Diritti nascenti dall’annotazione in conto

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Diritti nascenti dall’annotazione in conto.

La frase che costituisce il titolo del presente articolo è contenuta, come ben si sa, all’interno del Decreto Milleproroghe 2011 (art. 2 c. 61 L. 10/2011).

La norma, interpretativa dell’art. 2935 c.c., recita testualmente “in ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’art. 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto legge.”

Fin dalla sua uscita, la disposizione di cui sopra ha suscitato molte polemiche.

Addirittura, la sera stessa in cui essa fu annunziata dai media comparvero, sulla rete telematica, compiuti commenti volti a metterne in risalto la irrilevanza, nonché alcune formule da usare per contrastarla sul piano costituzionale.

Successivamente, la norma è stata ampiamente dibattuta sia nei tribunali che nell’ambito dei convegni specialistici.

Attualmente, essa giace presso la Corte costituzionale ove è stata rimessa da diversi Giudici, essendo sospettata di ledere il dettato costituzionale sotto diversi profili.

Non è intenzione del sottoscritto di intervenire sulle questioni fin qui dibattute.

Però.

La sensazione ricevuta finora è che si sia molto discusso intorno alla norma e poco del suo effettivo contenuto.

In un recente convegno sull’anatocismo, con relatori molto qualificati, mi spinsi a chiedere quali fossero, precisamente, i diritti nascenti dall’annotazione in conto.

Devo dire che non fui molto sorpreso dagli sguardi imbarazzati degli studiosi convocati nel convegno.

Questo aspetto non era stato oggetto di grandi investigazioni.

Comunque sia: la disposizione contenuta nel Milleproroghe viene letta nel senso che è prescritta la ripetibilità degli interessi e oneri annotati da oltre dieci anni sul conto.

Ora, ci sono pochi dubbi circa il fatto che proprio questo fosse il senso della disposizione legislativa, nelle intenzioni dell’Estensore.

Ma non sembra affatto possibile far derivare il detto significato dal testo della norma, la quale dice altro.

Sotto l’aspetto tecnico e storico.

Senza andarne a cercare le tracce in tempi troppo antichi, il conto corrente come lo conosciamo oggi è nato nel Medio Evo.

I mercanti presero l’usanza di annotare su un foglio il risultato delle diverse operazioni poste in essere con le loro controparti, dedicando a ciascuna di esse controparti una scheda (conto).

Con la cessazione dei rapporti di affari, il conto si chiudeva.

Durante la vita del rapporto, le parti effettuavano delle operazioni (compravendite, eventuali finanziamenti, pagamenti, addebito di interessi, fitti, noli e quant’altro).

A ciascuna operazione corrispondeva una liquidazione, ovvero si calcolava il risultato finanziario della operazione stessa, risultato il quale costituiva un credito a favore di una delle parti; il credito veniva annotato nel conto.

La somma algebrica delle annotazioni dava il saldo del conto.

E’ appena il caso di notare che la scritturazione del saldo periodico non costituisce esso stesso annotazione, perché manca l’operazione sottostante.

Da quanto si è, fin qui, detto appare chiaro il significato che aveva, per i primi utilizzatori, la annotazione in conto: essa incorporava un credito, una cifra a favore dell’una parte o dell’altra.

Si trattava di un credito valido fra le parti e sottoposto solo alla ipotesi di una revisione derivante dalla diversa liquidazione della operazione sottostante.

Quando si diffonderà l’uso di depositare somme presso i primi banchieri, questi impiegheranno poco a comprendere le potenzialità del conto corrente per lo sviluppo dei propri affari.

In breve impareranno a gestire lo strumento contabile al fine di poter usare somme non proprie per finanziare la clientela.

Col che, l’economia mercantile diventerà sempre più economia bancaria e creditizia.

Tecnicamente, il conto corrente è cambiato poco nel tempo, tranne che per la forma grafica.

Quanto all’annotazione in conto, questa umile cellula meriterebbe di essere studiata più a fondo di quanto lo sia stata finora.

Infatti essa è l’origine della moneta scritturale.

Sotto l’aspetto giuridico.

Si è visto che, sotto l’aspetto della Tecnica commerciale, l’annotazione in conto ha per oggetto il diritto di credito derivante dalla liquidazione delle operazioni correnti tra le parti.

Quel che si vuole verificare, di seguito è se questo fatto trova il proprio riscontro nel testo della Legge.

Nel nostro Ordinamento, la prima norma da considerare è quella contenuta nell’art. 1823 del codice civile.

Questo recita: “Il conto corrente è il contratto col quale le parti si obbligano ad annotare in un conto i crediti derivanti da reciproche rimesse…”.

Sembra che la legge non possa essere più chiara: il predicato “annotare” è in relazione diretta col sostantivo “crediti”.

Ancora.

Il successivo art. 1824 recita: “Sono esclusi dal conto corrente i crediti che non sono suscettibili di compensazione.”

E poi: “Qualora il contratto intervenga tra imprenditori, s’intendono esclusi dal conto i crediti estranei alle rispettive imprese”.

L’art. 1827 recita: “L’inclusione di un credito nel conto corrente non esclude l’esercizio delle azioni ed eccezioni relative all’atto da cui deriva.” (Questo articolo è notevole, perché si riferisce al procedimento di liquidazione della operazione cui si è innanzi accennato)

L’art. 1828 recita: “Se il credito incluso nel conto…

L’art. 1829 recita: “Se non risulta una diversa volontà delle parti, l’inclusione nel conto di un credito verso un terzo…”

Dall’esame degli articoli di legge sopra menzionati emerge un risultato univoco.

Quello che viene annotato in conto è il diritto di credito derivante dalla operazione sottostante.

Quindi, per tornare all’oggetto della presente indagine, i diritti nascenti dalle annotazioni in conto sono i crediti stessi che si vengono a creare nel corso del rapporto.

Ciò posto, la prescrizione di cui alla L. 10/2011 non conduce al consolidamento del saldo ante decennio ma all’esatto contrario, ovvero all’azzeramento del conto.

Dato il risultato, di sicuro aberrante, la norma può solo essere disapplicata dal Giudice, indipendentemente da qualsiasi altra considerazione giuridica.

De Lauro Francesco

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