Dipendenti enti locali – revoca anticipata di incarico per sopravvenuti mutamenti organizzativi –danno biologico e danno morale connesso al danno biologico da sottrazione di incarico- danno esistenziale da sottrazione incarico- nota a decisione tribunale

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La decisione che segue esamina una interessante fattispecie di revoca anticipata di incarico a dipendente di ente locale per sopravvenuti mutamenti organizzativi ( provvedimento adottato dal sindaco- peraltro – ritenuto illegittimo per insufficiente motivazione). La domanda attorea era stata preceduta da una fase cautelare con diniego della richiesta in prime cure ed accoglimento in sede di reclamo. Di conseguenza, si insisteva per la conferma di quest’ ultima deducendo peraltro danno da mobbing, biologico ed esistenziale sotto differenti profili. Confermata la pronunzia in via cautelare emessa in sede di reclamo, il Giudice del Lavoro si sofferma sulle domande di risarcimento del danno avanzate dal ricorrente evidenziando la sussistenza nella specie del danno biologico come da risultanze della C.T.U. medico-legale che aveva stimato l’ invalidità permanente nella misura del 4% oltrechè del danno morale connesso al danno biologico, non ravvisando peraltro il danno morale direttamente connesso alla sottrazione dell’ incarico stante che l’ assegnazione non era stata adottata con modalità ingiuriose ed offensive, né l’ incarico poteva ritenersi a tal punto dequalificante da essere oggettivamente offensivo. Con riferimento al danno esistenziale, connesso al danno alla salute, viene ritenuto che allorquando il danno esistenziale consegua al danno biologico, esso deve considerarsi già in esso compreso essendo il danno esistenziale conseguente al danno biologico la sua componente dinamica. Ergo: il danno esistenziale va incorporato nella somma prevista dalle tabelle per il danno biologico. Né viene riconosciuto quale voce di danno autonoma risarcibile quella del danno esistenziale connesso alla sottrazione dell’ incarico sub specie di danno alla identità professionale non essendo sufficiente “il pericolo di depauperamento del patrimonio professionale, pericolo insito nella illegittima sottrazione di un incarico, occorrendo che tale pericolo si concretizzi comportando una effettiva dispersione del corredo di nozioni ed abilità che sostanziano l’ identità professionale”. Del pari non viene ravvisato neanche un danno morale connesso alla perdita di identità professionale.
Ciò premesso, la sentenza allegata costituisce un esempio pregevole di pronunzia risarcitoria e di condanna quantificatoria dalla quale insorge l’ obbligo per il comune convenuto in giudizio all’ inoltro di esposto erariale con onere a carico del segretario generale e/o dei revisori e/o degli organi collegiali ( consiliare o giuntale ), essendo l’ esborso da contenzioso scaturente da provvedimento sindacale.        
 
 
PROSECUZIONE DEL VERBALE D’UDIENZA DEL 15/3/2006
 
MOTIVI DELLA DECISIONE
ex art. 281 sexies cpc
 
 1.Parte ricorrente espone di essere dipendente del Comune di …… sin dall’anno 1973, attualmente inquadrato nella categoria D, posizione economica D2, con il profilo professionale di Istruttore Direttivo Tecnico.
 
 Espone altresì di avere svolto la sua attività sempre all’interno del settore Lavori pubblici, di avere ricoperto sin dal 1997 l’incarico di Capo di gabinetto del Sindaco, di avere nell’anno 2002 svolto l’incarico di funzionario addetto all’Unità Operativa di II livello Opere Pubbliche, all’interno del settore Lavori pubblici e manutenzioni.
 
 Allega che il 25.6.02 il nuovo Sindaco ha disposto la revoca dell’incarico di responsabilità della U.O. Opere Pubbliche attribuendogli la responsabilità della U.O. di II livello “Pronto Intervento”, sempre all’interno del settore Lavori pubblici e manutenzioni; che però con provvedimento del 25.6.03, il Sindaco ha revocato il precedente decreto di attribuzione del 25.6.02, assegnandolo al settore Decentramento amministrativo e nominandolo Segretario ed Agente contabile nella circoscrizione n. 5.
 
 Avverso tale atto – prosegue il ricorrente – ha proposto ricorso in via cautelare. Con ordinanza dell’11.8.2003, il Tribunale ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per mancanza del nesso di strumentalità tra domanda cautelare e domanda di merito. In accoglimento del reclamo proposto avverso tale ordinanza, il Tribunale ha disposto in via interinale la sospensione del decreto del 25.6.03 prot. n. 1841, con reintegrazione nell’incarico precedentemente ricoperto.
 
 Con il ricorso in oggetto il ricorrente agisce per ottenere la conferma dell’ordinanza del Tribunale del 12.9.2003, con cui è stato accolto il reclamo, l’accertamento dell’illegittimità del decreto del Sindaco del 25.6.03, nonché la condanna del Comune di ………….. al risarcimento dei danni subiti a causa del provvedimento illegittimo.
 
 In proposito deduce violazione degli artt. 7, 8, 10 della legge n. 241/90, degli artt. 9, commi 3 e 4 del ccnl per il personale degli enti locali del 31.3.99, violazione del regolamento per l’ordinamento degli uffici ed i servizi del …………., violazione dell’art. 3 comma 2 del ccnl del 31.3.99.
 
Assume che il provvedimento sostanzia un’ipotesi di mobbing, che ha determinato uno stato ansioso e depressivo provocando una sindrome psicosomatica di significativa gravità, precisamente sindrome astenica ansiosa, con crisi ricorrenti vertiginose.
 
 Il Comune , costituendosi in giudizio, contesta la fondatezza della domanda, di cui chiede l’integrale rigetto.
 
 2.Va in primo luogo rilevato che con memoria depositata in data 18.11.04 il ricorrente ha dedotto essere intervenuto un nuovo provvedimento di trasferimento , emesso nel corso del giudizio, chiedendo dichiararsi l’illegittimità dello stesso.
 
Tale domanda è inammissibile, esulando dal tema d’indagine fissato con il ricorso introduttivo.
 
 La sussistenza di ragioni di connessione possono giustificare la riunione con il procedimento avente ad oggetto il provvedimento sopravvenuto, non l’ingresso nel giudizio in corso di una domanda che esula dall’oggetto e dal tema d’indagine cristallizzata nel ricorso introduttivo.
Al riguardo si richiama la seguente massima:
 “La richiesta di risarcimento del danno formulata con il ricorso introduttivo di causa di lavoro (al quale deve estendersi per identità di "ratio" il requisito della determinatezza dell’oggetto della domanda previsto a pena di nullità dall’art. 164 c.p.c. anche nel testo modificato dalla l. 26 novembre 1990 n. 353) presuppone una "causa petendi" identificabile in uno specifico accadimento lesivo spazialmente e temporalmente determinato, sicché una volta che essa sia stata proposta in relazione a determinati fatti, la contestuale formulazione di altra richiesta risarcitoria riferita a fatti, sia pur omogenei rispetto a quelli precedenti, che dovessero certificarsi nelle more del giudizio, non introduce alcuna valida domanda, nè, una volta che tali fatti si siano verificati, può legittimare alla sua proposizione in corso di giudizio. Ne deriva che la richiesta di ristoro del danno per fatti sopravvenuti in corso di causa comporta un non consentito mutamento della primitiva domanda, con la conseguente inammissibilità della stessa anche in appello, senza che, in contrario possa argomentarsi dalla deroga al divieto di domande nuove in appello con riferimento ai danni sofferti dopo la sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 345 comma 1 c.p.c. trovando tale norma applicazione solo quando nel giudizio di I grado sia stato richiesto il risarcimento del danno maturato in precedenza, e giustificandosi detta deroga solo nel presupposto che si incrementino soltanto le conseguenze dannose del medesimo fatto generatore posto a fondamento della pretesa senza che gli ulteriori danni siano ricollegabili a fatti nuovi e diversi” (Cassazione civile, sez. lav., 15 novembre 1996, n. 10045).
“Se nel corso del giudizio risarcitorio il danno si aggrava, la domanda di risarcimento del danno ulteriore è ammissibile soltanto se l’aggravamento non sia dipeso da cause sopravvenute ed ulteriori rispetto a quelle originarie” (Tribunale Roma, 20 ottobre 1999).
 La domanda quindi volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del provvedimento del 20.10.2003 è inammissibile.
 3.Nel merito, in ordine alla valutazione circa la legittimità del provvedimento, non si rinvengono ragioni per discostarsi da quanto statuito dal Tribunale con ordinanza del 12.9.2003.
Quindi, va confermata l’infondatezza del motivo relativo alla violazione degli artt. 7,8 e 10 legge 241/90, essendo siffatta normativa inapplicabile agli atti di gestione e di micro-organizzazione posti in essere dalla pubblica amministrazione nel pubblico impiego a seguito della cd. privatizzazione. Tali atti sono infatti sottoposti al regime di diritto civile.
 4.E’ fondato il motivo concernente la violazione dell’art. 9 comma 3 ccnl degli enti locali.
 In conformità con l’ordinanza emessa a definizione del reclamo, questo giudice ritiene che il potere di nomina dei responsabili delle Unità Operative di II livello spetta al Sindaco, per come previsto dal T.U. sugli enti locali. Ne segue che anche il potere di revoca, che del potere di nomina costituisce proiezione, deve ritenersi spetti al Sindaco.
 Ciò puntualizzato, si rileva che il Regolamento non fissa una disciplina in ordine ai presupposti ed alle modalità della revoca dei predetti incarichi. Di talché non può che applicarsi , in quanto non incompatibile con il T.U. sugli enti locali e pertanto da esso non abrogato, l’art. 9 comma 3 ccnl sul comparto degli enti locali.
 Detta norma prevede che “Gli incarichi possono essere revocati prima della scadenza con atto scritto e motivato, in relazione a intervenuti mutamenti organizzativi o in conseguenza di specifico accertamento di risultati negativi”.
 Il provvedimento del Sindaco, oggetto dell’azione in parola, adduce come motivazione l’essere intervenuta la “modifica della struttura organizzativa”, con l’istituzione di unità di II livello per le circoscrizioni.
 La fattispecie va pertanto sussunta sotto la previsione di cui all’art. 9 comma 3 nella parte in cui prevede come presupposto necessario della revoca anticipata dell’incarico sopravvenuti mutamenti organizzativi.
 A questo punto va precisato che ad avviso di questo giudice, in applicazione del comma 1 del ccnl – che contempla solo il termine massimo (5 anni) – l’incarico attribuito al M. con provvedimento del 20.6.2002, in mancanza di espressa indicazione in ordine alla durata, deve ritenersi conferito per la durata di 5 anni, questo essendo l’unico termine cui poter fare riferimento nella vicenda in esame.
 L’intervento mutamento organizzativo – consistente nell’istituzione di unità di II livello per le Circoscrizioni – non è stato contestato.
 Si può pertanto ritenere idoneamente motivato il provvedimento del 25.6.03 in relazione alla sopravvenienza di una modifica organizzativa.
 Non è invece riscontrabile un’idonea motivazione circa il nesso di causalità tra l’anzidetta modifica organizzativa e l’attribuzione dell’incarico proprio all’odierno ricorrente, il quale ricopriva un altro incarico in un diverso settore. Il provvedimento non spiega in modo congruo per quale ragione si sia reso necessario o comunque si sia stimato opportuno assegnare l’incarico de quo all’odierno ricorrente, sottraendolo quindi dal precedente incarico. Non è spiegato se vi fossero altri funzionari idonei a ricoprire l’incarico in questione o se vi fossero ragioni di impossibilità o inopportunità per l’attribuzione dell’incarico ad altri funzionari idonei piuttosto che al M.
 Il provvedimento del 25.6.03 deve quindi ritenersi emesso in violazione dell’art. 9 comma 3 ccnl, per insufficiente motivazione. Pertanto va annullato.
 L’ordinanza adotta in fase cautelare va dunque confermata.
 5.Venendo alla domanda di risarcimento del danno, essa va accolta nella parte riguardante il danno biologico.
 Dalla ctu – le cui risultanze, siccome tratte all’esito di diligente indagine, questo giudice ritiene di far proprie – è emerso che il ricorrente presenta allo stato attuale un “disturbo dell’adattamento con ansia e umore depresso misti”.
L’affezione anzidetta determina senso di demoralizzazione, perdita dell’autostima, sentimento di sfiducia verso il futuro, sintomi somatici vari. Nel caso di specie , ad avviso del ctu, è riscontrabile un disturbo dell’adattamento cronicizzato. Ha precisato il ctu che i life-events oggetto della presente controversia sono potenzialmente idonei a determinare insorgenza del quadro clinico e che l’insorgenza dell’affezione è temporalmente compatibile con i fatti oggetto di causa. Anzi il rapporto temporale sembra indicare , ad avviso del ctu, una connessione tra i fatti di causa e l’insorgenza dell’affezione.
Il ctu ha stimato l’invalidità permanente nella misura del 4%.
Facendo applicazione in via analogica della legge n. 57/2001, spetta quindi a titolo di danno biologico la somma di € 2.811,91, oltre interessi legali.
 6.Per quanto riguarda il danno morale connesso al danno biologico, reputa questo giudice di determinarlo nella misura pari a ¼ del danno biologico. Dunque, in misura pari ad € 702,97, oltre agli interessi legali.
 7.Ritiene questo giudice non potersi ravvisare il danno morale direttamente connesso alla sottrazione dell’incarico, in quanto l’assegnazione non è stata adottata con modalità ingiuriose o offensive (è stata anzi motivata sul presupposto della competenza dell’odierno ricorrente), né può dirsi che l’incarico al quale è stato assegnato sia a tal punto dequalificante da essere oggettivamente offensivo.
 8. Quanto al danno esistenziale(categoria utile se intesa come denotante una tipologia di conseguenze dannose e non anche una tipologia dell’ingiustizia) connesso al danno alla salute, ritiene questo giudice che allorquando il danno esistenziale consegua al danno biologico, esso deve considerarsi già in esso compreso. Ciò in quanto le tabelle relative alla determinazione del danno biologico sono state elaborate avendo riguardo anche alle ripercussioni sulle attività realizzatrici della persona, ossia alle ricadute sulla dimensione relazionale dell’esistenza. Il danno esistenziale conseguente al danno biologico altro non è che la componente dinamica del danno biologico. Il danno esistenziale è dunque da ritenersi incorporato nella somma prevista dalle tabelle per il danno biologico.
 Né nel caso di specie sono state provate conseguenze dannose dinamiche (ovverosia esistenziali) eccedenti quelle immanenti, ossia normalmente correlabili, al grado di danno biologico accertato.
 9. In ordine al danno esistenziale connesso alla sottrazione dell’incarico, reputa questo giudice che dall’illegittimità del provvedimento di assegnazione ad altro incarico non consegua in via automatica un danno esistenziale, sub specie di danno all’identità professionale (il quale danno costituisce – ha precisato la S. C. , n. 8904/2003 – “una specie particolare di danno esistenziale”).
Come per ogni danno esistenziale, anche il danno all’identità professionale deve raggiungere quella soglia di apprezzabilità consistente, ad avviso di questo giudice, nell’idoneità ad incidere in modo, per così dire, strutturale su almeno una delle fondamentali dimensioni dell’esistenza (qual è indubbiamente la dimensione lavorativa). Non è sufficiente cioè un qualsiasi dover agire altrimenti, ma è necessario che tale dover agire altrimenti si consolidi in modo da acquisire la consistenza di un’amputazione o di un considerevole pregiudizio ad una dimensione strutturante l’esistenza. Tale consolidamento si determina, in caso di sottrazione di mansioni, ove determini un’effettiva dispersione del patrimonio professionale. Non è sufficiente cioè il pericolo di depauperamento del patrimonio professionale – pericolo insito nell’illegittima sottrazione di un incarico – , occorrendo che tale pericolo si concretizzi comportando un’effettiva dispersione del corredo di nozioni e abilità che sostanziano l’identità professionale.
 Affinché la sottrazione di un incarico professionale o delle mansioni determini l’effettiva dispersione del patrimonio professionale, occorre che essa (sottrazione) si protragga per un congruo periodo di tempo. Periodo che, secondo questo giudice, può in linea di principio essere fissato in 6 mesi, in caso di mansioni ad alta obsolescenza, siccome implicanti l’esigenza di un continuo aggiornamento professionale, e in 12 mesi, in caso di mansioni a bassa obsolescenza.
 Nel caso di specie, il periodo di tempo durante il quale si è protratta l’illegittima sottrazione dell’incarico – e che quindi può essere considerato ai fini de quibus – è di poco inferiore a 4 mesi.
 Infatti, in data 20.10.2003 è stato adottato un nuovo provvedimento di assegnazione all’odierno ricorrente delle mansioni attribuite con il provvedimento impugnato con il ricorso; provvedimento, per quanto prima detto, la cui legittimità esula dal tema d’indagine della presente controversia e che non risulta essere oggetto di altra causa pendente, che possa quindi essere riunita alla presente.
 Non spetta quindi il risarcimento del danno esistenziale connesso alla sottrazione dell’incarico.
 10.Conseguentemente non è ravvisabile neanche un danno morale connesso alla perdita di identità professionale.
 11.Dunque il Comune va condannato a corrispondere la complessiva somma di € 3.514,88, oltre interessi legali dal dovuto al soddisfo.
 12.Omissis
 Reggio Calabria, 15.3.2006  
                                                                    Il Giudice
                                                                    ***************

Francaviglia Rosa

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