Disegno di legge n. 2420, d’iniziativa del senatore Bergamo, comunicato alla Presidenza il 17 luglio 2003 ed intitolato “Tutela delle pratiche di mobbing”

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Art. 1 Definizioni.
1. Per «mobbing» si intende una situazione in cui la persona viene sistematicamente maltrattata moralmente o comunque vessata in circostanze legate al lavoro, con la conseguenza di un’esplicita o implicita minaccia alla sua sicurezza, alla sua salute e al suo patrimonio professionale.
2. Per «bossing» si intende un’azione vessatoria ovvero rientrante nel mobbing utilizzata quale strumento attuativo di una politica di riorganizzazione aziendale finalizzata alla riduzione del personale o all’esclusione dei lavoratori considerati in esubero.
3. Per «salute» si intende lo stato di completo benessere fisico, mentale e sociale della persona.
4. Per «professionalità» si intende l’intero patrimonio professionale acquisito dal lavoratore, ivi comprese le aspettative di promozione e di carriera attraverso l’attitudine all’esercizio delle mansioni svolte e le sue diverse capacità di inserimento nel mondo del lavoro.
 
Art. 2 Norme generali.
1. I lavoratori non devono essere esposti a molestie o ad altri comportamenti comunque sconvenienti e lesivi della dignità, della immagine, della esperienza professionale acquisita e, in generale, della personalità e del benessere fisico, psichico e sociale.
2. È espressamente garantito al lavoratore il diritto all’occupazione effettiva nelle mansioni per le quali è stato assunto ovvero in mansioni a queste equivalenti e il datore di lavoro è tenuto a vigilare in ordine all’esercizio dei compiti o delle mansioni affidate.
3. Nessun lavoratore deve subire atti ripetuti di molestia morale o altre aggressioni che abbiano per oggetto o per effetto un degrado delle condizioni di lavoro e che siano suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale.
4. Nessun lavoratore può essere sanzionato, licenziato o essere oggetto di misure discriminatorie, dirette o indirette, in particolare modo in materia di remunerazione, di formazione, di qualificazione, di promozione professionale, di mutamento o rinnovazione del contratto, per aver subito, o rifiutato di subire, i comportamenti di cui al comma 3 o per aver testimoniato su tali comportamenti o averli riferiti.
5. Le condizioni di lavoro vanno predisposte in modo da fornire ai lavoratori un’opportunità ragionevole per sviluppare la propria professionalità attraverso il lavoro.
6. I lavoratori hanno diritto ad essere trattati con dignità e cortesia tanto dai superiori come dai loro colleghi e collaboratori, i quali hanno l’obbligo di astenersi da ogni comportamento verbale o non verbale che potrebbe compromettere questa dignità o comunque ledere la serenità dell’ambiente lavorativo.
7. Il datore di lavoro ha l’obbligo di assicurare un ambiente di lavoro che non esponga i lavoratori a sforzi psicologici di entità tali da influire negativamente sul rendimento e sullo statodi salute degli stessi.
8. La tecnologia, l’organizzazione del lavoro, gli orari di lavoro e i sistemi retributivi devono essere predisposti in modo da non esporre i lavoratori a gravosi sforzi fisici o psichici, o da limitare la loro possibilità di prestare attenzione e di osservare le norme di sicurezza. Vanno messi a disposizione dei lavoratori gli ausili necessari per prevenire i suddetti sforzi
9. Al datore di lavoro è fatto obbligo di garantire l’integrazione sociale dei propri dipendenti nei luoghi di lavoro.
 
Art. 3. Attività di prevenzione.
1. E’ fatto obbligo ai datori di lavoro di attenersi nell’organizzazione dell’attività lavorativa ai seguenti princìpi:
a) il datore di lavoro è tenuto a pianificare ed organizzare il lavoro in modo da prevenire, per quanto possibile, ogni forma di vessazione o di violenza morale o psichica nei luoghi di lavoro;
b) il datore di lavoro deve informare i lavoratori, con mezzi adeguati ed inequivocabili, che queste forme di persecuzione non possono essere assolutamente tollerate nel corso dell’attività lavorativa e nel contempo adottare e pubblicizzare nei modi e nelle forme più opportune un codice comportamentale interno per la gestione delle relazioni sociali sul luogo di lavoro;
c) in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e con il medico competente, previa consultazione del rappresentante per la sicurezza, il datore di lavoro è tenuto a prevedere procedure idonee ad individuare immediatamente i sintomi di condizioni di lavoro persecutorie o vessatorie, l’esistenza di problemi inerenti all’organizzazione del lavoro o eventuali carenze per quanto riguarda la cooperazione fra i dipendenti durante l’attività lavorativa;
d) qualora, nonostante l’attività preventiva, si verifichino ugualmente fenomeni di mobbing, dovranno essere adottate immediatamente efficaci contromisure volte anche ad individuare le eventuali carenze organizzative causa dell’insorgere del fenomeno;
e) per i fini di cui alla lettera d) è concesso al datore di lavoro, nell’ambito delle sue funzioni di sorveglianza, il diritto di:
1) interrogare i dipendenti, anche attraverso questionari anonimi, sui comportamenti adottati sui luoghi di lavoro e in generale su ogni elemento che potrebbe avere attinenza con eventuali fenomeni di mobbing nell’ambiente di lavoro;
2) effettuare inchieste all’interno del luogo di lavoro al fine di accertare la fondatezza delle accuse esposte dal lavoratore e di far prendere coscienza ai vertici aziendali delle responsabilità che essi hanno in queste situazioni;
f) il datore di lavoro dovrà, infine, provvedere a fornire forme di aiuto specifico ed immediato per le vittime del mobbing, anche avvalendosi di enti, organizzazioni o comunque soggetti esterni al luogo di lavoro, esperti del settore, ritenuti capaci di mediare o risolvere il conflitto;
g) nei casi di protratti periodi di morbilità il datore di lavoro dovrà favorire il rapido reinserimento del lavoratore nel luogo di lavoro;
h) nell’ambito delle funzioni di vigilanza sul corretto svolgimento delle relazioni sociali nei luoghi di lavoro, al datore di lavoro viene attribuito il diritto di adottare le misure, anche di tipo disciplinare, che prevengano comportamenti vessatori ai danni dei lavoratori.
2. E’ fatto obbligo ai lavoratori di collaborare con i colleghi, i superiori e il datore di lavoro nella risoluzione di circostanze di conflittualità inerenti il lavoro e i rapporti sociali interni al luogo di lavoro.
3. Il datore di lavoro assicura ai quadri, ai dirigenti e ai manager una formazione volta a consentire la valutazione degli effetti delle varie condizioni di lavoro sulle persone, i rischi di conflitto tra i gruppi di lavoratori, affinché essi siano dotati di strumenti idonei ad offrire un sostegno qualificato ai lavoratori in situazioni di stress e di crisi.
4. Nell’ambito delle iniziative di formazione previste dalla normativa vigente rientrano anche corsi specifici di gestione delle relazioni interpersonali, della conflittualità o del mobbing affidati a soggetti, anche esterni, accreditati come esperti del settore.
 
Art. 4 Accertamento del mobbing.
1. Nei casi in cui il lavoratore agisca giudizialmente per la tutela dei suoi diritti l’onere della prova è a carico del soggetto chiamato in causa.
2. E’ posta a carico di colui che è accusato di perpetrare una condotta di mobbing l’incombenza di dimostrare l’inesistenza della predetta condotta di mobbing o delle vessazioni lamentate, la legittimità dei comportamenti adottati e, nel caso del datore di lavoro, l’adeguatezza delle misure di prevenzione o di repressione impiegate, quando il lavoratore abbia presentato indizi sufficienti per lasciar presumere l’esistenza di una forma di mobbing ai suoi danni.
3. Si presume il mobbing fino a prova contraria in presenza di provati e ripetuti comportamenti che hanno per oggetto o per effetto di:
a) ridurre o danneggiare i contatti umani attraverso critiche e rimproveri ingiustificati, gesti ed insinuazioni con significato negativo, minacce, limitazioni delle capacità espressive e della libertà di pensiero;
b) produrre sistematicamente isolamento ed emarginazione, anche attraverso la deliberata negazione di informazioni relative al lavoro o la manipolazione delle stesse;
c) variare in senso negativo le mansioni o le responsabilità del lavoratore senza ragionevoli motivi, anche sottoponendolo a sforzo fisico o psichico ovvero negandogli permessi o opportunità formative;
d) attaccare la reputazione, l’immagine e la dignità della persona tramite calunnie, offese, abusi, espressioni maliziose, insultanti o intimidatorie, ovvero anche attraverso l’applicazione ripetuta di sanzioni disciplinari e l’utilizzo di strumenti di controllo;
e) condurre ad atti o minacce di violenza anche tramite sabotaggi o impedimenti deliberati nell’esecuzione del lavoro.
4. Il comportamento qualificato come mobbing ai sensi della presente legge, è valutato tenendo conto dei parametri fondamentali della durata, della frequenza e del tipo delle azioni aventi carattere di mobbing, della progressione della vicenda, del dislivello tra gli antagonisti nonchè delle finalità lesive dell’autore.
5. E’ riconosciuto, fino a prova contraria, al datore di lavoro il diritto di rivalsa nei confronti di colui che dovesse essere ravvisato come il diretto responsabile dei danni causati per effetto del mobbing, salvo quando:
a) la mancata cooperazione fra i dipendenti debba essere imputata ad un’inadeguata organizzazione del lavoro o ad una carenza di informazione interna e di direzione;
b) in presenza di contestazioni provenienti dal lavoratore, sintomatiche di condizioni di lavoro rientranti nel mobbing il datore di lavoro non si sia adoperato per applicare efficaci contromisure;
c) sussistano problemi organizzativi, preesistenti e insoluti.
 
Art. 5 Sanzioni.
1. Il datore di lavoro può stabilire per giusta causa l’allontanamento, la sospensione o anche il licenziamento del lavoratore che abbia compromesso il sereno svolgimento dell’attività lavorativa ripetutamente e volontariamente.
2. Fatto salvo il diritto dei lavoratori a ricorrere al datore di lavoro contro comportamenti di mobbing, la medesima misura è adottabile contro il lavoratore che ingiustamente abbia promosso accuse di mobbing, qualora queste siano ritenute infondate dall’autorità giudiziaria competente.
3. E’ nullo ogni atto di modificazione contrattuale in peius delle condizioni lavorative del dipendente (mansioni, rimunerazione, assegnazione, destinazione, trasferimenti), ogni atto di rottura del rapporto di lavoro (dimissioni o licenziamenti), così come ogni sanzione disciplinare, qualora tali eventi siano in qualche modo ricollegabili causalmente a pratiche di mobbing ai danni del lavoratore.
 
Art. 6 Tutela penale.
1. Chiunque sul luogo di lavoro rechi a taluno molestia o disturbo attraverso comportamenti di mobbing ripetuti e sistematici, aventi per oggetto o per effetto una degradazione delle condizioni di lavoro suscettibili di ledere i suoi diritti e la sua dignità, di alterare la sua salute fisica o mentale o di compromettere il suo avvenire professionale o la sua immagine, è punito con l’arresto fino a sei mesi o la multa di 15.000 euro.
2. La pena è della reclusione fino ad un anno se i fatti di cui al comma 1 sono commessi:
a) con violenza o minaccia;
b) in gruppo e con la partecipazione di più persone riunite;
c) con abuso di relazione di superiorità;
d) in connessione con altro delitto;
e) su persona in condizioni di inferiorità fisica o psichica;
f) causando la morte della persona offesa;
3. Nei casi di minore gravità, la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
4. Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.
 
Art. 7 Azioni in giudizio.
1. E’ competente per le cause in materia di mobbing il giudice del lavoro ai sensi degli articoli 409 e seguenti del codice di procedura civile.
2. Nei casi di maggiore gravità il soggetto leso può adire il giudice in via d’urgenza ai sensi dell’articolo 700 del codice di procedura civile affinchè questi, con decreto motivato ed immediatamente esecutivo ordini al datore di lavoro la cessazione degli atti, atteggiamenti o comportamenti pregiudizievoli, adottando ogni altro provvedimento idoneo a rimuoverne gli effetti e stabilendo le modalità di esecuzione della decisione. L’efficacia esecutiva del decreto non può essere revocata fino alla sentenza con cui il giudice competente definisce il giudizio instaurato a norma del comma 1.
3. Il datore di lavoro che non ottempera al decreto di cui al comma 2, o alla sentenza pronunciata nel giudizio di merito, è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale.
4. Qualora venga presentato ricorso in via d’urgenza ai sensi del presente articolo, non trovano applicazione l’articolo 410 del codice di procedura civile e l’articolo 65 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
5. Accanto all’azione giudiziaria del singolo lavoratore, che tende ad ottenere la pronuncia di inefficacia dei provvedimenti adottati e il risarcimento dei danni subiti, è prevista la facoltà per i portatori di interessi diffusi, costituiti in associazioni, di denunciare situazioni di bossing all’autorità giudiziaria competente attraverso un’azione inibitoria collettiva, di chiedere controlli all’interno dei luoghi di lavoro di presentare segnalazioni agli enti competenti, di ricorrere al giudice per l’inibizione di comportamenti di bossing o mobbing come politica aziendale.
6. Le associazioni di cui al comma 5, per poter agire in giudizio e poter chiedere controlli all’interno dei luoghi di lavoro, devono avere i seguenti requisiti:
a) avvenuta costituzione, per atto pubblico o per scrittura privata autenticata, da almeno cinque anni e possesso di uno statuto che sancisca un ordinamento a base democratica e preveda come scopo esclusivo la tutela contro il mobbing, senza fine di lucro;
b) tenuta di un elenco degli iscritti, aggiornato annualmente con l’indicazione delle quote versate direttamente all’associazione per gli scopi statutari;
c) numero di iscritti complessivo non inferiore a cinquecento, distribuiti in ambito nazionale, da certificare con dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà resa dal legale rappresentante dell’associazione con le modalità di cui all’articolo 47 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445;
d) svolgimento di un’attività continuativa nei cinque anni precedenti;
e) previsione nel proprio organico di almeno un esperto di mobbing e garanzia di consulenza legale, psicologica, medica e medico legale da parte di professionisti accreditati come esperti del settore;
f) i propri rappresentanti legali non devono aver subito condanna, passata in giudicato, in relazione all’attività dell’associazione medesima, nonchè essere titolari di alcun rapporto di lavoro subordinato con soggetti pubblici o privati, nè devono svolgere ruoli sindacali o politici.
7. E’ costituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali un elenco pubblico e nazionale delle associazioni di cui al presente articolo.
 
Art. 8 Liquidazione e riparazione del danno da mobbing.
1. Il danno da mobbing deve essere valutato con riguardo all’integrità dei suoi riflessi pregiudizievoli rispetto a tutte le attività, le situazioni e i rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita, anche con riferimento alla sfera spirituale, culturale, affettiva, sociale, sessuale e ad ogni altro ambito e modo in cui il soggetto svolge la sua personalità.
2. Il giudice liquida ogni danno in via equitativa ma tenuto conto anche della riduzione della capacità lavorativa subita.
3. La presente legge adotta come criterio comune di computo la somma minima di risarcimento pari a euro 10.000 e quella massima pari a euro 90.000.
4. La liquidazione del danno, entro i minimi ed i massimi di cui al comma 3, deve essere calcolata in relazione ai parametri elaborati, anche avvalendosi della consulenza di esperti del settore.
5. Nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, il giudice, su istanza di parte, ordina, a cura e spese del soccombente, che il provvedimento sia pubblicato, mediante inserzione per estratto, in uno o più giornali, di cui uno almeno a diffusione nazionale.

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