Dichiarazione del perito o del consulente tecnico in sede di appello

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La dichiarazione resa dal perito o dal consulente tecnico non costituisce prova dichiarativa assimilabile a quella del testimone, rispetto alla quale, se decisiva, il giudice di appello è tenuto a rinnovare l’istruzione dibattimentale per procedere alla nuova escussione della fonte nel caso di riforma della sentenza di assoluzione sulla base di un diverso apprezzamento di essa.

Il Supremo Collegio è interrogato su una nuova questione: è possibile, in appello, riformare in peius una sentenza assolutoria basata su una consulenza tecnica, affermando la penale responsabilità dell’imputato, senza preventivamente rinnovare l’istruzione dibattimentale per procedere alla nuova escussione dei consulenti o per espletare una perizia medico legale?

Nella fattispecie in esame, i ricorrenti deducevano la violazione degli artt. 111 Cost., 533 c.p.p. e 6 C.E.D.U. in quanto la Corte d’Assise d’Appello aveva modificato la sentenza di assoluzione pronunciata in esito al giudizio di primo grado dopo aver rigettato la richiesta di riapertura dell’istruzione dibattimentale proposta dal p.m. e volta all’effettuazione di una ulteriore consulenza tecnica prescindendo, inoltre, dalla nuova audizione dei consulenti del p.m., dalle cui conclusioni si era discostata ritenendole edulcorate in vantaggio degli imputati.

La giurisprudenza precedente alla sentenza de qua, infatti, si è soffermata sui casi aventi ad oggetto la rinnovazione della prova dichiarativa in appello nelle ipotesi di reformatio in peius.

Si è progressivamente consolidata, nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’idea che la pronuncia di condanna dell’imputato, in riforma di una precedente sentenza di assoluzione, richieda necessariamente la nuova escussione delle fonti dichiarative ritenute risolutive ai fini del giudizio e già assunte dinanzi al giudice di prime cure (Corte e.d.u., sez. III, 9 aprile 2013, Flueras c. Romania; Id., sez. III, 5 marzo 2013, Monolachi c. Romania; Id., sez. III, 5 novembre 2011, Dan c. Moldavia; Id., sez. II, 18 maggio 2004, Destrehem c. Francia; Id., sez. I, 27 giugno 2000, Constantinescu c. Romania, tutte in www.echr.coe.int).

Per porre un freno al tormentato adeguamento della giurisprudenza interna a tale dettame normativo, le Sezioni unite hanno operato una ricostruzione sistematica tra dovere di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale e limiti alla reformatio in peius della pronuncia di primo grado. I giudici di legittimità hanno, quindi, sottolineato l’obbligo di motivazione rafforzata che incombe sul giudice di appello intenzionato a ribaltare la sentenza di assoluzione dell’imputato. Essendo poi di fronte ad un modello processuale di tipo accusatorio, ispirato ai principi dell’oralità e dell’immediatezza nella formazione della prova, il giudice d’appello può ribaltare la sentenza assolutoria solo sulla base di un’attività istruttoria connotata dallo stesso modus operandi (Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Dasdugpta, Foro it., 2016, parte II, col. 571, voce Appello penale, n. 450).

L’esigenza generalizzata di rinnovazione della prova dichiarativa non consente distinzioni in ragione della qualità del dichiarante, sia esso testimone puro, ex art. 197 c.p.p., testimone assistito, ex art. 197 bis c.p.p., imputato di fatto connesso, ex art. 210 c.p.p., o che  abbia reso dichiarazioni anche in merito alla propria responsabilità, ex art. 208 c.p.p.[1]

Non muta, inoltre, lo scenario a seconda che la richiesta di riformare la sentenza assolutoria provenga dal p.m. o dalla parte civile.

Detto obbligo di rinnovazione dell’attività istruttoria, inoltre, opera anche nel caso di impugnazione di una pronuncia di assoluzione emessa all’esito del giudizio abbreviato proprio in ragione del principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio che non viene certamente meno con la scelta del rito in questione (Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Dasdugpta, Foro it.,cit.).

Per la Sezione quinta della Suprema Corte, la posizione del perito e del consulente tecnico, non è indubbiamente assimilabile a quella del testimone, con la conseguenza che non deve essere inserito tra i soggetti la cui audizione è necessaria in appello in caso di una diversa valutazione della prova.

Difatti, sebbene tali soggetti sentiti in dibattimento assumano le vesti di testimoni, la loro relazione forma parte integrante della deposizione. Gli stessi, inoltre, sono chiamati a formulare un parere tecnico (la cosiddetta relazione peritale prevista ex art. 227 c.p.p.) rispetto al quale il giudice, in virtù del suo libero convincimento, può discostarsi purché argomenti congruamente la propria diversa opinione.

Alla luce delle considerazioni avanzate giudici di legittimità in composizione unita (Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, Dasdugpta, Foro it.,cit.), la necessità di rinnovazione della prova in appello attiene solo alle dichiarazioni rese dai testimoni puri e dai coimputati del reato connesso, posto che deve trattarsi di apporti dichiarativi che non possono formare oggetto di valutazioni differenti tra il primo e il secondo grado. La deposizione del perito e del consulente tecnico, viceversa, non può certamente considerarsi prova dichiarativa e, pertanto, non sarà necessaria una nuova escussione degli stessi in appello.

[1] V. Aiuti, La Corte Europea dei diritti dell’uomo e il libero convincimento del giudice in appello, in Cass. pen., 2014, p. 3963 ss.

Dott.ssa Lazzari Denise

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