Difetto del nesso di proporzionalità tra esigenza di libera informazione e lesione della riservatezza: chiaroscuri nell’area di efficacia del diritto “all’oblio”

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L’ordinamento, per tutelare le esigenze di necessaria informazione, riconosce circoscritti spazi di libertà ai mezzi di divulgazione delle notizie qualificabili “di interesse pubblico” o che presentino il requisito oggettivo dell’esser accadute “in pubblico”.

Tale libertà, che si configura come funzione derivata del principio costituzionale enunciato all’art. 21 (c.d. diritto di “manifestazione del pensiero”), incorre in serrati limiti esplicativi per comprensibili esigenze di tutela dell’individuo.

Già in passato il Giudice di Legittimità era stato chiamato ad esprimersi sul tema, con celebri sentenze integrative ed esplicative di normative spesso ermetiche.

I limiti fondamentali alla libertà di informazione,individuati dalla Suprema Corte (Cass. Pen n. 8959 e civ. 5259 del 1984), riguardano sostanzialmente tre profili concorrenti: veridicità del fatto, effettiva sussistenza di un interesse pubblico alla conoscenza della notizia e continenza espositiva.

Il rispetto dei precetti enunciati, che si inserisce nel fisiologico esprimersi del diritto costituzionale all’informazione, è rimesso alla cosciente opera del cronista.

Nel processo fisiologico di evoluzione, ruolo di non poco momento è da attribuirsi al riconoscimento nella nota sent. Cass. Civ. 5525 del 2012 del diritto all’ “aggiornamento dei dati”.

La causa citata, imperniata sulla reiterata divulgazione di notizie relative ad un politico di un comune lombardo, coinvolgeva anche la possibile concorrente considerazione del ruolo del motore di ricerca informatico nell’esprimersi della vicenda divulgativa.

La Corte si era pronunciata, riconoscendo il diritto all’aggiornamento costante dei dati, stante la necessità collaterale di garantire un’informazione in ottica evolutiva ed omnicomprensiva.

Argine notevole per meglio ponderare la reale flessibilità della libertà di informazione si rinviene nel contrapposto “diritto all’oblio”.

La sent. della Cass. Civ. terza sezione n. 16111 del 2013 vede il Giudice di legittimità intento ad esprimersi su un caso dai caratteri peculiari: il resistente, appartenuto in tempo remoto ad un noto gruppo terroristico, subiva ricorso in cassazione da parte di un locale giornale con fine di riforma della sentenza d’appello accertante la violazione del “diritto all’oblio” per la diffusione di un articolo.

Il cronista, a seguito del ritrovamento di un arsenale riferibile alla predetta cellula terroristica, reiterava la notizia circa l’appartenenza del ricorrente alla medesima, diciannove anni dopo l’arresto per la partecipazione all’attività terroristica ed a mezzo del giornale di cui già.

Circostanza collaterale è la doglianza del resistente per l’allegazione di una intervista che protesta mai rilasciata, in quanto mera trascrizione di informale telefonata informale intercorsa tra le parti.

Necessario accenno di ricognizione delle fonti in materia postula la menzione della direttiva CEE 24 ottobre 1995, n.94/94/C e la conseguente normativa nazionale di trasposizione nell’ordinamento, tra cui lo stesso decreto legislativo n. 169 del 2003.

La Suprema Corte, nel contemperare i principi di rango costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero (art. 21) e del diritto alla riservatezza (tra gli altri, deducibile lato senso anche dall’art.2), afferisce ai già citati precetti generali in tema di divulgazione di notizie: necessario rispetto del codice deontologico, essenzialità dell’informazione ed effettivo interesse pubblico.

Indubbia, nella candida prosa della corte, la “ violazione alla riservatezza”, che si poteva dedurre “dalla mancanza di consenso dell’interessato, dalla mancanza di un interesse pubblico alla diffusione della notizia e dall’arbitrario collegamento venutosi a creare con il ritrovamento”.

Elemento scriminante imprescindibile resta, a detta del Giudice, la volontà limpida di essere dimenticato espressa dal resistente nella telefonata intercorsa informalmente con la controparte e pubblicata, senza consenso, a guisa di intervista.

La Corte nega anche apprezzamento al collegamento tra il ritrovamento dell’arsenale e la vicenda, remota nel tempo, della cellula terroristica, affermando che il semplice evento non costituiva ipso facto giustificazione sufficiente alla reiterazione della notizia.

L’articolo, per dar menzione ad una marginale costatazione di parte, insisteva una volta di più sul passato del ricorrente, le cui prospettive di vita erano state faticosamente ricostruite sulla dimenticanza della pregressa appartenenza alla banda.

La corte, nel citare sua stessa precedente pronuncia (n.5525, 2012) ribadisce l’esigenza di tutelare “in concreto” il bilanciamento di interessi, anche nel caso di trattamento lecito dei dati, stante un generale principio di “correttezza”..

La pubblicazione della foto con relative generalità esclude, infine, de facto la configurabilità della possibilità di “mancata identificazione”, con rigetto conseguente del collegato motivo di ricorso.

Stessa sorte è riservata all’appunto di parte per cui la limitata diffusione del giornale aveva concretamente limitato il danno all’interessato, prescritto che tale profilo si riverbera sul quantum ma non sull’an.

Stante la sproporzione tra causa di giustificazione e lesione del diritto antagonista, la corte si esprime negativamente sulla pretesa del ricorrente, affermando inoltre la mancata proposizione di elementi idonei a consentire una modifica in tema di quantificazione del danno liquidato.

Con la pronuncia si delineano ancor più marcatamente i limiti alla libertà di legittima informazione, sempre più attuale e discussa nel contesto del processo di capillarizzazione della coscienza di pregio del diritto alla riservatezza.

Avv. Gambetta Davide

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