Dubbi di costituzionalità sui nuovi poteri di ordinanza del Sindaco in materia di sicurezza urbana e dubbi di legittimità sulle ordinanze attinenti la contrattazione delle prestazioni sessuali

Amoroso Renato 04/12/08
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Dubbi sulla costituzionalità dei poteri del Sindaco
Per poter correttamente affrontare il quesito sulla fondatezza di dubbi di costituzionalità, occorre qualche premessa di ordine sistematico.
Dall’epoca della approvazione della Costituzione repubblicana, che prevedeva la istituzione delle Regioni a statuto ordinario, ma che ancora non ne aveva visto la nascita, lo Stato è stato indicato quale organo centrale di tutela degli interessi collettivi della nazione ed ente gerarchicamente superiore agli altri enti territoriali (Regioni, Provincie, Comuni e altri).
Pertanto spettavano allo Stato tutti i poteri di legiferare ed amministrare in relazione a problemi di ordine pubblico e sicurezza, demandando agli enti locali le questioni attinenti la realizzazione in concreto delle misure idonee a raggiungere scopi di interesse pubblico in materia, ad esempio, di commercio, di istruzione, di igiene.
Tali materie ammettevano la possibilità di una differente concretizzazione locale, senza venir meno all’obiettivo di una tutela di pari livello presente indistintamente su tutto il territorio nazionale.
 
Con la riforma costituzionale del 2001 è stato introdotto il principio della “sussidiarietà”, in forza del quale lo Stato può intervenire soltanto quando gli atti degli enti territoriali non siano sufficienti a garantire il soddisfacimento degli interessi collettivi.
Il principio precedentemente in vigore era quello del “parallelismo”, ossia del pari potere di Stato e Regioni ad intervenire in materia di pubblico interesse, sia con atti legislativi che amministrativi; con la riforma dell’art. 118 della costituzione, sono stati introdotti i principi della sussidiarietà, della adeguatezza e della differenziazione.
 
Viene indicato con principio di sussidiarietà quel principio, valido sia sotto il profilo sociale che giuridico amministrativo, che prevede che l’intervento degli Enti pubblici territoriali debba essere attuato esclusivamente come sussidio (ovvero come aiuto, dal latino subsidium) nel caso in cui il cittadino o l’entità sottostante sia impossibilitata ad agire per conto proprio.
Nell’ambito dei rapporti fra Stato ed enti territoriali, il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività amministrative dovrebbero essere svolte dall’entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i comuni), e che può essere delegata ai livelli amministrativi territoriali superiori (Regioni, Province, Aree metropolitane, Comunità montane ed isolane) solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente.


Il principio di sussidiarietà può quindi essere visto sotto un duplice aspetto:
  • in senso verticale: la ripartizione gerarchica delle competenze deve essere spostata verso gli enti più prossimi al cittadino e, pertanto, più vicini ai bisogni del territorio;
  • in senso orizzontale: il cittadino, sia come singolo che attraverso i corpi intermedi, deve avere la possibilità di cooperare con le istituzioni nel definire gli interventi che incidano sulle realtà sociali a lui più prossime.
 
In senso verticale, oltre a Stato, Regioni e altri enti territoriali, va considerata anche l’Unione Europea, in quanto attraverso il Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992 l’Italia ha recepito il principio richiamato nel preambolo del Trattato:
"[…] DECISI a portare avanti il processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio della sussidiarietà."
L’Articolo 5 del Trattato CE richiama la sussidiarietà come principio regolatore dei rapporti tra Unione e stati membri:
La Comunità agisce nei limiti delle competenze che le sono conferite e degli obiettivi che le sono assegnati dal presente trattato.
Nei settori che non sono di sua esclusiva competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussidiarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell’azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario.
L’azione della Comunità non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi del presente trattato.
Tale principio è stato poi ulteriormente confermato dalla Costituzione europea.
 
Va ora considerato il concetto di “sicurezza”, sotto il profilo dell’ordinamento giuridico.
Su tale argomento si è più volte espressa la Corte Costituzionale; già con le sentenze 290/2001 e 407/2002 e successivamente con sentenze 428/2004 e 95/2005, la Corte aveva affermato il principio della riserva allo Stato della competenza in materia di ordine pubblico e sicurezza, da far coincidere con il settore delle misure inerenti la prevenzione dei reati o il mantenimento dell’ordine pubblico, con riguardo alle funzioni primariamente dirette a tutelare beni fondamentali, quali l’integrità fisica o psichica delle persone, la sicurezza dei possessi ed ogni altro bene che assume prioritaria importanza per l’esistenza stessa dell’ordinamento.
 
Anche con le pronunce del 2006 la Corte ha confermato il cosiddetto criterio teleologico, cioè della finalità da raggiungere, nell’individuare i contenuti della materia “sicurezza”, mantenendo in capo allo Stato una notevole capacità di penetrazione nella legislazione regionale che sia diretta alla prevenzione e repressione di fatti previsti e puniti come reati, nonché delle funzioni pubbliche dirette a tutelare i beni fondamentali della collettività.
Le esigenze di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica non tollerano una diversificazione di interventi su base territoriale.
Ciò si giustifica ampiamente se soltanto si consideri la esclusività della competenza legislativa statale in materia di ordinamento penale, sia in senso sostanziale, ossia la previsione di condotte da giudicarsi illecite, sia in senso processuale, cioè delle norme che disciplinano lo svolgimento del giudizio. Non sarebbe accettabile l’idea che un identico comportamento possa essere reato in una regione e non altrettanto in un’altra, o che le norme del processo possano prevedere in un luogo l’arresto e in un altro no.
Pertanto tutto quanto attiene all’ordinamento penale, ma in genere tutto quanto concerne la determinazione di una condotta illecita, deve ritenersi di esclusiva potestà della legislazione statale, non derogabile dalla legislazione locale.
 
Qualche riflessione anche sulla figura istituzionale del Sindaco; egli è capo dell’amministrazione comunale ma è anche ufficiale del Governo, cioè di un ente statale.
Il “pacchetto sicurezza”, modificando l’art. 54 del D.Lgs 267/2000, ha delineato nuove funzioni del Sindaco nella sua qualità di ufficiale del governo e nell’ambito dei servizi di competenza statale.
Si ha riprova di ciò, oltre che nel dettato letterale della norma, anche nella previsione dell’obbligo di preventiva informazione del Prefetto, che è organo del governo sul territorio, della potestà di quest’ultimo di intervenire e nella previsione di un decreto del Ministero dell’interno diretto a definire le materie oggetto della incolumità pubblica e della sicurezza urbana.
Al Sindaco sono attribuiti poteri di emanazione di provvedimenti diretti alla prevenzione e repressione di atti costituenti grave pericolo nella detta materia.
Al Sindaco già competeva il dovere di intervento con atti contingibili e urgenti, e quindi in situazioni di emergenza e con strumenti essenzialmente a durata contenuta; con la riforma viene previsto un potere ordinario di intervento, con caratteristiche di stabilità e durata nel tempo.
Tale attività, tuttavia, è collocata in una situazione gerarchica di ordine statale che vede presenti anche il Prefetto e il Ministero dell’interno, mentre nello svolgimento della sua attività di capo dell’amministrazione comunale il Sindaco è soggetto soltanto alla legge.
 
Cercando di operare una sintesi finale, che chiarisca sia i soggetti competenti che le materie nella quali essi sono chiamati ad operare, emerge che:
  • con il nuovo dettato dell’art. 118 della Costituzione la ripartizione del potere esecutivo amministrativo vede in primo luogo coinvolti i Comuni e, quindi, in successione, le provincie e gli altri enti locali, quindi le Regioni e per ultimo lo Stato;
  • allo Stato è riservato un compito sussidiario, in caso di insufficienza dell’intervento degli enti locali, e secondo principi di adeguatezza e ragionevolezza;
  • i casi di legittimità dell’intervento statale sono limitati a:
a)      mancato rispetto di norme e trattati internazionali e della normativa comunitaria
b)      pericolo grave per la incolumità e la sicurezza pubblica
c)      tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili.
 
Tutti gli enti territoriali sono quindi competenti a provvedere in via generale, con la suddivisione esclusivamente per livello di interesse territoriale; va comunque salvaguardata una ragionevole ed adeguata uniformità di intervento in relazione agli scopi collettivi.
 
I dubbi di costituzionalità della nuova normativa statale riguardano quindi:
  • da un lato, l’art. 54 del D.Lgs 267/2000 in contrasto con l’art. 118 della costituzione, in quanto, violando il principio di sussidiarietà, attribuisce competenze di interesse locale ad un organo ufficiale dello Stato, soggetto a controllo e verifica di altri organi statali gerarchicamente superiori.
  • dall’altro lato, perché attribuirebbe al Sindaco il potere di incidere effettivamente con propri provvedimenti sull’ordinamento penale, e in genere dell’illecito, attraverso la previsione astratta e la repressione di condotte ritenute illecite.
Lasciatemi dire, in conclusione, che prima del difficile esame dei quesiti di incostituzionalità, emerge chiara una grande confusione istituzionale del legislatore ordinario che, nella ambizione di dare risposte energiche al bisogno di sicurezza, ha trascurato perfino la struttura giuridico amministrativa più recente dello Stato.
 
* * *
 
Dubbi di legittimità sulle ordinanze attinenti la contrattazione delle prestazioni sessuali
L’esame delle prime ordinanze sindacali emesse in materia induce ad alcuni rilievi sistematici.
1)      viene istituita una nuova figura di illecito, consistente nella violazione del divieto alla contrattazione in materia di prestazioni sessuali, in luogo pubblico. In altre parole con ordinanza del Sindaco, quale organo di governo, viene istituito un divieto, prima non esistente, che incide in modo significativo sulla autonomia negoziale individuale.
2)      È immediatamente necessario rilevare una violazione della riserva di legge, cioè del principio fondamentale dell’ordinamento che riserva al legislatore ordinario il potere esclusivo di determinare nuove forme di divieto o di condotte illecite. Non rileva la distinzione fra illecito civile, penale o amministrativo.
3)      Il governo, e i suoi organi, non hanno il potere di stabilire nuove forme di divieto generalizzato, né di illecito che potenzialmente possa riguardare tutti i cittadini. Ogni atto di proposizione del governo, infatti, deve comunque essere approvato dal Parlamento, legislatore ordinario. In nessuna delle fasi della formazione di nuove leggi il Sindaco è organo protagonista di alcunché.
4)      L’ordinamento conosce l’istituto della nullità del contratto per illiceità dell’oggetto, che è questione del tutto differente. Nel caso in esame si istituisce un divieto di contrattare, che appare una figura del tutto nuova.
5)      In particolare tale divieto viene a sussistere a talune condizioni:
a)                 che la contrattazione abbia ad oggetto la prestazione sessuale;
b)                 che la contrattazione si svolga in luogo pubblico o aperto al pubblico;
c)                  che la contrattazione avvenga in condizione di mutuo consenso, altrimenti si verificherebbe la fattispecie della violenza, reato perseguibile d’ufficio.
6)      Viene subito da osservare che, per contrasto, la medesima contrattazione resta del tutto lecita se svolta, con il medesimo oggetto, in ambito non pubblico o non aperto al pubblico. Il limite della autonomia negoziale individuale sarebbe quindi individuato nel luogo della contrattazione, con una novità assoluta di ordine giuridico.
7)      Inoltre è possibile che un Sindaco ritenga illecita la detta contrattazione in luogo pubblico e il Sindaco della città vicina non adotti analogo provvedimento. La diversità di comportamento da un luogo all’altro, in materia di sicurezza urbana, viola palesemente il principio di ragionevolezza e realizza una palese disparità di trattamento fra cittadini, senza un motivo oggettivo di giustificazione.
 
La previsione di un divieto di contrattazione, con la specificazione dell’oggetto sessuale, conducono alla conclusione che l’oggetto del divieto è la disponibilità della propria sessualità.
Ciò urta drammaticamente con l’affermazione della Corte Costituzionale di cui alla fondamentale sentenza 18 dicembre 1987 n.561: "Essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto, che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l’art. 2 Cost. impone di garantire".
 
Ad ulteriore chiarimento di quanto sopra esposto va rilevato che nelle premesse delle ordinanze fin qui note si legge che la giustificazione del provvedimento risiede in:
 
Tutela della vivibilità dell’ambiente
Viene da osservare che appartengono a tale categoria anche la tutela del verde, la disciplina dei parcheggi, dei locali notturni e delle immissioni di rumori, i servizi pubblici di trasporto, l’assistenza ad anziani e disabili. Ma su tali materie non si adotta alcuna ordinanza sindacale quale organo del governo, ma si interviene in forma di servizio, e non di repressione, e con atti dell’amministrazione locale. Sussiste quindi un vizio di eccesso di potere per errore sui presupposti e sviamento di potere, in quanto sussiste divergenza fra la funzione tipica dell’atto e la specifica destinazione, così come esplicitata nell’ordinanza.
 
Pubblica decenza
Questo sembra essere il vero obiettivo; se così fosse occorrerebbe intervenire con norma di carattere nazionale, ripristinando i vecchi concetti di buon costume e di pubblica moralità e le norme del TU di pubblica sicurezza. Vi è quindi un vizio di eccesso di potere sotto il profilo dello strumento di legge inadeguato o non proprio (come già visto al punto che precede), unito al difetto di competenza del Sindaco per provvedimenti di carattere generale, concernenti tutti i cittadini di una nazione intera.
 
Accesso ai luoghi pubblici
Tale giustificazione appare piuttosto superficiale, in presenza di barriere architettoniche, parcheggi selvaggi ed abusi edilizi. Sussiste un vizio di inconferenza dell’argomento.
Configura eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica l’agire dell’amministrazione che ha adottato il divieto di contrattazione con il solo (e dichiarato) scopo di risolvere i problemi di ordine pubblico, sorreggendo la decisione anche con generici problemi di viabilità, utilizzando in tal modo uno strumento, che incide sulla generalità dei cittadini e non sui soli autori dei comportamenti illeciti da reprimere, diverso da quelli naturali di risoluzione di questioni di ordine pubblico.
 
Esibizione di nudità
Vale quanto già detto in precedenza sulla pubblica decenza; peraltro va altresì osservato che il presupposto del provvedimento dovrebbe essere quello del divieto di esibire nudità, che tuttavia non viene affermato. La violazione del divieto non espresso causerebbe la violazione del diritto del singolo cittadino alla sua tranquillità. Ma detta lesione non è occasionale, in quanto occorre che il singolo si rechi in quei particolari luoghi per venire investito delle nudità altrui. Non si giustifica la repressione di una simile occasione dinanzi alla analoga e ben più grave lesione imposta dalla televisione, (che entra prepotentemente nelle case di milioni di famiglie e senza preventivo consenso), dalle riviste, dagli spettacoli cinematografici.
 
Tutela minori
Tale esigenza non è direttamente tutelata dall’ordinanza e sembra il solito alibi; si trascura la potenza invasiva del mezzo televisivo, che propugna violenza gratuita molto più pericolosa.
 
Azione di contrasto allo sfruttamento
Tale azione è già in essere con normativa di carattere internazionale e non prevede alcun intervento normativo del Sindaco.
 
Percezione di difetto di sicurezza da parte della popolazione
Le ordinanze esprimono una presunta verità oggettiva che si fonda, in realtà, su basi soggettive ed emotive; tali emozioni sono influenzate per lo più da casi di cronaca o momenti storici transitori. Oltre che da esigenze di propaganda, tali provvedimenti si arrogano la prerogativa di interpretazione autentica ed oggettiva di un sentimento popolare. Tali elementi non costituiscono fonti di diritto del nostro ordinamento.
 
In sintesi, la illegittimità dell’ordinanza sindacale ([i])  in tema deriva da:
  • illegittimità ratione materiae della norma statale dalla quale derivano i poteri del Sindaco;
  • violazione della riserva di legge per l’istituzione di nuovi illeciti, con conseguente vizio di competenza del Sindaco;
  • eccesso di potere, sotto il profilo della irragionevolezza, nel qualificare lecita o illecita una medesima attività negoziale a seconda del luogo, pubblico o privato, nel quale si svolge;
  • eccesso di potere, sotto il profilo dello sviamento, per adottare misure dirette in concreto, ma in modo non esplicito, a ripristinare illeciti attinenti al buon costume attraverso strumenti destinati ad usi e destinazioni diverse.
  • eccesso di potere per errore sui presupposti e sviamento di potere, per l’adozione di strumenti repressivi in un ambito destinato a interventi socio-assistenziali;
  • eccesso di potere sotto il profilo dello strumento di legge inadeguato o non proprio, perché utilizzato per una funzione diversa da quella tipica dell’atto. 
Disapplicabilità del provvedimento amministrativo
Rientra nel potere del giudice ordinario disapplicare l’atto amministrativo che si presenti palesemente illegittimo, anche senza giungere alla dichiarazione della sua illegittimità espressa. Il potere di dichiarare la totale illegittimità, con l’annullamento del provvedimento, appartiene soltanto alla autorità giudiziaria amministrativa e non a quella ordinaria. Quest’ultima può affermare la illegittimità del provvedimento amministrativo ai soli fini del giudizio del caso singolo, approdando alla decisione del caso concreto come se l’atto amministrativo non fosse mai esistito.
 
Cassaz civile Sentenza n. 21173 del 29/09/2006
“Nel giudizio di opposizione a sanzione amministrativa il giudice ordinario può sindacare la legittimità del provvedimento presupposto, al fine della sua eventuale disapplicazione ove lo ritenga illegittimo; tale controllo, quando venga prospettato uno sviamento di potere, può spingersi fino a verificare la rispondenza delle finalità perseguite dall’amministrazione con quelle indicate dalla legge, ma non può tradursi in una indebita ingerenza nel merito delle scelte operate dall’amministrazione, ovvero in una verifica della idoneità delle scelte compiute dall’amministrazione per perseguire gli scopi normativamente previsti”.
 
Cassaz. Civile Sez. 2, Sentenza n. 16143 del 02/08/2005
“Con riferimento al sindacato attribuito al giudice ordinario sugli atti posti in essere dalla P.A., il provvedimento amministrativo può essere disapplicato, ai sensi dell’art. 5 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, a tutela del diritto soggettivo alla prestazione dedotto in giudizio, ove risulti affetto da vizi di legittimità, restando preclusa alla giurisdizione ordinaria la sostituzione delle valutazioni dell’amministrazione mediante un sindacato non circoscritto alla legittimità. Pertanto,in tema di violazioni del codice della strada,l’errore tecnico, imputato al Ministero dei Lavori Pubblici nell’esercizio del potere di classificazione degli apparecchi elettronici di rilevazione della velocità può essere fatto valere dall’interessato solo per il tramite di un vizio di legittimità dell’atto (incompetenza, violazione di legge, eccesso di potere ), ma non domandando al giudice – eventualmente a mezzo di consulente tecnico- un sindacato di merito di tipo sostitutivo del giudizio espresso dalla P.A.”.
 
Cassaz civile Sez. Unite, Sentenza n. 116 del 09/01/2007
“Nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione avente ad oggetto l’irrogazione di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, il giudice ordinario, al quale spetta la giurisdizione, essendo in contestazione il diritto del cittadino a non essere sottoposto al pagamento di somme al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, ha il potere di sindacare incidentalmente, ai fini della disapplicazione, gli atti amministrativi posti a fondamento della pretesa sanzionatoria. Pertanto, nel caso in cui sia stata irrogata una sanzione pecuniaria per la sosta di un autoveicolo in zona a pagamento senza esposizione del tagliando attestante l’avvenuto versamento della somma dovuta, il controllo del giudice sull’ordinanza del Sindaco istitutiva del parcheggio a pagamento, se resta escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione, deve ritenersi consentito con riguardo agli eventuali vizi di legittimità del provvedimento, ivi compresa la violazione dell’obbligo, previsto dall’art. 7, comma ottavo, del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, di istituire aree di parcheggio gratuito e libero nelle immediate vicinanze di quelle in cui venga previsto il parcheggio a pagamento”.
Osserva il Collegio con la detta sentenza che il giudice ordinario non esercita un inammissibile controllo su scelte di merito dell’amministrazione, ma solo rileva eventuali vizi di legittimità dei provvedimenti amministrativi; in materia di sanzioni amministrative, pertanto, il controllo del giudice ordinario nel giudizio di opposizione avverso l’ordinanza- ingiunzione irrogativa della sanzione, resta escluso con riguardo alle valutazioni di merito attinenti all’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, ma deve ritenersi consentito con riguardo agli eventuali vizi di legittimità del provvedimento medesimo, al limitato fine della sua disapplicazione
 
Pertanto il Giudice ordinario dovrà:
  • procedere all’esame della legittimità dell’atto amministrativo solo se richiesto dalla parte e su specifica sua eccezione;
  • esaminare la sussistenza o meno di vizi di legittimità (violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere nei suoi diversi profili) ma non del merito dell’atto e delle scelte che appartengono alla discrezionalità della Pubblica Amministrazione;
  • se accerta la detta illegittimità il Giudice ordinario dovrà dichiararla con motivazione articolata ed esplicita;
  • decidere la controversia specifica escludendo dalla valutazione di fatto e diritto l’atto disapplicato;
  • qualora si verta in materia di sanzioni amministrative e la pretesa sanzionatoria si fondi in via esclusiva sull’atto amministrativo disapplicato, il ricorso proposto dalla parte sanzionata andrà accolto.
 
Per la disapplicazione dell’atto amministrativo la condizione essenziale è la eccezione proposta dal ricorrente con istanza esplicita. Non compete al Giudice ordinario porsi d’ufficio la questione della illegittimità dell’atto (assistito da una presunzione di legittimità), che deve esplicitamente essere prospettata nel ricorso e non può essere oggetto di atto integrativo nel corso del giudizio.
 
Cassaz. Civile Sez. 1, Sentenza n. 6013 del 16/04/2003
“Nel giudizio di opposizione a ordinanza ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di sanzione amministrativa, regolato dagli artt. 22 e seguenti della legge 24 novembre 1981, n. 689, è inammissibile la memoria suppletiva – o altro atto comunque denominato – con la quale il ricorrente integri i motivi di annullamento originariamente svolti nel ricorso introduttivo, o per la prima volta deduca motivi dei quali il ricorso era del tutto privo, in quanto il modello procedimentale introdotto dalla legge n. 689 del 1981 – che rappresenta una delle rare eccezioni ai principi cardine posti dagli artt. 4 e 5 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, mutuando dal processo amministrativo la natura impugnatoria su ricorso ed annullatoria di un atto amministrativo – presuppone che tutte le ragioni poste a base dell’istanza demolitoria dell’atto (causae petendi) siano racchiuse nel ricorso introduttivo, senza possibilità non solo di inoltrare un ricorso meramente interruttivo (contenente cioè il mero petitum), ma anche di integrare in corso di causa i motivi originariamente addotti; che l’amministrazione, dal canto suo, non possa dedurre, a sostegno della pretesa sanzionatoria, motivi o circostanze diverse da quelle enunciate con l’ingiunzione; che, infine, il giudice non abbia il potere, salve le ipotesi di inesistenza, di rilevare d’ufficio .ragioni di nullità del provvedimento opposto o del procedimento che l’ha preceduto, neppure sotto il profilo della disapplicazione dello stesso provvedimento”.
 
 
Renato Amoroso
Coordinatore dell’ufficio del Giudice di Pace di Monza
 
 


[i] Il vizio di eccesso di potere per sviamento, poiché postula la divergenza dell’atto alla sua funzione istituzionale, richiede l’allegazione e la sussistenza di precisi elementi di prova e non di semplici supposizioni. (TAR Calabria Sentenza   N.  01964  del  20/12/1999).
 
Sussiste illegittimità dell’atto per eccesso di potere per sviamento rispetto alla funzione tipica dell’atto stesso e per illogicità e sproporzione allorquando la scelta regolamentare del comune, esercitata ex art. 8, comma 6, della legge n. 36 del 2001, risulta obbedire ad esclusive ragioni sanitarie e ambientali, non palesando la scelta medesima alcuna ragionevolezza e comprensibilità sotto il profilo propriamente urbanistico dell’assetto del territorio. (TAR Campania Sentenza  del  04/09/2002).
 
Il provvedimento con il quale il Comune delimita all’interno del centro abitato aree pedonali e zone a traffico limitato attiene a scelte discrezionali dell’Amministrazione, sindacabili unicamente sotto i profili dell’eccesso di potere per inadeguatezza dell’istruttoria, manifesta irragionevolezza e sviamento di potere. (TAR Lazio Sentenza   N.  00069  del  15/01/1998).
 
Il vizio di eccesso di potere per sviamento è configurabile solo ove sussista divergenza fra l’atto e la sua funzione istituzionale, nel senso che l’atto è volto ad un fine diverso da quello al quale è preordinato il potere con esso esercitato. (TAR PUGLIA Sentenza   N.  00011  del  19/01/1996).
 
Di fronte all’emergere di due distinti problemi sottoposti all’amministrazione comunale, l’uno riguardante la necessità di una riorganizzazione del traffico sull’intero territorio comunale, l’altro riferito a questioni di ordine pubblico creatisi in una frazione del comune a causa degli avventori di un bar-tabacchi aperto (su conforme licenza) fino a notte tarda, il Sindaco ha emanato una serie di ordinanze di chiusura al traffico notturno dell’area rionale confusamente motivate in relazione ad entrambi i problemi sollevati. Configura eccesso di potere per sviamento dalla causa tipica l’agire dell’amministrazione che ha adottato il divieto di circolazione con il solo (e dichiarato) scopo di risolvere i problemi di ordine pubblico, sorreggendo la decisione anche con generici problemi di viabilità, utilizzando in tal modo uno strumento, che incide sulla generalità dei cittadini e non sui soli autori dei comportamenti illeciti da reprimere, diverso da quelli naturali di risoluzione di questioni di ordine pubblico. (TAR Trentino Alto Adige Sentenza   N.  00276  del  09/08/1993).

Amoroso Renato

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