Il danno differenziale va calcolato tenendo conto della specifica situazione concreta della parte lesa. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica, disponibile su Shop Maggioli e su Amazon
Indice
1. I fatti: il danno differenziale
Un camionista subiva un incidente sul lavoro, riportando un trauma distrattivo alla spalla e al braccio destro. Per tale ragione, si recava presso il pronto soccorso dell’Ospedale locale dove, dopo essere stato sottoposto ad accertamenti radiografici che escludevano fratture, veniva trattato con il posizionamento di un tutore della spalla con una prognosi di nove giorni.
Il giorno dopo, però, il paziente veniva sottoposto ad una consulenza ortopedica a seguito della quale veniva diagnosticata una lesione del tendine del bicipite in sede di inserzione del radio, confermata da una successiva risonanza magnetica braccio e della spalla destra. Per tale ragione, il paziente veniva sottoposto ad un intervento chirurgico per reinserire il capo distale del bicipite e il giorno successivo veniva dimesso con l’applicazione di un tutore da rimuovere dopo tre settimane.
Durante i successivi controlli, veniva accertato che nel paziente erano residuati postumi dell’infortunio e precisamente un deficit di estensione attiva delle dita della mano destra. Tale problematica veniva poi confermata anche dagli accertamenti diagnostici, che documentavano una neuropatia dei nervi mediano e radiale destri,
in considerazione di ciò, il paziente conveniva in giudizio la struttura sanitaria presso la quale era stato sottoposto alla suddetta operazione chirurgica, al fine di chiedere la condanna di quest’ultima al risarcimento dei danni subiti.
Si costituiva in giudizio la struttura sanitaria sostenendo che le prestazioni rese dai propri sanitari erano state eseguite in modo adeguato e pertinente e che le problematiche residuate in capo al paziente erano delle complicanze possibili e statisticamente documentate, che non erano evitabili.
2. Le valutazioni del Tribunale
Il tribunale di Terni, in primo luogo, ha ricordato che l’accettazione di un paziente in ospedale per il suo ricovero o per sottoporlo a una visita ambulatoriale comporta la conclusione di un contratto tra il paziente e la struttura sanitaria in virtù del quale quest’ultima deve fornire al paziente un servizio che comprende anche la prestazione medica. Il fatto che tra le due dette parti si configuri un contratto, comporta che il paziente danneggiato debba soltanto provare l’esistenza del rapporto contrattuale e poi allegare in maniera dettagliata l’inadempimento della struttura sanitaria astrattamente idoneo a determinare il danno dal medesimo lamentato (il che vuol dire provare il nesso di causalità fra il suddetto inadempimento è il danno) e che la struttura sanitaria possa successivamente andare esente da responsabilità soltanto se dimostra inesatto adempimento della prestazione sanitaria oppure impossibilità della stessa derivante da causa ad essa non imputabile.
In secondo luogo, il giudice ha affrontato il tema del danno biologico differenziale, sostenendo che si tratta di un aggravamento dello stato di salute del paziente causato da negligenza, imprudenza o imperizia dei sanitari: in altri termini, il danno biologico differenziale è un aggravamento di una lesione preesistente dovuta ad una colpa ascrivibile al personale sanitario.
Per poter accertare la sussistenza della predetta tipologia di danno e poi arrivare alla sua liquidazione, è necessario che il giudice accerti, in primo luogo, che la condotta, secondo la regola del più probabile che non, possa ritenersi come causa efficiente nella determinazione dell’evento lesivo. In questo modo, il giudice può attribuire il danno interamente all’autore della condotta illecita anche se sussistono delle concause che possono aver determinato la produzione del danno medesimo.
Successivamente, il giudice potrà procedere alla valutazione della diversa efficienza delle varie concause a determinare il danno subito dal paziente, in modo da evitare che all’autore della condotta venga addossato un obbligo di risarcire anche quelle conseguenze dannose che non sono dipese dalla sua condotta, ma che invece sono state determinate dalle altre concause (ed in particolare dalla pregressa situazione patologica danneggiato).
In altri termini, se sussistono altre concause naturali che hanno contribuito alla causazione dell’evento dannoso, il giudice dovrà valutare quale sia stata la misura e la rilevanza delle singole conseguenze che sono riconducibili alla condotta colposa posta in essere dal sanitario e potrà conseguentemente liquidare il danno soltanto tenendo conto della suddetta valutazione.
In considerazione di ciò, secondo il giudice – al fine di procedere alla quantificazione del danno biologico differenziale – non può essere utilizzato un rigido schema liquidatorio basato sempre e comunque su una liquidazione per differenza aritmetica tra il grado di invalidità effettivamente subito dal paziente e quello che sarebbe comunque stato subito anche se non ci fosse stata la condotta colposa del sanitario.
Invece, la liquidazione del suddetto danno deve essere effettuata tenendo conto della concreta vicenda clinica e della specifica situazione concreta della parte lesa nonché di tutti i riflessi sull’integrità fisica e di ogni ulteriore aspetto che concorre a descrivere il danno non patrimoniale.
A tal fine, il giudice avrà il potere-dovere di ricorrere all’equità correttiva nel caso in cui l’applicazione rigida del calcolo effettuato applicando le tabelle risarcitorie, conduca a risultati manifestamente iniqui per eccesso o per difetto.
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3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il tribunale ha ritenuto provata la sussistenza del nesso di causalità tra il non corretto adempimento della prestazione medica parte dei sanitari della struttura e l’invalidità permanente subita dall’attore. Infatti, all’esito della consulenza tecnica d’ufficio esperita durante il giudizio, è emerso che con elevata probabilità la lesione dei nervi subita dal paziente è stata causata da errate manovre intraoperatoria dei sanitari: in particolare, durante l’intervento, i sanitari hanno esercitato delle forze di trazione tessuti molli eccessive che hanno determinato la lesione dei nervi.
In considerazione di ciò, il giudice ha ritenuto che l’evento dannoso lamentato dal paziente (cioè il deficit funzionale della mano destra) possa essere imputato dal punto di vista causale alla condotta colposa posta in essere dai sanitari. Tuttavia, la sussistenza di condizioni patologiche pregresse del paziente obbliga il giudice a sottrarre dalla liquidazione del danno risarcibile il valore economico di quei postumi che si sarebbero comunque verificati a prescindere dall’errore dei sanitari.
In conclusione, il giudice ha liquidato il danno biologico, calcolando la differenza tra il valore monetario per l’invalidità complessivamente accertata e quello corrispondente all’invalidità preesistente al trattamento dei sanitari, nella misura del 13% (tenendo conto che il c.t.u. aveva accertato postumi permanenti effettivi nella misura del 21% ed aveva sostenuto che detti postumi si sarebbero comunque verificati nella misura dell’8% anche nel caso in cui i sanitari avessero posto in essere l’operazione in maniera corretta).
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