2005, II, 22

4- In Foro Ambros., 2004, 4, 520 e in Dir. e prat. soc., 2005, 6, 69.

5- In Guida Dir., 2004, 47, 69.

6- In Dir. Proc. Pen., 2004, 1333.

7- In Giust. Pen., 2005, III, 374.

Prof. Avv. Basso Alessandro Michele

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