Soggetti beneficiari della pensione di reversibilità
Nella visione dell’assicurazione obbligatoria per l’invalidità e la vecchiaia offerta dal r.d.l. 14 aprile 1939, n. 636, che l’ha per prima disciplinata, la pensione ai superstiti è considerata «una prestazione a tutela del rischio più grave che incombe sulla famiglia, cioè la morte, che troncando l’attività produttiva del capofamiglia, ne pone in grave difficoltà di vita i membri che hanno più bisogno di tutela e di assistenza» (relazione di accompagnamento al r.d.l. n. 636/1939).
La previsione di un trattamento previdenziale in favore dei superstiti dell’assicurato o del pensionato deceduto tende a contrastare situazioni di disagio economico conseguenti al venire meno del reddito o di una fonte di sostentamento del nucleo familiare e quindi, a fronte dell’evento «morte», dal quale si suppone derivi una situazione di bisogno per i familiari superstiti. L’ordinamento predispone una tutela previdenziale destinata esclusivamente a coloro che vivevano a carico del lavoratore e che, dunque, in qualità di soggetti protetti beneficiari dell’assicurazione, acquistano il diritto alla pensione iure proprio, nonostante il presupposto per il godimento della prestazione stessa e la sua misura siano da rinvenire nella titolarità del diritto alla pensione diretta da parte del de cuius al momento della morte.
I titolari del diritto alla pensione ai superstiti, sia essa la c.d. pensione di reversibilità (nel caso in cui il dante causa fosse già titolare di pensione di vecchiaia, anzianità, invalidità o inabilità alla data del decesso) o la c.d. pensione indiretta (ove il lavoratore al momento della morte avesse solo maturato i requisiti assicurativi e contributivi previsti dalla legge per la prestazione pensionistica di riferimento) o ancora la c.d. pensione supplementare (quando la pensione ai superstiti sia a carico di una forma previdenziale obbligatoria diversa dall’assicurazione generale obbligatoria facente capo all’Inps) sono sempre il coniuge e i figli, in mancanza, i genitori ultra sessantacinquenni e in caso di assenza anche di questi ultimi, i fratelli celibi e le sorelle nubili inabili. A tali categorie sono state nel tempo affiancate, in via giurisprudenziale, i nipoti minori, anche se non formalmente affidati, dei quali risulti provata la vivenza a carico degli ascendenti, nonché, ex lege, i soggetti uniti civilmente.
Convivenza di fatto, irrilevante per l’assegno di reversibilità
Del tutto irrilevante è la convivenza di fatto, considerata del tutto insufficiente a giustificare l’attribuzione patrimoniale ai superstiti: sembra optare in questo senso l’art. 9, l. n. 898/1970, secondo cui il diritto alla pensione di reversibilità spetta all’ex coniuge solo «se non passato a nuove nozze», laddove l’inesistenza di un nuovo vincolo matrimoniale viene intesa in senso formale e quindi non comprensivo del rapporto di convivenza, neanche se connotato dal carattere della stabilità.
Il secondo comma dell’art. 9 della legge n. 898 del 1970, come modificato con le leggi n. 436/1978 e n. 74/1987, prevede che «in caso di morte dell’ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non è passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza».
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Reversibilità e titolarità dell’assegno di divorzio
Come è stato evidenziato in dottrina, la norma ha fin da subito dato luogo a contrasti interpretativi, in particolar modo relativamente alla titolarità dell’assegno di divorzio.
La giurisprudenza (ma anche la dottrina) si è divisa tra chi ha optato per la titolarità concreta dell’assegno, vale a dire l’effettivo riconoscimento giudiziale di un assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge del pensionato, e chi ha optato per ritenere sufficiente anche soltanto la titolarità astratta (vale a dire il diritto di percepire tale assegno, che concretamente però non viene attribuito in quanto magari l’ex coniuge versa in condizioni economiche precarie).
Riassumendo:
Le percentuali del trattamento di reversibilità (pensione di reversibilità e pensione indiretta) sulla pensione o sul trattamento economico goduto sono le seguenti:
- solo il coniuge 60%
- coniuge con 1 figlio 80%
- coniuge con 2 o più figli 100%
- solo 1 figlio 70%
- 2 figli 80%
- 3 o più figli 100%
- solo 1 genitore 15%
- 2 genitori 30%.
La pensione decorre dal mese successivo alla morte dell’assicurato o del pensionato, indipendentemente dalla data di presentazione della domanda.
La pensione di reversibilità dura a vita e si cumula (salvo quanto si dirà sui limiti di reddito introdotti con la legge n. 335/1995) con quelle che il coniuge superstite percepiva in precedenza o delle quali ha maturato i diritti.
Dal 1° gennaio 1996 – con la legge n. 335/1995 – sono stati introdotte alcune limitazioni: l’importo della pensione ai superstiti è condizionato dalla situazione economica del titolare.
I trattamenti pensionistici sono cumulabili con i redditi del beneficiario nei limiti fissati dalla tabella F allegata alla legge n. 335.
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