Elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa

Lazzini Sonia 03/04/08
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La revoca o il recesso previsti dell’art. 11 del D.P.R. n. 282/98, quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, va letta in armonia con il divieto di stipulare autorizzare o approvare i contratti e i subcontratti, previsto dall’art. 10, comma 2, del medesimo testo, e dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, allorché, a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto, emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate: per evitare però il travolgimento dei pilastri fondanti dell’ordinamento, quali i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, mentre occorre che siano individuati idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti operativi con le predette associazioni
 
Il Consiglio di Stato con la decisione numero 4135  del 27  giugno 2006, in tema di informativa prefettizia positiva in merito alla sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose diretti a condizionare le scelte e gli indirizzi societari, ci insegna che:
 
<E’ da ritenere, dunque, che, la possibilità, prevista nell’art. 11 comma 3 D.P.R. n. 252 del 1998, di non revocare l’appalto, sebbene il collegamento dell’impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato, sia prevista al fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso a una valutazione di convenienza in relazione al tempo dell’esecuzione del contratto ed alla difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene ad esecuzione ampiamente inoltrata. E’ da escludere, pertanto, che la stazione appaltante disponga della facoltà di sindacare il contenuto dell’informativa prefettizia, poiché la legge demanda a tale autorità in via esclusiva la raccolta degli elementi e la valutazione circa la sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa>
 
L’emarginata decisione merita però di essere segnalata anche per la particolare attenzione in essa dedicata alla (il)legittimità dell’operato dell’amministrazione prefettizia nel caso in esame:
 
< Il Collegio non ignora che l’impugnata informativa prefettizia si basa sugli artt. 4 del D. Lgs. n. 490/94 e 10 del D.P.R. n. 252/98, fondati sulla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte dell’impresa oggetto di controllo, accostando alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell’esclusione dell’imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamento da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività
 
A tal fine è stata consentita dalla legge l’acquisizione di tutte le informazioni di cui le autorità di pubblica sicurezza sono in possesso al fine di effettuare, sulla base di tali risultanze, una obiettiva valutazione sulla possibilità di un eventuale utilizzo distorto dei finanziamenti pubblici destinati ad iniziative private o delle risorse pubbliche devolute al settore degli appalti pubblici (utilizzo, che la normativa di settore mira appunto ad evitare).
 
In particolare, il collegamento con la disciplina delle misure di prevenzione – che partecipano della medesima ratio di quelle in esame, intesa a combattere le associazioni mafiose con l’efficace aggressione dei loro interessi economici – testimonia del fatto che le preclusioni dettate dall’art. 4 del D.Lgs. 490/1994 costituiscono una difesa molto avanzata dell’autorità pubblica contro il fenomeno mafioso, in quanto gli istituti de quibus si basano su un accertamento di grado inferiore da quello richiesto per l’applicazione della sanzione penale.
 
Peraltro, il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. ed alla libertà d’impresa costituzionalmente garantita e, dall’altro, alla efficace repressione della criminalità organizzata ed alla conseguente neutralizzazione delle imprese infiltrate dal crimine organizzato, comporta che l’interpretazione della normativa in esame debba essere improntata a necessaria cautela, soprattutto quanto all’accertamento degli eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte, che richiede l’utilizzo di concetti indeterminati e rimessi alla valutazione dell’amministrazione prefettizia.
 
Di talché, attesa l’autonomia del procedimento amministrativo rispetto a quello giurisdizionale penale, se, da un lato, nell’ambito che ne occupa, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, dall’altro, per evitare il travolgimento dei pilastri fondanti dell’ordinamento, quali i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, mentre occorre che siano individuati idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti operativi con le predette associazioni>.
 
In conclusione quindi:
 
< Pertanto, una valutazione positiva sulla sussistenza del rischio non può ignorare la concreta condotta delle singole imprese al fine di verificarne la propensione alla compromissione, e quindi la permeabilità all’infiltrazione. Ne consegue che l’attenzione dell’Amministrazione deve essere rivolta, più che ai tentativi di infiltrazione posti in essere da soggetti terzi, alla capacità che l’impresa considerata abbia dimostrato di non assecondarli e di opporsi alla pressione ambientale.>
 
 
A cura di *************
 
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 
IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE
Sezione Quinta Anno 2005
ha pronunciato la seguente
 
SENTENZA
 
sul ricorso n. 8307 del 2005, proposto dalla Ecologia ***, in proprio e quale mandataria in a.t.i. con *** s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. ti ******************, *************** e ***************, elettivamente domiciliata presso il secondo in Roma, via Principessa Clotilde 2
 
contro
 
il Comune *** Campania, rappresentata e difesa dall’avv. *************** elettivamente domiciliata in Roma, presso G.M. ****, ********************, 46;
 
il Ministero dell’interno e l’Ufficio Territoriale del Governo di Napoli, rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato nei cui uffici sono domiciliati per legge in Roma Via dei Portoghesi 12
 
per la riforma
 
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per Lazio, Roma, Sez. II ter, 9 novembre 2005 n. 10892 resa tra le parti.
 
Visto il ricorso con i relativi allegati;
 
Visto l’atto di costituzione in giudizio delle parti appellate, come in epigrafe;
 
Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
 
Visti gli atti tutti della causa;
 
Relatore alla pubblica udienza del 28 febbraio 2006 il consigliere *************, e uditi gli avvocati ******************, *************** e *************** per l’appellante, l’avvocato dello Stato ******** e l’avv. Sciacca per delega dell’avv. ******** per le parti appellate.
 
Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue.
 
FATTO
 
Con la sentenza in epigrafe è stato respinto il ricorso proposto dalla Ecologia *** s.r.l., in proprio e quale mandataria in a.t.i. con *** s.r.l., per l’annullamento:
 
della determinazione del Capo Settore ecologia del Comune *** Campania n. 26 del 30.4.2004, di revoca del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, assimilati e speciali, e “con la quale”, a seguito di detta revoca, “è stata indetta trattativa privata per l’affidamento del servizio di raccolta rifiuti e spazzamento delle strade comunali”;
 
della determinazione del Capo settore suddetto n. 27 del 3.5.2004, di fissazione della gara per il giorno 18.5.2004 e di approvazione della lettera di invito;
 
ove e per quanto occorra, della comunicazione di avvio del procedimento di revoca del servizio;
 
del provvedimento del 7.4.2004, prot. n. 4166, Area 1bis, del Prefetto di Napoli, con cui sono state rese all’Amministrazione aggiudicataria informazioni positive, ex art. 4 del D. Leg. vo n. 490 del 1994 ed art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998, sulla sussistenza di elementi relativi a “tentativi di infiltrazioni mafiose” diretti a condizionare le scelte e gli indirizzi societari;
 
ove e per quanto occorra, della Circolare del Ministero dell’Interno n. 559 del 18.12.1998, se intesa a consentire ai Prefetti di dare informazioni positive ex art. 4 del D. Leg.vo n. 490 del 1994 al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998;
 
degli atti presupposti, collegati, connessi e consequenziali;
 
nonché, a seguito di motivi aggiunti
 
del decreto del Prefetto della Provincia di Napoli prot. n. 1/4166/VI Sett./Gab dell’11.10.2002, di costituzione di una Commissione interforza per gli accertamenti finalizzati ad individuare gli effettivi titolari, tra l’altro, della società Ecologia *** e la sussistenza di elementi di tentativi di infiltrazione mafiosa;
 
della relazione finale della Commissione interforza protocollata presso la Prefettura di Napoli il 2.4.2004;
 
del verbale del Gruppo Ispettivo Antimafia (G.I.A.) del 6.4.2004;
 
delle informative della Regione Carabinieri Campania – Comando Provinciale di Napoli del 25.3.2002, del 17.6.2002 e del 4.10.2002;
 
della nota dell’Ufficio Territoriale di Governo di Napoli del 4.5.2004;
 
della relazione dell’Ufficio Territoriale di Governo di Napoli prot. n. 219/AREA VI/Leg./Ant del 24.5.2004;
 
del decreto del Prefetto di Napoli prot. n. 4166/Area 1/bis del 7.4.2004, di informazioni positive sulla sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose a carico della società Ecologia *** s.r.l., in particolare della nota di trasmissione prot. n. 4166/Area 1 bis del 4.5.2004.
 
Il TAR ha ritenuto non fondate le articolate censure di difetto di motivazione e di presupposti nonché di violazione di legge (art. 3 della L. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 4 del D. Leg. vo n. 490 del 1994, art. 10 del D.P.R. n. 252 del 1998 e artt. 24, 41 e 113 della Costituzione).
 
La Ecologia *** s.r.l. ha proposto appello chiedendo la riforma della decisione, previa sospensione dell’efficacia.
 
Il Ministero dell’interno e il Comune *** Campania si sono costituiti in giudizio per resistere al gravame.
 
Con ordinanze n. 28 ottobre 2005 n. 5252 e 7 febbraio 2006 n. 599 sono state accolte le domande cautelari proposte a seguito della pubblicazione del dispositivo e della motivazione della sentenza di primo grado.
 
Alla pubblica udienza del 28 febbraio 2006 la causa veniva trattenuta in decisione e in pari data è stato pubblicato il dispositivo di accoglimento dell’appello.
 
DIRITTO
 
1. Come emerge dal cenno dei fatti, l’Impresa Ecologia *** s.r.l., titolare dal 1986 del servizio di raccolta differenziata dei rifiuti urbani, assimilati e speciali nel Comune *** Campania, ha impugnato in primo grado tutti gli atti del procedimento conclusosi con la revoca dell’appalto, nonché i connessi e conseguenti provvedimenti comunali di indizione di una trattativa privata per l’affidamento del servizio ad altra impresa.
 
La revoca è stato adottata in applicazione del provvedimento del 7 aprile 2004 n. 4166 con il quale il Prefetto di Napoli, a norma degli artt. 4 del d.lgs. n. 490 del 1004 e 10 del d.P.R. n. 252 del 1998, ha reso informativa positiva in merito alla sussistenza di tentativi di infiltrazioni mafiose diretti a condizionare le scelte e gli indirizzi societari.
 
La contestazione svolta in sede di appello, attraverso la critica delle proposizioni con le quali primi giudici hanno respinto il gravame originario, investe sia il provvedimento comunale di revoca, sia, e soprattutto, l’atto presupposto, costituito dalla informativa resa dal Prefetto di Napoli.
 
2. Il vizio di difetto di motivazione addebitato all’atto comunale di revoca del servizio non sussiste.
 
Sono condivisibili le argomentazioni svolte al riguardo dai primi giudici, sulla scorta della giurisprudenza della Sezione (29 agosto 2005 n. 4408), dalla quale il Collegio non ha motivo di discostarsi.
 
La revoca o il recesso previsti dell’art. 11 del D.P.R. n. 282/98, quando gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa siano accertati successivamente alla stipula del contratto, va letta in armonia con il divieto di stipulare autorizzare o approvare i contratti e i subcontratti, previsto dall’art. 10, comma 2, del medesimo testo, e dall’art. 4 del d.lgs. n. 490 del 1994, allorché, a seguito delle verifiche disposte dal Prefetto, emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate.
 
E’ da ritenere, dunque, che, la possibilità, prevista nell’art. 11 comma 3 D.P.R. n. 252 del 1998, di non revocare l’appalto, sebbene il collegamento dell’impresa con organizzazioni malavitose sia stato accertato, sia prevista al fine di tutelare l’interesse pubblico attraverso a una valutazione di convenienza in relazione al tempo dell’esecuzione del contratto ed alla difficoltà di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene ad esecuzione ampiamente inoltrata. E’ da escludere, pertanto, che la stazione appaltante disponga della facoltà di sindacare il contenuto dell’informativa prefettizia, poiché la legge demanda a tale autorità in via esclusiva la raccolta degli elementi e la valutazione circa la sussistenza del tentativo di infiltrazione mafiosa (Cons. St., Sez. VI, 30 dicembre 2005 n. 7619).
 
3. Nei confronti del provvedimento con il quale il Prefetto di Napoli ha affermato il tentativo di infiltrazione mafiosa presso la ******à appellante si rivolgono le ulteriori censure dedotte, sintetizzabili nella prospettazione di due differenti profili di eccesso di potere.
 
Un primo ordine di argomenti concerne il difetto del presupposto per inesistenza o irrilevanza dei fatti allegati; il secondo attiene all’insufficienza dell’istruttoria e della motivazione con riguardo alla mancata considerazione di circostanze contrastanti con le conclusioni dell’informativa.
 
Ai detti mezzi di impugnazione, l’appellante premette la critica del passaggio con il quale la sentenza sembra voler circoscrivere l’ambito del sindacato giurisdizionale sulla valutazione prefettizia sull’infiltrazione mafiosa, escludendo che il giudice possa spingersi a “riesaminare la valutazione in parola” (pag. 30).
 
Al riguardo il Collegio osserva che la pronuncia del primo giudice, con riferimento al profilo in questione, non possa essere valutata solo sulla base di singole espressioni, dovendosi invece prendere in esame la complessiva argomentazione.
 
E’ agevole constatare, allora, che la motivazione, nella sostanza, non si discosta dalla consolidata elaborazione giurisprudenziale in tema di sindacabilità dell’atto per eccesso di potere. Si veda al riguardo il passo conclusivo, dove si afferma “…il giudizio prognostico prefettizio può essere sindacato, in sede di legittimità, solo nel caso in cui i fatti accertati e posti a fondamento del giudizio si rivelino insussistenti, oppure, ancorché effettivamente sussistenti, siano stati macroscopicamente travisati nel loro valore sintomatico oppure abbiano indotto alla formulazione di ipotesi di avveramento inverosimili o alquanto improbabili.” (pag. 31).
 
E ciò è equivale a dire che, se al giudice amministrativo è normalmente precluso – salvi i casi di giurisdizione estesa al merito – il sindacato sul merito delle scelte e, quindi, sull’opportunità e convenienza dell’azione amministrativa, non è per nulla precluso il sindacato sui vizi di legittimità delle scelte discrezionali e ciò anche per quanto riguarda i vizi di legittimità sostanziale.
Nei procedimenti in considerazione, peraltro, la valutazione rimessa all’autorità prefettizia dalla normativa di riferimento, per la specifica natura del giudizio formulato, è connotata dall’utilizzo di peculiari cognizioni di tecnica investigativa e poliziesca, che esclude sì per molti versi la possibilità per il giudice amministrativo di svolgere un sindacato pieno e assoluto sugli ésiti della stessa, ma non impedisce ad esso di rilevare se fatti riferiti dal Prefetto configurino o meno la fattispecie prevista dalla norma e di formulare un giudizio di logicità e congruità con riguardo sia alle informazioni assunte, sia alle valutazioni che il Prefetto ne abbia tratto (Cons. St. Sez. IV, 4 maggio 2004 n. 2783).
 
La sentenza quindi, per tale aspetto, risulta esente da errori i giudizio.
 
4. A dimostrazione della infondatezza delle censure mosse ai provvedimenti impugnati, la sentenza enumera una serie di fatti desumibili dagli accertamenti compiuti dal gruppo investigativo interforze, nominato con decreto 11 ottobre 2002, sui quali si è basato, oltre il parere favorevole del Gruppo Ispettivo Antimafia del 6 aprile 2004, l’informativa prefettizia di infiltrazione mafiosa.
 
Si tratta in particolare:
 
A) dell’ordinanza 14 maggio 1999 del Tribunale di Napoli – Sezione del Giudice per le Indagini Preliminari – Ufficio XII nei confronti del socio *** Pasquale (indagato di concorso in abuso di ufficio – art. 81 cpv., 110, 323 C.P.) in base alla considerazione che “anche a distanza di tempo dai fatti contestati è la preoccupante contiguità del *** con pericolosi ambienti camorristici. Il punto è ben sottolineato dal P.M. nella sua richiesta che qui nuovamente si riporta: " Non si è trattato, come si è visto, di azioni isolate, inquadrandosi le minacce subite da *** ed i controlli non documentati operati presso l’impianto di ***, in un più vasto disegno di consolidamento della posizione monopolistica nel settore del trattamento dei rifiuti di ***. Non va dimenticato che quest’ultimo venne indicato dal collaboratore di giustizia *** Nunzio nell’ambito del procedimento a carico dell’ex assessore provinciale *** *** Raffaele ed altri – come partecipe del sistema di illecita gestione degli impianti di smaltimento dei rifiuti in Campania. Non essendo stati acquisiti riscontri, la posizione di *** venne archiviata da codesto Giudice: ma le documentate cointeressenze societarie con *** ******** (anch’egli inquisito e destinatario di provvedimento coercitivo in quello stesso procedimento) costituiscono senz’altro un elemento ulteriore di conferma della posizione dominante di *** nel settore, consolidata anche attraverso gli abnormi collegamenti con personale degli organi di controllo ( si pensi alla copia della delibera in favore di *** rinvenuta presso gli impianti di ***).”
 
B) addebiti ambientali a carico di *** Pasquale, Santo e ****** per varie violazioni delle normative in tema di trattamento di rifiuti;
 
C) la circostanza che circa un terzo dei dipendenti dell’Impresa *** è stato denunciato o condannato per reati di furto, lesioni personali, falso, abusiva detenzione di armi e reati contro la tutela delle acque e dell’ambiente e altri reati tipici della criminalità organizzata;
 
D) la formazione di fondi occulti attraverso la omessa fatturazione di prestazioni di servizio;
 
E) atti di polizia giudiziaria e notizie confidenziali secondo cui l’Impresa *** gravita nel clan *******;
 
F) un componente del consiglio sindacale dell’Impresa, il dr. ****** ***, svolge incarichi di fiducia in società del clan Nuvoletta, e pertanto era in condizione di influenzare le scelte operative dell’Impresa.
 
Di tutti gli addebiti suddetti la ******à appellante ha sostenuto la insussistenza o la irrilevanza come fatti predittivi della permeabilità ai tentativi di infiltrazione mafiosa. E su tali difese si tornerà tra breve.
 
5. Merita, infatti, di essere esaminata preliminarmente la censura con la quale si è dedotto che gli elementi rilevati nella relazione del gruppo interforze, e recepiti dal Prefetto, risalgono nel tempo e siano comunque anteriori al 4 febbraio 2002 allorché lo stesso Prefetto di Napoli ebbe a rilasciare la certificazione liberatoria antimafia.
 
Si osserva che, anche ammessa la facoltà dell’Amministrazione di riesaminare fatti presi in considerazione in passato con esito favorevole per l’Impresa, tale facoltà di rivalutazione non è sottratta all’obbligo di motivazione, nella specie non osservato, posto non sono state indicate nuove acquisizioni idonee a suffragare una conclusione di segno opposto.
 
Il motivo è fondato.
 
L’art. 10 comma 8 del d.P.R. n. 282 del 1998 espressamente prevede che le informazioni antimafia del prefetto, eventualmente positive, siano aggiornate, su richiesta documentata dell’interessato, ove vengano a cessare le circostanze che furono ritenute rilevanti. Se ne deve ricavare il principio che il rischio di infiltrazione deve trovare motivazione in circostanze di cui si possa apprezzare la attualità al momento della valutazione. Nella specie è invece è stata emessa una informativa sfavorevole in base a circostanze che non avevano dato luogo a rilievi in occasione delle certificazioni rilasciate nel 1997, nel 1999 e infine nel 2002, senza che siano stati addotti elementi nuovi di segno contrario.
 
Non è condivisibile, al riguardo, la argomentazione svolta nella sentenza per respingere la censura.
 
E’ vero, infatti, che il prefetto si è basato sugli esiti di una nuova indagine del gruppo interforze, la cui relazione conclusiva è stata rilasciata il 4 aprile 2004, ma il punto è che in tale relazione le circostanze indicate risalgono agli anni precedenti alla certificazione favorevole.
 
Tali elementi ben potevano essere oggetto di una diversa valutazione, ma il mutato convincimento avrebbe richiesto, in ossequio a fondamentali principi dell’ordinamento, una adeguata motivazione, che nella specie non è stata addotta.
 
Né alcun rilievo può attribuirsi al fatto, messo in rilievo nella sentenza, che uno dei soci, *** Santo, in data 7 novembre 2002, sia stato “trovato insieme a tale *************** gravato di informativa di polizia per riciclaggio e associazione a delinquere”.
 
L’appellante non ha mancato di rappresentare che il procedimento a carico dell’******** si è concluso con condanna per ricettazione, escludendosi ogni relazione con ambienti di criminalità organizzata (sentenza del Tribunale di Nola 13 novembre 2001 n. 9000). 
 
Doveva invece considerarsi che la persona cui il *** si è accompagnato è risultato estraneo al reato associativo, che, inoltre, nell’imputazione neppure si riferiva al fenomeno mafioso. A tale riguardo la Sezione ha già avuto modo di affermare che sia le misure cautelari o che dispongono il giudizio, sia le condanne non definitive, menzionate nell’art. 10, comma 7, lett. a), del d.p.r. 3 giugno 1998, n. 252, devono essere correlative alle figure di reato delle quali si fa specifica elencazione nella stessa norma, per poterne desumere situazioni che depongono per l’esistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa e che devono dar luogo, ad opera delle pubbliche amministrazioni, ai provvedimenti restrittivi delle possibilità di stipulare contratti o di acquisire determinati provvedimenti ampliativi per le imprese che ne sono toccate (11 marzo 2005 n. 1039).
 
Alla circostanza in esame dunque non poteva attribuirsi un valore indiziario giuridicamente idoneo a giustificare, alla stregua della giurisprudenza testé richiamata, la rivalutazione in senso opposto degli eventi ritenuti irrilevanti nel recente passato.
 
E la stessa valutazione di insufficienza va ribadita con riguardo al riferimento a non meglio precisati “atti di polizia giudiziaria” e “notizie confidenziali” secondo cui i fratelli *** “gravitavano nel clan *******”. Si tratta di elementi del tutto generici, anche nel dato temporale, dei quali evidentemente non è stato effettuato alcun ulteriore riscontro
 
L’esigenza che una riconsiderazione in senso negativo di fatti in precedenza ritenuti irrilevanti debba essere sorretta da nuove e consistenti acquisizioni, è stata di recente confermata dalla giurisprudenza della Sezione (29 agosto 2005 n. 4408). In tale occasione l’informativa è stata ritenuta legittima perché, in epoca successiva alla comunicazione liberatoria, i titolari dell’impresa hanno subito condanna per il delitto di cui all’art. 513 bis,(illecita concorrenza con minaccia o violenza).
 
E’ comunque pacifico che l’informativa impugnata non ha valutato in alcun modo il profilo dell’attualità del rischio di infiltrazione mafiosa, privando il provvedimento di un elemento essenziale della motivazione.
 
L’accoglimento del motivo suddetto condurrebbe di per sé all’annullamento degli atti impugnati, ma la delicatezza della materia impone di procedere all’esame degli altri mezzi di gravame.
 
6. Con riguardo ai singoli episodi e circostanze ritenute emblematiche dell’infiltrazione, l’appellante ha dedotto:
 
sub A), premesso che i fratelli *** sono incensurati e che non risultano carichi pendenti nei loro confronti come da documentazione in atti, si replica che l’ordinanza interdittiva venne annullata dal Tribunale del riesame con provvedimento del 1 luglio 1999 per insussistenza di gravi indizi di colpevolezza, e che le successive vicende giudiziarie hanno dimostrato l’innocenza del *** in ordine alle minacce subite dal *** e la infondatezza delle dichiarazioni del collaboratore di giustizia ***, mentre i procedimenti a carico dei fratelli *** ******** e ******* e *** Verdolino sono stati tutti definiti con sentenze di proscioglimento o provvedimenti di archiviazione;
 
sub B), che si tratta di illeciti di carattere amministrativo, definiti con la pubblica amministrazione comunque estranei alla normativa antimafia;
 
sub C), che tutti i dipendenti della Ecologia *** sono impiegati presso la medesima in forza del c.d. passaggio di cantiere, per cui l’appaltatore che vince la gara deve assumere i dipendenti di chi lo precedeva, sicché le pendenze penali a carico degli stessi non possono assumere alcun significato indiziario a danno dell’impresa;
 
sub D) con riguardo a pretesi fondi occulti, si precisa che il relativo procedimento per reato fiscale si è concluso con decreto di archiviazione del G.U.P. del Tribunale di Nola, perché “le fatturazioni in questione sono relative ad operazioni oggettivamente e soggettivamente esistenti”;
 
sub E) che si tratta di riferimenti generici a fonti indiziarie non precisate e non controllabili, che non consentono alcuna forma di difesa;
 
sub F) il dr. *** è un commercialista stimato, incensurato e privo di procedimenti pendenti a proprio carico, che nella società non aveva incarichi gestionali ma di semplice controllo contabile dei bilanci.
 
In ordine ai suddetti elementi, che la sentenza ha ritenuto emblematici della contiguità dell’Impresa agli ambienti della delinquenza mafiosa, l’appellante ha denunciato la contraddittorietà e il difetto di presupposti dell’argomentazione svolta dai primi giudici, nella parte in cui, mentre si dà atto, sia dell’inesistenza di pendenze penali, sia degli esiti favorevoli, per insussistenza dei fatti addebitati, dei procedimenti riguardanti i ricorrenti o le persone con le quali hanno avuto contatti, si afferma poi l’irrilevanza delle dette circostanze, perché le medesime non sarebbero state considerate nella loro individualità, ma come “coacervo” di risultanze significative, idonee a “prefigurare un eventuale futuro rischio di contiguità dell’impresa con la criminalità organizzata”. (pag. 43).
 
Nella stessa linea logica si pone la censura con la quale nessun rilievo favorevole all’Impresa è stato attribuito a circostanze incompatibili con la infiltrazione mafiosa, quali le numerose denunce avanzate dall’Impresa, l’applicazione alla stessa di un programma di vigilanza, il programma di protezione disposto in favore di *** Pasquale.
 
7. Le censure suddette si rivelano fondate.
 
Il Collegio non ignora che l’impugnata informativa prefettizia si basa sugli artt. 4 del D. Lgs. n. 490/94 e 10 del D.P.R. n. 252/98, fondati sulla peculiare esigenza di mantenere un atteggiamento intransigente contro rischi di infiltrazione mafiosa, idonei a condizionare le scelte dell’impresa oggetto di controllo, accostando alle misure di prevenzione antimafia un altro significativo strumento di contrasto della criminalità organizzata, consistente nell’esclusione dell’imprenditore, che sia sospettato di legami o condizionamento da infiltrazioni mafiose, dal mercato dei pubblici appalti e, più in generale, dalla stipula di tutti quei contratti e dalla fruizione di tutti quei benefici, che presuppongono la partecipazione di un soggetto pubblico e l’utilizzo di risorse della collettività ( Cons. Stato, VI, 24 ottobre 2000, n. 5710 ).
 
A tal fine è stata consentita dalla legge l’acquisizione di tutte le informazioni di cui le autorità di pubblica sicurezza sono in possesso al fine di effettuare, sulla base di tali risultanze, una obiettiva valutazione sulla possibilità di un eventuale utilizzo distorto dei finanziamenti pubblici destinati ad iniziative private o delle risorse pubbliche devolute al settore degli appalti pubblici (utilizzo, che la normativa di settore mira appunto ad evitare).
 
In particolare, il collegamento con la disciplina delle misure di prevenzione – che partecipano della medesima ratio di quelle in esame, intesa a combattere le associazioni mafiose con l’efficace aggressione dei loro interessi economici – testimonia del fatto che le preclusioni dettate dall’art. 4 del D.Lgs. 490/1994 costituiscono una difesa molto avanzata dell’autorità pubblica contro il fenomeno mafioso, in quanto gli istituti de quibus si basano su un accertamento di grado inferiore da quello richiesto per l’applicazione della sanzione penale.
Peraltro, il delicato equilibrio tra gli opposti interessi che fanno capo, da un lato, alla presunzione di innocenza di cui all’art. 27 Cost. ed alla libertà d’impresa costituzionalmente garantita e, dall’altro, alla efficace repressione della criminalità organizzata ed alla conseguente neutralizzazione delle imprese infiltrate dal crimine organizzato, comporta che l’interpretazione della normativa in esame debba essere improntata a necessaria cautela, soprattutto quanto all’accertamento degli eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte, che richiede l’utilizzo di concetti indeterminati e rimessi alla valutazione dell’amministrazione prefettizia.
 
Di talché, attesa l’autonomia del procedimento amministrativo rispetto a quello giurisdizionale penale, se, da un lato, nell’ambito che ne occupa, non è necessario un grado di dimostrazione probatoria analogo a quello richiesto per dimostrare l’appartenenza di un soggetto ad associazioni di tipo camorristico o mafioso, dall’altro, per evitare il travolgimento dei pilastri fondanti dell’ordinamento, quali i principi di legalità e di certezza del diritto, non possono ritenersi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, mentre occorre che siano individuati idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti operativi con le predette associazioni (Cons.St., Sez. 4 maggio 2004 n. 2783).
 
In coerenza con tali premesse sistematiche, il Collegio deve osservare che la sentenza, pur motivando la legittimità dell’informativa prefettizia con la allegazione di fatti ben determinati a carico dei soci dell’Impresa appellante (dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, procedimento penale per minacce, sospetto di fondi occulti, frequentazioni con personaggi inquisiti), non attribuisce alcun rilievo alla circostanza che gli esiti dei procedimenti penali siano stati costantemente di segno favorevole sia agli appellanti sia alle persone con le quali hanno avuto contatti. Si afferma più volte nella sentenza che i singoli episodi evidenziati “non avevano, nell’iter logico seguito dall’autorità antimafia un ruolo fondante, ma solo il ruolo di (ultroneo) elemento di validazione dell’ipotesi già formulata in base ad altri autonomi elementi”.
 
Le risultanze menzionate nella Relazione del gruppo interforze, in altri termini, secondo i primi giudici, potevano essere validamente addotte come prova del rischio di infiltrazione mafiosa anche se i successivi accertamenti giudiziari hanno dimostrato l’inconsistenza dei fatti medesimi.
 
In tal modo una denuncia di reato successivamente archiviata, o una conseguita assoluzione, possono rappresentare indizio di infiltrazione mafiosa per il solo fatto che l’imputazione ci sia stata. A proposito di **************, ad esempio, si afferma: “La circostanza invocata (assoluzione, n.d.r.) risulta ininfluente atteso che quanto dedotto non esclude che lo stesso sia stato gravato da informativa di polizia per associazione a delinquere, che rappresenta, appunto, il fattore considerato dall’autorità inquirente come <<significativo>>.”(pag. 51).
 
L’avviso non appare conforme ai fondamentali principi di legalità e di logicità della funzione amministrativa.
 
Se può ammettersi infatti che talune evenienze sfavorevoli, quali le informazioni di garanzia o le imputazioni o le dichiarazioni di collaboratori di giustizia, od altro, rivestano validi elementi presuntivi del rischio di infiltrazione mafiosa, e quindi rappresentare legittimo presupposto della relativa informazione prefettizia, anche se non sia stata ancora accertata la loro fondatezza, perché in questo, appunto, consiste lo strumento voluto dal legislatore per realizzare una difesa preventiva ed avanzata della criminalità organizzata, è però da escludere che gli stessi fatti possano essere utilizzati a dimostrazione del medesimo rischio quando ne sia dimostrata l’insussistenza.
 
In caso contrario, l’esigenza imprescindibile, costantemente ripetuta dalla giurisprudenza, anche di rango costituzionale (sent. n. 133 del 1993), che la motivazione del provvedimenti del tipo in esame debba essere sorretta da puntuali elementi di fatto, risulterebbe radicalmente disattesa.
 
Va poi aggiunto che la illegittima considerazione di “fatti” rivelatisi insussistenti, non può essere sanata, ai fini dell’obbligo di motivazione, da altre circostanze obiettivamente non contestabili, come la presenza all’interno dell’impresa, di dipendenti con significativi precedenti penali, perché nella sentenza si afferma più volte che le singole circostanze, fonti del sospetto, sono state ritenute tali in quanto parti di un unico “contesto interpretativo” (pag. 40), “che hanno significato nelle loro relazioni reciproche” (pag. 47). Ne consegue che la dimostrata invalidità delle circostanze cui è stato attribuito il maggior rilievo indiziario (v. pag. 44), come la imputazione per minacce al *** o le insinuazione del pentito ***, finisce per minare la credibilità del quadro indiziario nel suo insieme.
 
8. Egualmente fondata appare la censura con la quale si è denunciato che il provvedimento prefettizio impugnato, e con esso, la sentenza appellata, non abbiano attribuito alcun rilievo a circostanze contrastanti con il rischio di permeabilità alla infiltrazioni mafiosa.
 
L’appellante ha infatti rappresentato di aver inoltrato 20 denunce alle Forze dell’Ordine per respingere tentativi di condizionamento da parte di organizzazioni criminali; che dal 2001, a seguito di azioni delittuose in danno della ******à, il Commissariato di Nola attua specifiche misure di vigilanza; che uno dei fratelli *** dal 2002 è sottoposto ad un programma di protezione da parte delle Forze dell’Ordine.
 
La sentenza ha ritenuto tali circostanze ininfluenti, ma l’avviso non appare sorretto da motivazione condivisibile.
 
Quanto alle denunce si ipotizza che l’Impresa abbia subito delle aggressioni in quanto coinvolta in una “guerra fra clan”; quindi l’elemento portato a discarico verrebbe a ritorcersi contro la stessa appellante. Ritiene il Collegio che, dopo circa due anni di indagini da parte del Gruppo interforze nei confronti dell’Impresa, l’esistenza di una guerra fra clan in cui i fratelli ***, incensurati e senza carichi pendenti, partecipino come forza attiva, avrebbe dovuto dar luogo alla emersione di fatti di ben maggiore rilevanza, piuttosto che il ricorso alla protezione delle Forze dell’Ordine.
 
Per il programma di protezione disposto a favore di ******** ***, si è pensato che lo stesso potrebbe fruirne in qualità di pentito.
 
La tesi è manifestamente erronea, perché la qualità di collaboratore di giustizia, ai sensi dell’art. 8 della legge 12 luglio 1991 n. 203, può essere assunta “dall’imputato che, dissociandosi dagli altri, si adopera ad evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori …”, ed è pacifico che il Brucino non abbia procedimenti penali a proprio carico, né ne abbia avuti in concomitanza con l’avvio del programma di protezione.
 
Le circostanze in questione, dunque, avrebbero meritato una più attenta valutazione, alla stregua della logica intrinseca che sorregge l’istituto stesso dell’accertamento relativo al rischio di infiltrazione mafiosa. E’ indiscutibile, infatti, che un fattore oggettivo di esposizione al rischio suddetto è costituito dal condizionamento ambientale, evocato anche nella nota 26 maggio 2004 del Prefetto di Napoli, che può determinare episodi di fragilità dell’impresa attiva in un ambito attraversato dalla criminalità organizzata, ma l’oggetto principale dell’indagine volta all’accertamento del pericolo rimane il modo d’essere dell’impresa e delle persone che ne costituiscono l’elemento umano. Pertanto, una valutazione positiva sulla sussistenza del rischio non può ignorare la concreta condotta delle singole imprese al fine di verificarne la propensione alla compromissione, e quindi la permeabilità all’infiltrazione. Ne consegue che l’attenzione dell’Amministrazione deve essere rivolta, più che ai tentativi di infiltrazione posti in essere da soggetti terzi, alla capacità che l’impresa considerata abbia dimostrato di non assecondarli e di opporsi alla pressione ambientale.
 
E’ avviso del Collegio che le numerose denunce sporte, le attività di specifica vigilanza disposte in favore dell’Impresa, il programma di protezione di cui gode uno dei soci, siano elementi che avrebbero dovuto essere presi in considerazione e valutati positivamente, in sede di valutazione del quadro complessivo degli elementi a disposizione. Tale valutazione non è stata compiuta, con conseguente illegittimità dell’informativa impugnata.
 
E’ da concludere quindi che anche per tale aspetto la sentenza meriti di essere riformata.
 
Attesa la soccombenza dell’Amministrazione dell’interno le pese del giudizio vanno poste a carico della medesima nella misura indicata in dispositivo, mentre possono essere compensate quanto al Comune *** Campania.
 
P.Q.M.
 
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta,   accoglie l’appello in epigrafe, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, annulla i provvedimenti impugnati;
 
condanna il Ministero dell’interno al pagamento in favore dell’ Ecologia *** s.r.l. delle spese del presente grado di giudizio, e ne liquida l’importo in Euro 5.000,00; spese compensate quanto al Comune *** Campania;
 
ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
 
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 28 febbraio 2006
DEPOSITATA IN SEGRETERIA – 27 giugno 2006
 
 

Lazzini Sonia

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