Decesso del destinatario della notifica ex art. 331 c.p.c. e integrazione del contraddittorio nei confronti della “giusta parte”: le Sezioni Unite applicano in via analogica l’art. 328 c.p.c., ma solo per il caso di contumacia della parte deceduta (Nota a Cass. Sezioni Unite, 24 maggio 2019, n. 14266)

Redazione 15/07/19
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di Alessia D’Addazio*

* Dottoranda in diritto processuale civile presso l’università Sapienza di Roma

Sommario

1. Premessa

2. Il caso sottoposto all’esame delle Sezioni Unite

3. Gli approdi della precedente giurisprudenza

4. La continuità dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2009 e l’applicazione in via analogica dell’art. 328 c.p.c.

5. Ultrattività del mandato e contumacia della parte quali fattori rilevanti per lo spiegarsi delle regole processuali

1. Premessa

Con l’ordinanza interlocutoria 10 dicembre 2018, n. 31847[1], la Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione ha rimesso al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, la questione se, nell’ipotesi in cui, in sede di notificazione dell’ordine di integrazione del contraddittorio exart. 331 c.p.c., risulti il decesso del destinatario, il notificante possa richiedere al giudice l’assegnazione di un (ulteriore) termine perentorio per procedere al perfezionamento dell’integrazione del contradditorio nei confronti dell’erede della parte defunta, come enunciato da Cass., Sez. un., 21 gennaio 2005, n. 1238[2], ovvero se debba riattivarsi immediatamente e spontaneamente per perfezionare l’iter notificatorio nel più breve tempo possibile, come invece affermato da giurisprudenza successiva e in particolare da Cass., Sez. un. 24 luglio 2009, n. 17352[3] e Cass., Sez. Un., 15 luglio 2016, n. 14594[4].

Le Sezioni Unite si sono recentemente pronunciate su tale questione con la sentenza del 24 maggio 2019, n. 14266, enunciando il seguente principio di diritto: «Nel caso in cui, in sede di notificazione dell’atto di integrazione del contraddittorio nei confronti del contumace, la parte venga a conoscenza della sua morte o della sua perdita della capacità, il termine assegnatogli dal giudice ai sensi dell’art. 331 c.p.c. è automaticamente interrotto e, in applicazione analogica dell’art. 328 del c.p.c., comincia a decorrere un nuovo termine, di durata pari a quella iniziale, indipendentemente dal momento in cui l’evento interruttivo si è verificato. È onere della parte notificante riattivare con immediatezza il processo notificatorio, senza necessità di apposita istanza al giudice ad quem. Solo nel caso in cui, per ragioni eccezionali, di cui la stessa parte deve fornire la prova, tale termine risulti insufficiente ad individuare le persone legittimate a proseguire giudizio, è consentito chiedere al giudice la rimessione in termini ai sensi dell’art. 153, secondo comma c.p.c.».

Se il perimetro tracciato dall’ordinanza interlocutoria pareva limitato alla composizione del contrasto giurisprudenziale sorto con riferimento ai rimedi esperibili in caso di notificazione non perfezionata o tardivamente eseguita in assenza di colpa del notificante (sul presupposto che nemo impossibilia tenetur), l’intervento nomofilattico ha ampliato le maglie della questione e, richiamando istituti affini e connessi con quelli della notificazione dell’impugnazione e della successione nel processo, ha aggiunto un tassello preliminare al quadro offerto dalla sezione rimettente, quello dell’applicazione in via analogica della fattispecie interruttiva disciplinata dall’art. 328 c.p.c.

La pronuncia delle Sezioni Unite si colloca così su una “terra di mezzo”, ai crocevia tra rimessione in termini e interruzione del termine, ultrattività del mandato in caso di decesso della parte costituita e individuazione dell’erede quale “giusta parte” a seguito del decesso del contumace, inosservanza del termine perentorio per causa non imputabile e ragionevole durata del processo.

Per comprendere lo sviluppo argomentativo delle Sezioni Unite è opportuno muovere da un breve riepilogo sulle vicende concrete che hanno caratterizzato la controversia che ha condotto alla rimessione.

[1] Sia consentito rinviare al commento all’ordinanza di D’Addazio, Decesso del destinatario della notifica ex art. 331 c.p.c. e oneri del notificante: alle Sezioni Unite una nuova questione in tema di notificazioni intempestive. Nota a Cass. Civ., Sez. II, 10 dicembre 2018, n. 31847, in questa Rivista, 12 marzo 2019.

[2] Pres. Carbone, Rel. Criscuolo, in Foro It., 2005, I, 2401 ss., con nota di Caponi, Un passo delle sezioni unite della Cassazione verso la rimessione nei termini di impugnazione.

[3] Pres. Elefante – Rel. Toffoli, in Giust. civ., 2009, 1274 ss.

[4] Pres. Amoroso – Rel. Curzio, in De Jure, Diritto & Giustizia, fasc. 33, 2016, 14 ss., con nota di Valerio, , Notifica con esito negativo: per conservarne gli effetti è necessario procedere con immediatezza, in Ilprocessocivile.it, 2016, con nota di R. Giordano.

2. Il caso sottoposto all’esame delle Sezioni Unite

La controversia che ha originato la rimessione de quo aveva ad oggetto l’accertamento nei confronti di più soggetti della simulazione per interposizione fittizia di atti di trasferimento di immobili e la conseguente condanna di alcuni dei convenuti alla restituzione del denaro incassato per la vendita dei suddetti immobili. Sin dal primo grado di giudizio taluni convenuti erano rimasti contumaci, e fra essi il soggetto di cui qui ci si interessa. Il giudice di primo grado accoglieva le domande dell’attore e avverso la sentenza di primo grado proponevano appello alcuni convenuti, i quali mancavano però di notificare l’atto di impugnazione nei confronti di due parti, di talché la Corte d’appello, con ordinanza emessa in data 27/10/2009 e comunicata in data 30/10/2009, rilevata la sussistenza di una situazione di litisconsorzio necessario tra i partecipanti dell’accordo simulatorio oggetto di accertamento, ordinava l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. entro trenta giorni dalla comunicazione; il termine del 29/11/2009 coincideva con una domenica e pertanto doveva ritenersi prorogato di diritto al 30/11/2009. Nella pendenza di suddetto termine gli appellanti provvedevano a notificare, a mezzo posta raccomandata con avviso di ricevimento, l’impugnazione ai due soggetti, uno dei quali – contumace nel primo grado di giudizio – risultava essere deceduto, come da comunicazione delle Poste Italiane del 19/11/2009, con riconsegna dell’atto non notificato al mittente in data 21/11/2009. Gli appellanti, allora, in data 30/11/2009, nell’ultimo giorno concesso per l’integrazione del contraddittorio dall’ordinanza della Corte d’appello, notificavano l’atto con raccomandata con avviso di ricevimento a due degli eredi del destinatario deceduto, ma non alla terza erede, figlia del soggetto venuto a mancare. I due coeredi, costituitisi in giudizio tempestivamente (venti giorni prima dell’udienza di prima comparizione) eccepivano l’improcedibilità e l’inammissibilità dell’appello per via della mancata integrazione del contraddittorio nei confronti della terza erede del de cuius.

La Corte d’appello, dunque, rilevata, da un lato, l’improrogabilità del termine assegnato ai sensi dell’art. 331 c.p.c. e, comunque, la circostanza che gli appellanti, all’udienza di prima comparizione tenutasi in data 16/02/2010, non avevano richiesto la rimessione in termini per provvedere all’integrazione del contraddittorio, tenuto altresì conto della condotta degli appellanti, che a detta della Corte avrebbero potuto apprendere dell’esistenza della terza erede dal mero esame della denuncia di successione presentata il 28/01/2004[5], dichiarava inammissibile l’impugnazione proposta.

Avverso tale decisione, quindi, gli appellati, proponevano ricorso per cassazione con un unico articolato motivo basato sull’”omesso esame di un fatto controverso” (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. nella formulazione previgente e applicabile ratione temporis), censurando la sentenza nella parte in cui aveva ritenuto necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti della parte deceduta, pur in mancanza di una domanda di nullità per simulazione dell’accordo, rilevando che, in ogni caso, a fronte della non conoscibilità dell’evento della morte della parte, la Corte d’appello avrebbe dovuto concedere un nuovo ulteriore termine per perfezionare l’integrazione del contraddittorio.

Le Sezioni Unite muovono dal considerare come priva di autosufficienza e specificità tale censura, giacché i ricorrenti hanno omesso di trascrivere le domande proposte con l’atto introduttivo del giudizio di primo grado, sì da consentire un vaglio sull’ambito di cognizione devoluto al giudice di merito, nonché di dedurre (e provare) la circostanza di avvenuta esecuzione dei contratti simulati nei confronti della parte deceduta, idonea ad escludere la sussistenza di un litisconsorzio necessario con tale soggetto[6].

Segue poi la conferma da parte delle Sezioni Unite della giurisprudenza sviluppatasi in seno alla Suprema Corte secondo cui, quando più soggetti vengono chiamati in giudizio da una delle parti o iussu iudicis, la situazione di cumulo soggettivo che ne deriva è ascrivibile alla categoria del litisconsorzio processuale[7], in quanto il rapporto che si instaura tra le parti del giudizio soggiace alla disciplina delle cause inscindibili e pertanto postula la necessaria presenza di tutte le parti, ad eccezione di quelle eventualmente estromesse, in ogni fase o grado del giudizio[8].

Viene poi confermata l’applicabilità del principio secondo cui in caso di morte della parte (nella sentenza si specifica “avvenuta nel corso del giudizio di primo grado” ma non v’è ragione per escludere che la regola si applichi in tutti i gradi del processo, a prescindere dal momento di verificazione del decesso) la legittimazione attiva e passiva si trasmette a tutti gli eredi, a prescindere dalla scindibilità del rapporto sostanziale che costituisce oggetto del processo, realizzandosi una situazione di litisconsorzio necessario processuale, come letteralmente induce a ritenere l’art. 110 c.p.c.[9], con conseguente applicazione della disciplina dell’art. 331 c.p.c. in caso di mancata notificazione dell’impugnazione a tutti gli eredi della parte defunta.

Con una lunga ricostruzione che occupa gran parte del corpo della sentenza (paragrafi 5-11) le Sezioni Unite ripercorrono, diacronicamente e per distinti orientamenti, l’iter della giurisprudenza di legittimità che si è espressa sui temi delle conseguenze dell’inosservanza del termine per l’integrazione del contraddittorio disposta ai sensi dell’art. 331 c.p.c., dell’onere del notificante di individuare la “giusta parte” del processo in caso di decesso di una delle parti e della vexata quaestio dell’ultrattività del mandato del difensore.

A fare da sfondo agli approdi giurisprudenziali richiamati vi è l’interazione tra due istituti, accomunati da una insita connotazione temporale: l’interruzione, nella sua duplice natura di interruzione del processo e interruzione dei termini, e la notificazione, fattispecie a formazione progressiva che contiene in sé una fisiologica discontinuità temporale, oggetto di due importanti pronunce della Corte Costituzionale nel 2002 e 2004 (v. infra), alle quali ha fatto seguito, nel 2005, l’introduzione di un terzo comma all’art. 149 c.p.c., dedicato alla scissione degli effetti della notificazione.

D’altra parte, poco meno di dieci anni fa, il giudice di legittimità, intervenendo in materia di interruzione del processo per il decesso del difensore, poneva in evidenza, sulla scia di quanto osservato dalla dottrina, “l’insufficienza strutturale dell’impianto normativo soprattutto per quanto riguarda i momenti di trasmigrazione tra i diversi gradi di giudizio”[10], momenti nei quali le vicende relative alla notificazione possono porre, come in effetti accaduto nella fattispecie qui in esame, ulteriori problematiche. Il campo di indagine, almeno in ipotesi, coinvolge quindi, sul piano teorico, l’equilibrio tra diritto di difesa da garantire agli eredi della parte deceduta, nella loro qualità di “giusta parte” in forza dell’operare dell’istituto della successione nel processo, il diritto di azione da garantire al notificante che non abbia perfezionato l’iter di notificazione per causa non imputabile, l’operatività della fattispecie interruttiva per decesso della parte nelle fasi di migrazione tra un grado all’altro del giudizio, le conseguenze dell’intempestività incolpevole della notificazione dell’impugnazione e la possibilità o meno di consentire all’impugnante di notificare agli eredi della parte contumace deceduta impersonalmente e collettivamente.

Queste le norme che vengono in rilievo con riferimento alle vicende processuali ipotizzabili:

– Art. 286 c.p.c., che attiene alla notificazione delle sentenze e dispone che, nel caso in cui la morte o la perdita di capacità della parte si verifichino dopo l’udienza di discussione, la notificazione della sentenza “si può fare, anche a norma dell’art. 303, secondo comma, a coloro ai quap>, ovvero gp>

– Art. 300, commi 1-3, c.p.c., che discipp>

– Art. 300, comma 4, c.p.c., che discipp>

– Art. 300, ultimo comma, c.p.c. il quale dispone che nel caso in cui la morte o perdita di capacità della parte si siano verificate “dopo la chiusura della discussione davanti al collegio” tale evento “non produce effetto” (nel grado di giudizio in cui l’evento si verifica, visto il contenuto dell’art. 286 c.p.c.), ad eccezione del caso di riapertura dell’istruzione. Questa norma pone una difficoltà interpretativa non p>

– Art. 303, comma 2, c.p.c. che discipp>”entro un anno dalla morte” possa essere fatta collettivamente e impersonalmente agp>

– Art. 328, commi 1 e 2, c.p.c., il quale discipp>

L’ultimo comma della norma deve invece ritenersi inattuale in ragione della modifica apportata dall’art. 46 L. 69/2009 all’art. 327 c.p.c., che ha ridotto il termine (lungo) di decadenza a sei mesi.

– Art. 330, commi 2, c.p.c. che prevede la possibip>”deceduta dopo la notificazione della sentenza” impersonalmente e collettivamente nel luogo in cui la parte abbia eletto domicip>”per il” giudizio. Come si dirà megp>”dopo la notificazione della sentenza” è stata intesa dalla giurisprudenza come non riferita al momento di verificazione del decesso, di talché la regola deve intendersi appp>

– Art. 330, ultimo comma, c.p.c., il quale prevede che in caso di mancata elezione di domicip>

[5] Tale rilievo del giudice di merito non pare condivisibile, atteso che la dichiarazione di successione, istituto di natura e finalità fiscale-tributaria, può essere presentata entro dodici mesi dal decesso del defunto e che vi sono dei casi, collegati all’effettiva consistenza e composizione dell’asse ereditario, in cui essa non risulta obbligatoria. Tanto è sufficiente per escludere che si possa estendere tale onere a tutte le ipotesi di decesso del destinatario della notificazione ex art. 331 c.p.c.

[6] Le Sezioni Unite richiamano il loro precedente Cass. Sez. Un., 14 maggio 2013, n. 11523

[7] Cass. 8/11/2017, n. 26433; Cass. 2/09/2015, n. 17497; Cass. Sez. Un., 14/05/2013, n. 11523; Cass. 7/07/2004, n. 12470; Cass. 16/07/2003, n. 11154; Cass. 3/09/2002, n. 12829; Cass. 26/2/2001, n. 2756.

[8] Invero la conclusione cui giungono le Sezioni Unite appare troppo semplicistica, sotto un duplice profilo: da un lato, le ipotesi di litisconsorzio processuale a seguito di chiamata in giudizio su istanza della parte o per ordine del giudice non necessariamente sono ascrivibili al genus delle cause inscindibili, potendosi qualificare anche come cause dipendenti, seppure anche in questo caso governate, nelle fasi di impugnazione, dalla disciplina dell’art. 331 c.p.c.; dall’latro lato, a parere di chi scrive le ipotesi di chiamata in causa su istanza della parte per garanzia (per le ipotesi di garanzia propria, se impugnata è solo la causa dipendente e per le ipotesi di garanzia impropria, se impugnata è la causa originaria) non necessariamente conducono alla configurazione di litisconsorzio processuale: cfr. per tutti, Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, vol. II, Torino, 2014, 166.

[9] Luiso, Diritto processuale civile, I, Principi generali, 367, Milano, 2017; Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, II, Torino, 2014, 131.

[10] Cass. Sez. Un., 8 febbraio 2010, n. 2714, in Riv. dir. proc., 2010, 1156 ss., con nota di Ghirga, Le Sezioni unite si pronunciano sul difficile equilibrio tra diritto di difesa e aspirazione al giudicato in materia di interruzione.

3. Gli approdi della precedente giurisprudenza

L’analisi della questione da parte delle Sezioni Unite si muove da una capillare ricostruzione della giurisprudenza di legittimità rilevante, organizzata sulla base di un criterio misto cronologico-tematico. Senza richiamare singolarmente tutte le pronunce menzionate dalla sentenza, occorre focalizzarsi su taluni orientamenti che sono stati adottati nel tempo dal giudice di legittimità per cogliere la linea evolutiva delle tappe segnate dalla giurisprudenza e quindi la tenuta del principio che le Sezioni Unite hanno enunciato con riferimento al caso rimesso al loro esame.

Il primo orientamento richiamato, attribuisce al termine di cui all’art. 331 c.p.c. natura perentoria, improrogabile anche in presenza di fatti riconducibili al caso fortuito o alla forza maggiore e, comunque, non imputabili alla parte né per colpa né per dolo e non sanabile con la tardiva costituzione della parte destinataria dell’integrazione del contraddittorio, ritenendo che la sanzione dell’inammissibilità per il caso di inosservanza di detto termine è stabilita per ragioni di ordine pubblico processuale (Cass. 18/06/1996, n. 5572; Cass. 26/02/2001, n. 2756, Cass. 4/06/2001, n. 7482; Cass, 29/4/2003, n. 6652; Cass. 29/11/2004, n. 22411; Cass. 28/07/2005, n. 15803; Cass. 27/03/2007, n. 7528). Il termine concesso per l’integrazione del contraddittorio deve infatti essere impiegato non solo per intraprendere il procedimento di notificazione, ma per portare a compimento tutte le eventuali indagini necessarie per rimediare alla iniziale pretermissione della parte dalla notificazione dell’impugnazione (Cass. 26/11/2008, n. 28223 e Cass. 20/01/2016, n. 891).

Accanto a questa rigorosa interpretazione del termine exart. 331 c.p.c. si è sviluppato un coevo orientamento che ha valorizzato il principio di vocazione soggettiva secondo cui ad impossibilia nemo tenetur, riconoscendo una regola “di fisiologia e razionalità processuale” che impone di pretendere dalle parti solo le condotte che, secondo la normale cura e diligenza, risultino effettivamente osservabili, in ossequio ai diritti di difesa e di parità delle armi di cui agli artt. 24, 111 Costituzione e 6 CEDU (Cass. 11626/1992; Cass. 13/7/1995, n. 7658; Cass. 15/07/2003, n. 11072; Cass. 6/02/2004, n. 2292). Su tale presupposto, questa giurisprudenza esclude dalla sanzione dell’inammissibilità delle impugnazioni le ipotesi in cui la parte fornisca puntuale dimostrazione di un fatto ad essa non imputabile per colpa o dolo che ha comportato l’inosservanza del termine originariamente assegnato per l’integrazione del contraddittorio exart. 331 c.p.c., ritenendo in questi casi di poter accogliere l’eventuale istanza di rimessione in termini avanzata, purché essa sia depositata prima dell’originario spirare del termine (Cass. 19/08/2003, n. 12179 e Cass. 11/4/2016, n. 6982).

In questo variegato contesto giurisprudenziale sono intervenute, a definire un’ipotesi affine a quella qui in esame[11], le Sezioni Unite con la sentenza del 21 gennaio 2005, n. 1238, assunta dall’ordinanza interlocutoria come possibile paradigma di cui avvalersi per la soluzione della questione rimessa. Superando i dubbi relativi all’operatività dell’istituto della rimessione in termini nelle fasi di impugnazione (tenuto conto che, nella formulazione vigente fino al 2009, la rimessione in termini era disciplinata all’art. 184- bis c.p.c. e dunque il suo ambito applicativo veniva limitato alle attività da compiere nelle fasi di trattazione) le Sezioni Unite hanno affermato che, in caso di morte del destinatario della notifica per integrazione ex art. 331 c.p.c., al notificante debba essere assegnato un nuovo termine perentorio per il compimento della notificazione agli eredi della parte defunta. E ciò in quanto addebitare al notificante gli effetti negativi (i.e. inammissibilità ex art. 331 c.p.c. dell’impugnazione) dell’inosservanza del termine dovuta ad un evento che egli non era tenuto a conoscere e di cui viene messo al corrente solo a seguito della recezione della relata di notifica negativa dell’ufficiale giudiziario risulterebbe contrario al principio di ragionevolezza e alle garanzie costituzionali di cui agli artt. 3 e 24 Costituzione, non potendosi equiparare l’inerzia prevista dall’art. 331, comma 2, c.p.c., con il tempestivo compimento del procedimento notificatorio, seppure non perfezionato, e non potendosi ammettere la compressione del diritto di difesa (recte, azione) alla parte che, pur attivandosi tempestivamente, non riesca a compiere l’attività prescritta dal giudice nel termine da questi fissato per una causa ad essa non imputabile. L’intervento nomofilattico ha dato seguito expressis verbis alle pronunce della Corte Costituzionale 26 novembre 2002, n. 477 e 23 gennaio 2004, n. 28 in tema di notificazione degli atti[12], con le quali è stato consacrato il principio che già pervadeva la giurisprudenza di legittimità[13] – della scissione per taluni effetti (processuali, e, a seguito di un posteriore intervento del giudice di legittimità, in parte anche sostanziali[14]) del momento perfezionativo della notifica per notificante e notificato, poi codificato con l’introduzione, ad opera del D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, convertito con modificazioni dalla l. 23 febbraio 2006, n. 51, del terzo comma dell’art. 149 c.p.c.

Nella disamina condotta dalle Sezioni Unite del 2005, peraltro, è stata esclusa l’operatività dell’art. 328 c.p.c. in quanto “tale norma riguarda una diversa fattispecie”, cioè l’interruzione del termine breve per l’impugnazione e “concerne, dunque, la fase successiva alla notificazione della sentenza, fase nella quale l’impugnazione deve essere promossa, mentre l’art. 331 c.p.c. presuppone che l’impugnazione sia stata tempestivamente proposta ma che, stante la sussistenza di un litisconsorzio necessario (sostanziale o processuale), il contraddittorio debba essere integrato”.

Due anni dopo, con la sentenza del 28 novembre 2007, n. 24762, la Cassazione ha ritenuto meritevole di accoglimento l’istanza di rimessione in termini proposta dal notificante che alleghi l’impossibilità di integrare il contraddittorio nel termine assegnato exart. 331 c.p.c. nei confronti degli eredi della parte contumace deceduta da oltre un anno (ritenendo evidentemente di non poter notificare impersonalmente e collettivamente a costoro).

Nel 2009 tornano a pronunciarsi le Sezioni Unite, con la sentenza del 24 luglio 2009, n. 17352, in materia di notificazione tardiva in un caso in cui la notificazione dell’impugnazione di una pronuncia del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche era avvenuta oltre il termine lungo a causa del trasferimento dell’avvocato presso cui si era eletto domicilio, essendo stata effettuata tempestivamente ma all’indirizzo sbagliato, e così rinnovata all’indirizzo corretto, ma tardivamente rispetto al termine exart. 327 c.p.c.[15].

Richiamando una precedente pronuncia delle medesime Sezioni Unite 2006[16] (seguita da ulteriori pronunce a sezione semplice[17]) nella quale era stato affermato che gli stessi principi posti alla base della scissione degli effetti della notifica (artt. 3 e 24 Costituzione, contemperamento degli interessi delle parti coinvolte, principio di ragionevolezza) giustificavano una interpretazione costituzionalmente orientata anche nell’ipotesi di incolpevole mancato esito del procedimento notificatorio, si è così rilevato che le esigenze di continuità e speditezza che caratterizzano il procedimento di notificazione – in quanto fattispecie a formazione progressiva connotata da una sequenza diacronica di atti produttivi di effetti disallineati sotto il profilo temporale per mittente e destinatario – sarebbero contraddette laddove, tramite l’istituto della rimessione in termini, venisse richiesto al notificante di ricorrere al giudice per porre rimedio agli effetti negativi della tardività del perfezionamento della notificazione. E ciò anche nell’ottica di una interlocuzione necessaria e fisiologica tra notificante e ufficiale giudiziario, potenzialmente idonea a fornire “sostanziale unità al procedimento quando, dopo che una prima fase del procedimento non abbia avuto positiva conclusione per l’accertata mancata corrispondenza della situazione di fatto a quella indicata dall’istante, quest’ultimo fornisca ulteriori indicazioni ai fini del perfezionamento della notificazione”.

Il giudice di legittimità, dunque, include il principio di ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, Costituzione) nel novero delle garanzie che sorreggono la logica delle regole in tema di notificazioni e ne trae la ratio per sostenere che “la necessità di una previa costituzione in giudizio per la richiesta di un provvedimento giudiziale sulla rinnovazione della notificazione comporta un rilevante allungamento dei tempi del giudizio, oltre che un appesantimento delle procedure”.

Viene così enunciato il principio di diritto secondo cui, in caso di mancato perfezionamento dell’iter notificatorio in un termine perentorio per causa non imputabile al notificante, questi ha la facoltà e l’onere di chiedere la ripresa del procedimento di notificazione entro un termine ragionevole per salvare la retrodatazione degli effetti della notifica come elaborata dal principio di scissione. La ragionevolezza del termine si ricava, a detta delle Sezioni Unite, dai tempi necessari che la prassi e la comune diligenza richiedono per conoscere degli esiti di una notificazione e fornire le informazioni ulteriori necessarie per la sua ripresa.

L’opportunità di coinvolgimento del giudice viene così confinata ai casi in cui la semplice ripresa del procedimento notificatorio comporterebbe la violazione di prescrizioni normative diverse dall’osservanza del termine, come in caso di “necessità di ottenere una nuova fissazione dell’udienza ai fini del rispetto dei termini di comparizione” (Cass. 3818/2009).

Le pronunce successive a tale intervento hanno fatto applicazione del principio così enunciato[18] anche per le ipotesi di tardività della notificazione dovuta al decesso del destinatario della notifica (Cass. 6/06/2012, n. 9114).

L’”onere processuale” di ripresa del procedimento notificatorio viene ulteriormente sviluppato dalla successiva pronuncia del 15 luglio 2016, n. 14594, con cui le Sezioni Unite, tornando ad occuparsi del tema della tardività della notificazione dell’impugnazione dovuta al trasferimento del procuratore presso cui la parte aveva eletto domicilio, perfezionatasi oltre il termine lungo di un anno ex art. 327 c.p.c. vigente ratione temporis, dopo aver escluso l’imputabilità della tardività alla notificante[19], affermano che “dal sistema sia anche desumibile un limite massimo del tempo necessario per riprendere e completare il processo notificatorio relativo alle impugnazioni, una volta avuta notizia dell’esito negativo della prima richiesta. Tale termine può essere fissato in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325 c.p.c.”[20], fatta salva la possibilità di provare che tale termine non sia stato sufficiente per le particolari e specifiche difficoltà incontrate nella rinnovazione della notifica[21].

L’approccio adottato dalle Sezioni Unite Corte è stato, più che nomofilattico, di vera e propria creazione legislativa, giustificata dall’obiettivo di fornire una soluzione certa e prevedibile e porre fine alle asimmetriche applicazioni del principio precedentemente enunciato, così promuovendo una risposta di giustizia più equa e prevedibile[22].

Tale approdo è positivamente valutato dalle odierne Sezioni Unite, che ritengono “agevole” per la parte provvedere in tempi ragionevoli, a prescindere dall’ordine del giudice, tenuto conto dell’evoluzione dei mezzi informatici e tecnologici, che consentono di ridurre p>

La sentenza in esame, però, sottolinea due limiti delle pronunce delle Sezioni Unite del 2009 e 2016: il primo è che tali pronunce sono state rese in caso di ripresa di procedimenti notificatori nei confronti di soggetti già individuati e non dei successori della parte deceduta; il secondo è legato alla possibilità, che deve pur sempre essere consentita al notificante, di fornire la prova dell’insufficienza del termine pari alla metà di quello individuato dall’art. 325 c.p.c.

Le Sezioni Unite si propongono quindi di verificare la tenuta di tali principi anche all’ipotesi di inosservanza del termine dovuto alla presenza di una fattispecie interruttiva del processo e specifica che la questione si pone nei medesimi termini sia in caso di notificazione effettuata verso alcuni dei soggetti con pretermissione di altri, sia in caso di esatta individuazione dei soggetti passivi ma mancato o tardivo perfezionamento della notificazione dell’impugnazione nei confronti di uno o alcuni di essi, rilevando come, in tali ipotesi, tra il principio della regolare costituzione del contraddittorio (art. 111 c.p.c.) e quello della ragionevole durata del processo (art. 111 Costituzione), entrambi afferenti al giusto processo, sia il primo a prevalere.

A completamento della ricostruzione giurisprudenziale, viene richiamata la pronuncia delle Sezioni Unite, 4 luglio 2014, n. 15295, con cui è stato consacrato il principio dell’ultrattività mandato alla lite del difensore (munito di procura alle liti valida anche per gli ulteriori gradi di giudizio) nel caso di verificazione di uno degli eventi di cui all’art. 299 c.p.c., secondo cui, se l’evento non è stato dichiarato o notificato ai sensi dell’art. 300 c.p.c. il difensore continua a rappresentare la parte come se l’evento non si sia verificato sia nella fase attiva del processo, che nelle fasi di quiescenza e di impugnazione, ferme restando le possibilità di costituzione degli eredi della parte defunta o del rappresentante dell’incapace e di dichiarazione o notificazione dell’evento da parte del procuratore o di applicazione nei successivi gradi di giudizio della previsione dell’art 300, comma 4, c.p.c. in caso di contumacia. Di conseguenza, la notificazione della sentenza ai fini del decorso del termine breve per impugnare potrà essere eseguita nei confronti del difensore della parte deceduta o divenuta incapace, il quale, se munito di procura alle liti valida per gli altri gradi del processo, e sempre ad eccezione del giudizio di cassazione che richiede il conferimento di una procura speciale, potrà impugnare la sentenza senza disvelare l’accadimento dell’evento, ritenendosi, ai fini del processo, che la parte colpita da detto evento sia ancora in vita o capace; nel caso inverso, al procuratore della parte deceduta o colpita dall’evento può essere validamente notificata l’impugnazione, anche se l’impugnante abbia aliunde avuto conoscenza della morte o perdita di capacità dell’altra parte. Uno degli argomenti utilizzati dalle Sezioni Unite per avvalorare la tesi dell’ultrattività del mandato (che peraltro esse ritengono essere pienamente conforme alle regole civilistiche dettate per il contratto tipico di mandato) risiede proprio nella circostanza che al difensore della parte il legislatore abbia specificatamente attribuito il potere di determinare o meno l’interruzione del processo con la dichiarazione o notificazione dell’evento, ritenendosi in caso contrario che egli debba continuare a rappresentare le ragioni della parte come se fosse ancora in vita o capace.

Non è la sede per effettuare una compiuta disamina di questo fondamentale arresto delle Sezioni Unite, che ha posto fine ad un annoso dibattito sul tema, risolvendo questioni pratiche di non scarso rilievo. Sul punto, meritano un cenno pronunce di legittimità precedenti a quella del 2014, pur non richiamate dalla sentenza delle Sezioni Unite, che si sono espresse in senso estensivo sull’art. 330, comma 2, c.p.c. relativo al luogo di notificazione dell’impugnazione in caso di decesso dell’altra parte. Con la sentenza 7 febbraio 2007, n. 2598[23], sette anni prima della “consacrazione” dell’ultrattività del mandato del difensore della parte defunta, il giudice di legittimità, adoperando congiuntamente il criterio letterale e quello teleologico per l’interpretazione dell’art. 330 cpv. c.p.c., ha affermato che la ratio di tale norma deve essere individuata nella agevolazione dell’impugnante per l’esercizio sollecito[24] del proprio diritto, senza onere di individuazione singulatim degli eredi. La norma è stata quindi letta nel senso che la notificazione dell’impugnazione agli eredi della parte defunta impersonalmente e collettivamente deve essere consentita anche nei casi in cui il decesso si è verificato prima della notificazione della sentenza (“evidentemente dal difensore della parte deceduta senza indicazione degli eredi”). Nel 2009, invece, con la sentenza 16 dicembre 2009, n. 26279, le Sezioni Unite, accogliendo la concezione chiovendana del processo, secondo cui l’apertura di ciascun grado di giudizio pone le parti nello stesso stato in cui esse si trovavano prima della proposizione della domanda, con l’onere di dover conoscere la condizione di colui con il quale intende contrarre il rapporto processuale, sottolineano che il soccombente, al quale il decesso non è stato comunicato mediante la notificazione della sentenza e lo ignora senza colpa, dispone di almeno un anno, per poter verificare se eventualmente la parte vittoriosa non sia più in vita, accertamento agevolmente effettuabile mediante la consultazione dei registri di stato civile. Viene così enunciato il principio per cui l’atto di impugnazione della sentenza, nel caso di morte della parte vittoriosa, deve essere rivolto e notificato agli eredi, indipendentemente sia dal momento in cui il decesso è avvenuto, sia dalla eventuale ignoranza dell’evento, anche se incolpevole, da parte del soccombente. Ma l’anno successivo, accogliendo l’apertura già prospettata nel 2007, le Sezioni Unite con la sentenza del 18 giugno 2010, n. 14699[25], affermando che “la citazione collettiva ed impersonale (…) comporta un’evidente facilitazione per l’impugnante (…) giustificata logicamente dall’esigenza di evitare all’impugnante di effettuare lunghe e complesse indagini volte all’esatta individuazione degli eredi. Peraltro l’individuazione del luogo di notifica nell’ultimo domicilio del defunto – che coincide con il luogo di apertura della successione – fornisce adeguata assicurazione in ordine alla probabilità che gli eredi vengano a conoscenza della proposta impugnazione“. Eccezione a tale principio, a detta delle Sezioni Unite, che richiamano il precedente Cass. 15 maggio 2009, n. 11315, si rinviene nell’ipotesi di contumacia o di costituzione personale della parte senza dichiarazione di residenza o elezione di domicilio, poiché, dovendo la notificazione dell’impugnazione essere eseguita personalmente a norma dell’art. 330, ultimo comma, c.p.c., in caso di decesso tale notifica deve essere eseguita nei confronti dei singoli eredi nominatim, e ciò indipendentemente dalle circostanze relative al momento del decesso e all’avvenuta notifica della sentenza. Questa della contumacia, del resto, sembra essere una questione valutata specificatamente dalle odierne Sezioni Unite, tanto da limitare l’enunciazione del principio di diritto alla sua ricorrenza, seppure non altrettanto valorizzata dall’ordinanza interlocutoria.

[11] Nella pronuncia del 2005, l’ordine di integrazione del contraddittorio proveniva dalla medesima Corte di cassazione (e non dal giudice di merito, come nella fattispecie sottesa all’ordinanza in esame) a seguito di ricorso avverso una sentenza emessa dal Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche.

[12] Corte Cost., 26 novembre 2002, n. 477, in Foro It., 2003, I, 13, con nota di Caponi, La notificazione a mezzo posta si perfeziona per il notificante alla data di consegna all’ufficiale giudiziario: la parte non risponde delle negligenze dei terzi e Corte Cost. 23 gennaio 2004, n. 28, che ha esteso il principio affermato dalla precedente pronuncia alle notificazioni eseguite a mezzo ufficiale giudiziario, in Foro It., 2004, I, 645, con nota di Caponi, Sul perfezionamento della notificazione nel processo civile (e su qualche disattenzione della Corte Costituzionale).

[13] Dalle più risalenti pronunce era chiara la finalità di superare la concezione essenzialmente unitaria attribuita dal legislatore alla notificazione affermando che il perfezionamento differito doveva necessariamente riguardare il solo soggetto destinatario, mentre per notificante la notifica si sarebbe dovuta considerare perfezionata solo col compimento delle formalità di legge: v. Cass. 19 giugno 1962 n. 1559; Cass. 10 aprile 1970; Cass. 26 agosto 1971; Cass. 16 luglio 1975, n. 2797.

[14] Ci si riferisce alla prescrizione: al riguardo, si segnalano Cass. 19 agosto 2009, n. 18399, ove si afferma che “Sarebbe infatti del tutto irrazionale scindere gli effetti processuali e quelli sostanziali della domanda statuendo che i primi si producono dal momento della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario e i secondi dal momento della ricezione dello stesso da parte del destinatario. Pertanto, ai fini della tempestività dell’interruzione della prescrizione (ai sensi dell’art. 2943, 1º co., c.c.), occorre avere riguardo non già al momento in cui l’atto viene consegnato al destinatario, ma a quello antecedente in cui esso è stato affidato all’Ufficiale Giudiziario, il quale poi lo ha notificato ricorrendo al servizio postale”, in Obbl. e Contr., 2010, 811 ss., con nota di Follieri, L’interruzione della prescrizione: recettizietà e momento perfezionativo della notifica; sul punto sono poi intervenute le Sezioni Unite con sentenza 9 dicembre 2015, n. 24822, stabilendo che “La regola della scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario si estende anche all’effetto sostanziale dell’interruzione della prescrizione del diritto fatto valere con la domanda giudiziale ove possa conseguirsi solo con l’esercizio dell’azione, conseguendone che l’interruzione si verifica in virtù della consegna dell’atto all’ufficiale giudiziario”, in Riv. dir. proc., 2016, 3, 882 ss., con nota di Mancuso, Capacità espansiva del principio di scissione degli effetti della notificazione.

[15] Al riguardo, le Sezioni Unite, richiamando una loro pronuncia di poco precedente (Cass. sez. un., 18 febbraio 2009, n. 3818) chiariscono anche che “nel caso di difensore che svolga le sue funzioni nello stesso circondario del Tribunale a cui egli sia professionalmente assegnato, è onere della parte interessata ad eseguire la notifica accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale, quale sia l’effettivo domicilio professionale del difensore, con la conseguenza che non può ritenersi giustificata l’indicazione nella richiesta di notificazione di un indirizzo diverso, ancorchè eventualmente corrispondente a indicazione fornita dal medesimo difensore nel giudizio non seguita da comunicazione nell’ambito del giudizio del successivo mutamento”; indirizzo da ultimo ribadito da Cass. 28 febbraio 2019, n. 5997.

[16] Cass. Sez. Un., 4 maggio 2006, n. 10216.

[17] Cass. 21 novembre 2006, n. 24702, in Foro It., 2008, I, 889; Cass. 19 marzo 2007, n. 6360, in Giust. civ. Mass., 2007, 3; Cass. 12 marzo 2008, n. 6547, in Giust. civ. Mass., 2008, 3, 402.

[18] V. Cass. 30 settembre 2011, n. 19986 la quale onera il notificante di riattivare il procedimento di notificazione con “sollecita diligenza”; Cass. 26 marzo 2012, n. 4842, in Giust. civ. Mass. 2012, 3, 404; Cass. 11 settembre 2013, n. 20830; Cass. 19 novembre 2014, n. 24641; Cass. 25 settembre 2015, n. 19060; Cass. 26 settembre 2018, n. 23007.

[19] In quanto il difensore domiciliatario, esercente l’attività fuori dal proprio circondario, non aveva provveduto a comunicare il mutamento del proprio indirizzo: v. supra nota 20.

[20] Il ragionamento delle Sezioni Unite è che se i termini ex art. 325 c.p.c. sono stati ragionevolmente stabiliti per concepire, redigere e notificare l’atto di impugnazione, la loro metà deve ritenersi più che sufficiente per il compimento della sola ultima attività di notificazione.

[21] Tra le pronunce successive che, aderendo alle Sezioni Unite, applicano il principio de quo, v., ex multis, Cass. 28 novembre 2017, n. 28388, la quale estende il principio anche ai termini previsti per il procedimento notificatorio delle sanzioni amministrative regolate dal d.lgs. 285 del 1992 (Codice della strada), in De Jure, con nota di Summa, Per ‘salvare’ il termine di una notifica non andata a buon fine il notificante deve essere diligente e tempestivo; Cass. 5 aprile 2018, n. 8445, in De Jure; Cass. 24 ottobre 2018, n. 26915, ove si osserva che “la ripresa del procedimento notificatorio è rimessa alla parte istante e deve escludersi la possibilità di chiedere una preventiva autorizzazione del giudice, vuoi perché questa sub-procedura allungherebbe ulteriormente i tempi processuali, vuoi perché non sarebbe ‘neanche utile al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata (…) in assenza del contraddittorio con la parte interessata’ (precisazione questa operata, modificando precedente indirizzo, da Cass. Sez. U. 24/07/2009, n. 17352)“, in De Jure, con nota di Papanice, Tempestività della rinnovazione della notifica del ricorso in Cassazione.

[22] La posizione assunta dalle Sezioni Unite deve ritenersi “senz’altro coraggiosa laddove sembra sostituirsi al legislatore nell’indicare precisamente tale termine, a differenza di quanto era avvenuto nella giurisprudenza precedente” potendo “apparire, prima facie, espressione della tendenza, talvolta manifestata negli ultimi anni, dalla nostra S.C. a trasformarsi in una Corte del precedente, alla medesima stregua delle Corti dei sistemi processuali di common law“, Giordano, Le Sezioni Unite precisano il termine entro il quale deve essere rinnovata la notifica non andata a buon fine, in De Jure.

[23] Pres. Vittoria – Rel. Frasca, in NGCC, 2007, I, 1078 ss., con nota di Bonomi, Validità della notifica dell’impugnazione eseguita collettivamente e impersonalmente agli eredi della parte defunta: superamento di annosi contrasti nella giurisprudenza di Cassazione.

[24] Sollecito ma non tempestivo, specifica il giudice di legittimità, atteso che, se l’evento morte si verifica nel corso del termine breve di cui all’art. 325 c.p.c., tale termine è interrotto ai sensi dell’art. 328 c.p.c.; e ciò sia nell’ipotesi in cui l’evento colpisca chi effettua la notificazione, sia nel caso in cui l’evento riguardi l’impugnante. La S.C. richiama sul punto la precedente sentenza delle Sezioni Unite n. 11394 del 1996, a quale aveva specificato che l ‘interruzione dell’art. 328 c.p.c. doveva piuttosto essere letta come “perdita di efficacia della notificazione della sentenza quale atto induttivo della decorrenza del termine breve”.

[25] Pres. Carbone – Rel. Mazziotti di Celsio, in Riv. dir. proc., 2011, 154 ss., con nota di Ghirga, Nuovo intervento delle Sezioni Unite sulle lacunose norme che regolano il processo in caso di morte di una delle parti.

4. La continuità dei principi enunciati dalle Sezioni Unite nel 2009 e l’applicazione in via analogica dell’art. 328 c.p.c.

Le Sezioni unite sottolineano come l’ultimo comma dell’art. 300 c.p.c., disponendo l’irrilevanza dell’evento interruttivo verificatosi o notificato dopo la discussione, costituisce un ponte tra la diversa operatività dell’istituto dell’interruzione nella fase attiva del processo, in cui esso incide nel processo, ponendolo in una situazione di stasi, e nelle fasi di quiescenza e riattivazione del processo tramite l’impugnazione, in cui l’interruzione incide sui termini (come si evince dagli artt. 286, 328 e 330 c.p.c.). Si tratta in sostanza, non di un medesimo istituto diversamente operativo, quanto di due istituti differenti per natura, in quanto l’interruzione del processo preclude la possibilità di svolgere attività processuale, mentre l’interruzione dei termini concede un allungamento del termine entro il quale compiere le attività, come emerge chiaramente dal dettato dell’art. 328 c.p.c. Nel richiamarne il contenuto relativo all’interruzione del termine breve per impugnare, le Sezioni Unite confermano l’applicabilità della norma anche al caso di contumacia. La Corte di legittimità afferma allora che non vi è ragione per non estendere l’applicazione di tale norma ai termini assegnati ex art. 331 c.p.c., atteso che anche questa disposizione mira a garantire la formazione del giudicato e l’effettività del contraddittorio, ritenendo, sulla scorta della giurisprudenza che ha affermato l’irrilevanza del momento di verificazione dell’evento, che l’art. 328 c.p.c. operi anche nelle ipotesi in cui il decesso si sia verificato prima della notificazione della sentenza, anche durante alla fase attiva del processo (laddove non dichiarato o notificato, documentato o certificato dall’ufficiale giudiziario), in quanto la logica che informa l’interruzione è quella della conoscenza dell’evento e non del suo mero accadimento. La soluzione fornita viene informata alla logica costituzionale delle “pari condizioni processuali”, dal punto di vista dello stato soggettivo dell’impugnante incolpevolmente tardivo e degli eredi titolari del diritto costituzionale di difesa.

5. Ultrattività del mandato e contumacia della parte quali fattori rilevanti per lo spiegarsi delle regole processuali

A questo punto è evidente la virata compiuta dalle Sezioni Unite rispetto all’itinerario tracciato dall’ordinanza interlocutoria, che aveva impostato la questione sui profili soggettivi relativi alla notificazione e alla connessa possibilità di rimessione in termini, mentre le Sezioni Unite hanno posto al centro della questione l’istituto dell’interruzione dei termini.

Sebbene le Sezioni Unite non trattino espressamente il distinguo tra decesso della parte costituita e decesso della parte contumace, l’applicazione del principio di ultrattività del mandato alle liti postula che, in assenza di dichiarazione o notificazione della morte della parte dal suo difensore, tanto nel primo grado di giudizio quanto nelle successive fasi di quiescenza e riattivazione del processo, il mandato di costui, laddove originariamente esteso a più gradi del giudizio, mantiene la propria efficacia senza la verificazione di alcun fenomeno interruttivo; mentre, nell’ipotesi di parte contumace, non trovando applicazione il summenzionato principio, ed applicandosi la previsione dell’art. 330, ultimo comma, c.p.c., la notificazione dovrebbe essere effettuata personalmente ai successori. Oltretutto, la certificazione dell’ufficiale giudiziario dell’avvenuto decesso della parte destinataria della notifica exart. 331 c.p.c. (per quanto tale ipotesi non sia contemplata dall’art. 292 c.p.c.), costituisce ipotesi interruttiva, a questo punto diremmo, non del processo (art. 300 c.p.c.), ma dei termini (art. 328 c.p.c.). Questa differenza di disciplina desta però alcuni dubbi.

Primo: se nelle ipotesi di morte della parte costituita le Sezioni Unite hanno ritenuto valida la notificazione dell’impugnazione eseguita, a prescindere dal momento del decesso, impersonalmente e collettivamente nel luogo di apertura della successione (Cass. Sez. Un., 18 giugno 2010, n. 14699), ossia l’ultimo domicilio del defunto, che di norma diverge con quello eletto per il giudizio, e ciò in deroga alle disposizioni dell’art. 330, cpv., c.p.c. (che invece menziona come luoghi della notificazione il domicilio eletto nell’atto di notificazione, il procuratore costituito, o il domicilio eletto o la residenza dichiarata), dovrebbe assumersi che, nell’ottica estensiva che la giurisprudenza di legittimità continua ad adottare, tale principio possa ragionevolmente essere esteso anche al caso di morte contumace, sempre al fine di “agevolare il diritto di impugnazione”[26], consentendo di garantire l’effettività del contraddittorio e un sollecito compimento della procedura di notificazione (inevitabilmente facilitata dalla possibilità per il notificante di individuare il luogo di apertura della successione del de cuius anche tramite una consultazione anagrafica), rispettoso del “dogma” della ragionevole durata del processo.

Tale soluzione, del resto, rischia di divenire del tutto residuale nelle ipotesi di ultrattività del mandato del difensore ad eccezione, con riferimento alla parte costituita deceduta, delle ipotesi di dichiarazione o notificazione del decesso effettuata dopo il termine delle attività ex art. 190 c.p.c. in primo grado[27].

Secondo: l’applicazione dell’art. 328 c.p.c. alla fattispecie rimessa alle Sezioni Unite, per quanto appaia ragionevolmente volta ad agevolare la parte nell’esercizio del proprio diritto di impugnazione, in continuità con i principi consacrati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittima degli ultimi 15 anni, non può definirsi tecnicamente “analogica” nel senso che essa viene impiegata per regolare “casi simili o materie analoghe” (art. 12 Preleggi). Qui la similitudine della fattispecie invero sembra mancare, in quanto la norma regola l’atto della notificazione della sentenza volto a far decorrere il termine breve e non già la notificazione dell’impugnazione (recte, notificazione dell’impugnazione a seguito di ordine di integrazione del contraddittorio) da compiere entro un termine perentorio, che attiene ad un momento diverso della fase di riattivazione del processo; l’art. 328 c.p.c. dispone che il nuovo termine discende dalla rinnovazione di un atto già compiuto (che potrebbe anche non verificarsi), mentre le Sezioni Unite predicano l’automatismo del decorso del nuovo termine, così spingendosi oltre il confine dell’applicazione analogica di una norma. Oltretutto, per quanto l’art. 328 c.p.c. sia stato ritenuto applicabile al caso di decesso di qualunque parte, vittoriosa e soccombente, la logica di fondo sembra essere quella di agevolare gli eredi della parte soccombente nella conoscenza della causa in un termine ragionevole per poter predisporre una eventuale difesa, mentre la questione sottoposta alle Sezioni Unite origina da una esigenza diametralmente opposta, ossia quella di consentire all’impugnante di individuare i successori della parte defunta a cui notificare la propria impugnazione. Il principio di diritto contempla l’applicazione dell’art. 328 tout court, ma in effetti il contenuto della disciplina richiamata sembra essere limitato al primo comma della disposizione; non viene specificato se anche il secondo comma, relativo alla possibilità di notificazione collettiva e impersonale agli eredi, trovi pari applicazione analogica.

In conclusione, l’ordinanza interlocutoria, collocando l’ipotesi dell’art. 331 c.p.c. al di fuori delle lacunose previsioni normative in tema di interruzione del processo ai sensi dell’art. 299 ss. c.p.c., aveva incentrato l’esame alle questioni relative ai profili temporali e soggettivi delle notificazione, come costituzionalmente interpretati e integrati, fornendo l’occasione per esprimere un principio di “proroga del termine” ontologicamente diverso ma sostanzialmente analogo, quanto a soddisfazione dell’interesse concreto del notificante, a quello oggi enunciato. Se le Sezioni Unite avessero seguito l’itinerario così delineato, avrebbero potuto garantire eguale tutela al notificante, sottraendo la soluzione fornita alle difficoltà di collaudo poste dall’interazione tra le norme in tema di interruzione e i correttivi giurisprudenziali che via via si appalesano necessari per l’integrazione delle stesse.

[26] L’individuazione del luogo presso il quale effettuare la notificazione dell’atto di impugnazione in quello dell’ultimo domicilio del defunto, secondo le Sezioni Unite fornisce adeguata assicurazione in ordine alla probabilità che gli eredi ne vengano a conoscenza, M. F. Ghirga, Nuovo intervento, cit., 169.

[27] Se la dichiarazione o notificazione dell’evento avviene prima, infatti, il processo si interrompe con applicazione degli artt. 302 ss. c.p.c.).

Redazione

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