Dichiarazione infedele: anche per dichiarazione integrativa?

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Il reato di dichiarazione infedele è configurabile anche se riguarda la dichiarazione integrativa(?)
(Riferimento normativo: D.lgs, 10/03/2000, n. 74, art. 4)

Corte di Cassazione -sez. III pen.- sentenza n.10726 del 18-11-2022

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Indice

1. La questione


La Corte di Appello di Bologna confermava una decisione con cui il Tribunale di Ferrara, tenuto conto della contestata recidiva ex art. 99 comma 4 c.p., aveva condannato l’imputato alla pena di 2 anni di reclusione in quanto ritenuto colpevole del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, a lui contestato per avere presentato, nella qualità di amministratore di una società a responsabilità limitata, una dichiarazione integrativa alla dichiarazione Mod. Unico 2010, con cui veniva abbattuta la base imponibile ai fini delle imposte dirette e dell’iva, mediante l’indicazione fittizia di operazioni di reverse charge.
Ciò posto, avverso la sentenza emessa dai giudici di seconde cure, l’accusato, tramite il suo difensore, proponeva ricorso per Cassazione, sollevando un unico motivo, con il quale era stata dedotta l’inosservanza del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, evidenziandosi che la norma incriminatrice sanziona la presentazione della dichiarazione annuale, mentre l’eventuale presentazione di una dichiarazione integrativa non assume alcun rilievo, come già sottolineato dalla giurisprudenza della Cassazione (il riferimento era a: Cass., Sez. 3, n. 23810 del 29/05/2019).
Dunque, per il ricorrente, le dichiarazioni prese in considerazione dalla norma sono solo le dichiarazioni annuali in tema di imposte sul reddito delle persone fisiche e giuridiche mentre sono escluse le altre dichiarazioni fiscali previste dall’ordinamento per cui, ai fini della configurabilità del reato, sarebbero irrilevanti le dichiarazioni integrative, sia peggiorative che migliorative della situazione precedentemente rappresentata con le dichiarazioni annuali.


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2. La soluzione adottata dalla Cassazione


La Suprema Corte riteneva il ricorso summenzionato infondato.
In particolare, gli Ermellini addivenivano a siffatta conclusione osservando, in primo luogo, che, anche nel testo attuale della norma incriminatrice (art. 4 del d.lgs. n. 74/2000), come in quello vigente all’epoca dei fatti, è presente la locuzione “in una delle dichiarazioni annuali”, locuzione che fa espressamente riferimento non a una sola dichiarazione, ma una pluralità di atti dichiarativi, pur sempre riferiti al medesimo anno di imposta, rilevandosi al contempo che il tenore letterale della norma, a loro avviso, consente di ricomprendere nel perimetro della fattispecie non solo la prima dichiarazione fiscale, ma anche quelle successive, integrative della prima, che intervengono, come quella in esame, entro il termine finale previsto per la presentazione della dichiarazione annuale. Inoltre, in secondo luogo, era altresì rilevato che, del resto, avuto riguardo alla ratio della norma incriminatrice, che è quella di reprimere, in ambito tributario, le dichiarazioni infedeli produttive di significative evasioni fiscali, diverse da quelle già sanzionate, più gravemente, dagli art. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti) e 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri raggiri) del D.Lgs. n. 74 del 2000, per il Supremo Consesso, sarebbe davvero paradossale e contrario allo spirito della norma escludere dall’area della rilevanza penale le dichiarazioni integrative riferite alla medesima annualità perché, così ragionando, sarebbe sufficiente per ogni contribuente presentare prima una dichiarazione veritiera, per poi presentare, in relazione al medesimo anno di imposta, una dichiarazione integrativa assolutamente falsa, in quanto indicante operazioni e dati economici non corrispondenti a quelli reali.
Di conseguenza, alla stregua di siffatte considerazione, si affermava che anche le dichiarazioni integrative rientrano nel campo applicativo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, qualora, ove siano superate le soglie di punibilità contemplate dal legislatore, le stesse introducano, come nella vicenda in esame, elementi attivi non conformi a quelli effettivi o elementi passivi inesistenti (o “fittizi”, secondo la versione previgente della norma).
Ciò comportava pertanto, per la Suprema Corte, come la Corte di appello avesse correttamente individuato il dies a quo della prescrizione (prima di operare l’aumento per la recidiva) nel momento della presentazione non della prima dichiarazione, risultata priva di indicazioni mendaci, ma di quella integrativa l’unica a essere risultata falsa, poiché è in tale momento che aveva avuto luogo la consumazione del reato, deducendosi contestualmente che né a diverse conclusioni poteva pervenirsi alla luce del precedente giurisprudenziale citato dalla difesa (Sez. 3, n. 23810 del 08/04/2019) in quanto tale decisione riguardava un caso opposto a quello oggetto di causa, nel senso che in quella sede era pacificamente (e palesemente) falsa la prima dichiarazione fiscale, mentre quella integrativa era stata ritenuta inidonea a escludere la natura infedele della prima, non consentendo dunque la diversità delle rispettive situazioni fattuali di rendere comparabili le soluzioni giuridiche adottate.

3. Conclusioni


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi affermato che anche la dichiarazione integrativa dei redditi, a date condizioni, può integrare l’illecito penale in questione.
Si afferma difatti in tale pronuncia che pure le dichiarazioni integrative rientrano nel campo applicativo del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, qualora, ove siano superate le soglie di punibilità contemplate dal legislatore, le stesse introducano, come nella vicenda in esame, elementi attivi non conformi a quelli effettivi o elementi passivi inesistenti (o “fittizi”, secondo la versione previgente della norma) con la conseguenza che, ove si verifichi un caso di questo tipo, il dies a quo della prescrizione coincide nel momento in cui è presentata siffatta dichiarazione integrativa.
Pertanto, per effetto di tale provvedimento, ci si discosta da quell’orientamento nomofilattico secondo il quale all’opposto solo la dichiarazione annuale in tema di imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche che i soggetti sono obbligati a presentare ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 1 e 6,  e la dichiarazione annuale relativa all’imposta sul valore aggiunto disciplinata dal D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 8 costituiscono l’oggetto materiale del reato di cui all’art. 4 del d.lgs. n. 74/2000, e non invece le altre tutte le altre dichiarazioni fiscali presenti nel nostro ordinamento (Cass. pen., sez. III, 19/04/2017, n. 27967) ivi compresa proprio “quella integrativa” (Cass. pen., sez. III, 3/07/2013, n. 40618) atteso che il reato de quo “si consuma con la presentazione della dichiarazione annuale relativa ad una delle imposte indicate nel D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, sicchè alcun rilevanza assume, ai fini della integrazione del reato, la successiva dichiarazione integrativa” (Cass. pen., sez. III, 3/07/2013, n. 40618).
Orbene, se è sicuramente condivisibile la finalità, che ha indotto la Cassazione a fare propria una interpretazione di questo genere, ossia, come visto sopra, evitare che il contribuente eviti di rispondere di questo illecito penale, presentando, prima una dichiarazione veritiera, per poi presentare, in relazione al medesimo anno di imposta, una dichiarazione integrativa assolutamente falsa, in quanto indicante operazioni e dati economici non corrispondenti a quelli reali,  una opzione ermeneutica di questo genere, però, sembrerebbe determinare un’applicazione analogica di codesta norma incriminatrice atteso che, ad avviso dello scrivente, la norma de qua fa esclusivo riferimento alle dichiarazioni annuali relative alle imposte sui redditi o sul valore aggiunto e non invece pure a quelle integrative.
Il riferimento compiuto dal legislatore alle dichiarazioni, e non alla dichiarazione, del resto, se può essere interpretata, come fatto nella pronuncia qui in commento, nel senso che tale locuzione fa espressamente riferimento non a una sola dichiarazione, ma una pluralità di atti dichiarativi, pur sempre riferiti al medesimo anno di imposta, in effetti, potrebbe essere interpretata anche nel senso che le dichiarazioni, le quali rilevano nel caso di specie, sono (solo) due (da qui l’utilizzo della parola “dichiarazione” al plurale), ossia unicamente quelle sulle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, essendo sufficiente che solo una di esse sia oggetto di questa condotta criminosa per potersi ritenere integrato codesto illecito penale (come potrebbe evincersi dall’uso delle parole “indica in una delle dichiarazioni annuali” contenute nel primo comma dell’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000).
Sarebbe pertanto auspicabile, ad avviso dello scrivente, che il legislatore intervenga sull’art. 4 del d.lgs. n. 74 del 2000 introducendo anche le dichiarazioni integrative tra quelle per cui è configurabile codesto illecito penale.

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