Effettivita’ della tutela nella procedura cautelare di denuncia di danno temuto ex art. 1172 cod. civ. – Commento a ord. Trib. Trieste 3 agosto 2004 e ord. reclamo del Collegio del 1° settembre 2004

Redazione 21/09/04
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di Avv. Matteo di Bari

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1. PREMESSE – INQUADRAMENTO NORMATIVO

L’ordinanza in commento costituisce una valida occasione per formulare alcune osservazioni in merito all’istituto della denuncia di danno temuto ex art. 1172 cod. civ. e, in particolare, sull’effettiva utilità di siffatto strumento di tutela.

La denuncia di danno temuto, benché prevista nel codice civile, a tutela della proprietà e dei diritti reali, è uno strumento cautelare a tutti gli effetti.

E, pertanto, la disciplina civilistica va letta in combinato con quella processuale cautelare, speciale – art. 688 c.p.c. – e generale – artt. 669 c.p.c.-.

La disciplina della denuncia di danno temuto prevede (art. 1172 cod.civ.) che “il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, il quale ha ragione di temere che da qualsiasi edificio, albero o altra cosa sovrasti pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del suo diritto o del suo possesso, può denunziare il fatto all’autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare il pericolo. L’autorità giudiziaria, qualora ne sia il caso, dispone idonea garanzia per i danni eventuali”.

La lettera della norma sembra congegnare uno strumento di pronta e sicura efficacia: il proprietario, o altro legittimato per legge, che ritenga la propria proprietà in pericolo di un danno grave e prossimo, può rivolgersi al giudice, per averne in qualche modo tutela, laddove, ovviamente, egli stesso non sia riuscito altrimenti a rimuovere il pericolo.

Il caso in questione è certamente un’utile occasione per riflettere sull’utilità concreta di siffatti mezzi processuali.

Spesso, infatti, gli istituti invecchiano e può arrivare il momento di sostituirli con altri più efficaci (si pensi alle riforme recenti del diritto societario, delle diritto tributario, ecc.).

2. IL CASO DI SPECIE

L’ordinanza in questione è stata pronunciata a conclusione della procedura cautelare iniziata dal ricorrente, con ricorso datato 21 aprile e notificato all’estero, in Slovenia (perché uno dei convenuti è cittadina slovena, residente in Slovenia).

Il ricorrente adduceva a giustificazione del ricorso l’assoluta inerzia dei convenuti, i quali, più volte richiesti, verbalmente e per iscritto, non avevano mai intrapreso i lavori di messa in sicurezza.

A provare la fondatezza dell’istanza, il ricorrente produceva i verbali di intervento della Polizia Municipale locale nonché i verbali di intervento dei Vigili del fuoco. In questi ultimi, in particolare, si leggeva espressamente che il crollo era da addebitarsi, oltre alle avverse condizioni meteo ed alla intensa pioggia, anche e soprattutto alla scarsa o nulla manutenzione del muro di contenimento della proprietà sovrastante.

Il giudice, pur richiesto, riteneva di non ascoltare i Vigili del fuoco sull’argomento e di nominare, invece, un perito. Questi, però, pur riconoscendo il pericolo grave, non aveva alcuna considerazione di dette risultanze, come si evinceva dalla perizia tecnica redatta che taceva in modo assoluto sul punto.

La particolarità della pronuncia risiede nel fatto che il giudice ha condannato i convenuti ad effettuare i lavori di messa in sicurezza (fin qui niente di nuovo), salvo – però – autorizzare il ricorrente, per il caso di inottemperanza dei primi, ad eseguire egli stesso i lavori, a proprie spese. E’ la seconda parte del dispositivo che merita una riflessione: contemplare nello stesso dispositivo dell’ordinanza l’ipotesi dell’inottemperanza da parte dei convenuti, se, da un lato, trova fondamento in ragioni di tutela, in concreto svuota di efficacia il provvedimento giudiziale, mettendo i convenuti in una condizione di semitranquillità, ben sapendo che se non vi provvedessero essi stessi, vi sarebbe parimenti obbligato pure il ricorrente.

L’ordinanza veniva perciò reclamata dal ricorrente dinanzi al Collegio. Sostanzialmente il reclamante si doleva del fatto che in sede di ordinanza fossero stati posti anche a suo carico gli oneri per le spese dell’istruttoria di primo grado e gli oneri di anticipazione delle spese per i lavori, nonostante egli non avesse avuto alcuna responsabilità del crollo.

Il reclamo veniva ritenuto infondato e perciò respinto, con ciò confermandosi, in toto, il contenuto dell’ordinanza, condannando il reclamante alle spese di giudizio.

3. CONCLUSIONI CIRCA L’UTILITA’ DELL’ISTITUTO

Ad una attenta valutazione, di carattere utilitaristico, circa l’utilità dell’esercizio della denuncia di danno temuto, in generale, risulta quanto segue: una pronuncia di condanna ad effettuare i lavori a carico dello stesso ricorrente, con onere di anticipazione delle spese e senza disposizione di garanzia di sorta, a copertura di tali spese, come pure sarebbe previsto dall’art. 1172, 2° comma, c.c., costituisce senza dubbio, oltre che una denegatio iustitiae, anche un danno concreto per il ricorrente che si trova così con la persistenza del pericolo ed in più con l’aggravio dell’onere dei lavori che, di giustizia, spetterebbero, invece, a chi ha dato causa al crollo.

Allegati al ricorso erano, oltre al verbale della polizia municipale e dei vigili del fuoco, un cd- rom contenente rilievi fotografici dei luoghi, le lettere di invito a svolgere i lavori (messe in mora) nonché una proposta di accordo transattivo in limine litis formulata dallo stesso ricorrente ai convenuti al fine di scongiurare il giudizio e rimasta del tutto disattesa. Tutto materiale rimasto ingiudicato, sul falso presupposto che l’accertamento vero compete al giudice di merito.

4. IL PRESUPPOSTO DEL PERICOLO GRAVE E PROSSIMO

Il presupposto normativo richiesto per l’esperimento dell’azione è “il pericolo di un danno grave e prossimo alla cosa che forma l’oggetto del diritto”.

Nel caso di specie il pericolo era stato accertato dai vigili del fuoco, i quali erano intervenuti in seguito ai due crolli, verificatisi a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Il secondo persino dopo la diffida dei Vigili del fuoco a carico dei convenuti ad effettuare i lavori.

Questi crolli erano scaturiti dallo sgretolamento di un muretto di contenimento, posto sul confine della proprietà sovrastante. Si legge sul verbale d’intervento e sulla scheda statistica dei Vigili del fuoco, allegati al ricorso, che il muretto sarebbe crollato per vetustà, cattivo stato di manutenzione, unitamente all’azione degli agenti atmosferici.

E lo stesso Comando dei V.V.F.F., di propria iniziativa, aveva invitato, via fax, già dopo il primo intervento, con lettera agli atti del ricorso, il nudo proprietario e l’usufruttuario del fondo sovrastante, ad eseguire i lavori di messa in sicurezza del fondo e del muretto in questione, al fine di evitare ulteriori crolli. Ed essi stessi, ad ogni buon conto, erigevano una palizzata il legno al fine di contenere l’eventuale caduta di altri massi sulla parete esterna dell’abitazione del ricorrente.

Ed anche il ricorrente, prima di promuovere l’azione giudiziaria, per proprio conto, invitava i convenuti ad eseguire i lavori. Nonostante l’invito dei V.V.F.F. e quelli del ricorrente, seguivano solo trattative inutili tra i legali che producevano soltanto l’inutile trascorrere del tempo.

Tra l’altro pure il precedente proprietario dell’immobile danneggiato, dante causa dell’attuale ricorrente, aveva a sua tempo cercato, tramite i propri legali, di ottenere dai convenuti proprietari del fondo sovrastante, prima ancora del verificarsi delle frane, lavori di manutenzione del muro in questione, senza, peraltro, ottenerne alcunché. Ed anzi la vendita rischiava di venir meno proprio per i presenti motivi, se non fosse stato per il contratto preliminare che nel frattempo era stato sottoscritto tra le parti.

Tornando agli aspetti teorici della questione, sembrerebbe che il presupposto del pericolo fosse acclarato, dopo l’intervento dei V.V.F.F. e le relative risultanze.

Ma così non era, essendo necessario per accertarlo la nomina di un consulente tecnico che, a distanza – oramai – di circa sei mesi dalle frane, riconosceva sussistente il pericolo.

5. VALORE CERTIFICATIVO DEL VERBALE D’INTERVENTO DEI V.V.F.F.

A margine della questione, nelle more della procedura, se n’è posta, dunque, un’altra. Quale sia, cioè, il valore processuale del verbale d’intervento dei Vigili del fuoco e se esso sia in grado di “acclarare” uno stato di pericolo di crollo. Che il Corpo dei vigili del fuoco sia deputato, in ragione dei suoi stessi compiti istituzionali, ad affrontare e risolvere situazioni di pericolo è fatto notorio che non meriterebbe di essere trattato. Tuttavia la revocazione in dubbio di tali circostanze impone di farlo. Ebbene sembra a chi scrive che discenda dall’ordinamento giuridico nazionale che, un Corpo deputato ad azioni di intervento per la sicurezza dei cittadini, in contesto di pericolo, abbia, una volta esercitato i propri poteri di intervento, anche potestà amministrativa certificativo- descrittiva della situazione in cui l’intervento si svolto. E, dato il carattere di pubblico ufficiale che deriva al responsabile dell’unità di intervento o al responsabile dell’ufficio da cui la pattuglia intervenuta dipende, sembrerebbe potersi attribuire al verbale d’intervento persino la qualità di atto pubblico. Sicché il suo contenuto non può essere revocato in dubbio, se non a querela di falso.

6. DURATA DELLA PROCEDURA CAUTELARE DELLA DENUNCIA DI DANNO TEMUTO

Sembra doveroso interrogarsi pure sulla durata della procedura de quo. E ciò, naturalmente, considerato che si tratta di un istituto cautelare. E considerato, pure, che, nell’ipotesi concreta, si riconosca il pericolo sussistente e, dunque, l’azione fondata, come nel caso di specie.

Ebbene, qualora il giudice riconosca il fondamento dell’azione, viene da chiedersi quanto tempo occorre che trascorra prima di una qualche pronuncia. A rigore, infatti, pendente il pericolo, sembrerebbe che la decisione debba essere la più repentina possibile. E ciò dopo che siano stati effettuati gli accertamenti minimi richiesti (legittimazione, sussistenza del pericolo, ecc.). Anche perché la legge consente di procedere addirittura inaudita altera parte. Certo è che il trascorrere di sei mesi dal momento del ricorso a quello della decisione, in questo tipo di azione, sembra contrario alla natura stesso dello strumento. Ed anche sotto questo profilo, quello della tempestività dell’intervento, l’azione cautelare di danno temuto sembra difettare di effettività di tutela.

7. EFFICACIA DEL PROVVEDIMENTO CAUTELARE – CONCLUSIONI

Ma il profilo più rilevante, ove la procedura cautelare de quo sembra carente, sembrerebbe essere quello della efficacia del provvedimento finale. Non bisogna dimenticare che si tratta di un provvedimento cautelare per sua natura provvisorio, certo. Ma si tratta di verificare quale sia il significato e la portata del disposto di cui all’art. 1172 cod. civ. ove si afferma che si “può denunziare il fatto all’autorità giudiziaria e ottenere, secondo le circostanze, che si provveda per ovviare al pericolo”. Il fine ultimo è quello di “ovviare al pericolo”. Si può dire, quindi, che la tutela sia efficace quando tale fine sia raggiunto. Nel caso di specie si condannano i convenuti ad eseguire i lavori ma, in caso di inottemperanza, si autorizza il ricorrente ad effettuarli egli stesso. Posto che il motivo che determina la denuncia di danno temuto all’autorità giudiziaria è l’incapacità di provvedervi da sé, vien da chiedersi, ancora una volta, che senso possa avere l’azione stessa.

Il ricorrente che non abbia la capacità economica, quello che non abbia capacità fisica di provvedervi per età o inabilità, si vedrebbe costretto a confidare nella buona volontà dell’avversario e, quando questa sia improbabile ad aversi, per la precedente esperienza, a rassegnarsi all’inerzia della controparte, alla persistente pendenza del pericolo, oltre alla delusione per la denegatio iustitiae.

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