Due massime sulla domanda indeterminabile

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Sul punto, si ricordi che la giurisprudenza afferma l’indeterminabilità della causa solo ove sia assolutamente impossibile la monetizzazione del petitum:

Cfr., Cass. 18 luglio 2000, n. 9451: «L’indeterminabilità del valore della causa va intesa in senso obiettivo, con esclusione dei casi in cui il giudice per ragioni contingenti non riesce a determinare il valore. Consegue che non si versa in ipotesi di causa indeterminabile quando l’oggetto della controversia, seppure di valutazione economica difficile, è comunque suscettibile di valutazione da parte del giudice in base ai criteri stabiliti dalla legge e alle risultanze degli atti» (La S.C. ha affermato il principio in un caso in cui si sosteneva l’indeterminabilità del valore con riferimento ad una domanda di risarcimento per danno biologico).

Conf., Cass., sez. lav., 26 febbraio 1983, n. 1488: «. . . deve intendersi per causa di valore indeterminabile a norma dell’art. 9, 2° comma, c. p. c., . . . quella in cui la pretesa azionata sia insuscettibile di valutazione economica, in cui, cioè, non sia possibile una conversione in denaro, mentre è di valore determinabile quella in cui le parti non abbiano precisato i limiti qualitativi e quantitativi della domanda, ma sia possibile, ancorché non agevole, la valutazione economica di essa mediante la riduzione in denaro attraverso l’esame degli atti; è, pertanto, di valore indeterminabile la causa con la quale si deduce la nullità di provvedimenti disciplinari che, coinvolgendo interessi di natura morale oltre che economica (privazione della retribuzione), non sono riconducibili a quantità certa di denaro».

 

 

Giorgio Vanacore

Avvocato in Napoli

Vanacore Giorgio

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