Custodia cautelare per 416-bis e presunzione di esigenze cautelari

La Cassazione chiarisce quando può essere superata la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari per associazione mafiosa.

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In tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., come può essere superata la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.? Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

Corte di Cassazione -sez. V pen.- sentenza n. 31287 del 23-07-2025

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Indice

1. La censura difensiva sulla concretezza e attualità della pericolosità sociale


Il Tribunale del riesame di Palermo rigettava un ricorso proposto ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. avverso un’ordinanza del giudice per le indagini preliminari di quella stessa città, che aveva disposto la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di una persona gravemente indiziata del delitto di cui agli artt. 416-bis cod. pen. (capo 2 della provvisoria incolpazione), per essere state ravvisate le esigenze cautelari di cui all’art. 274 lett. a) e c), cod. proc. pen., ricorrendo la duplice presunzione di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen..
Ciò posto, avverso questo provvedimento ricorreva per Cassazione il difensore dell’accusato il quale, tra i motivi ivi addotti, deduceva violazione di legge e vizio di motivazione, con riferimento alla concretezza e all’attualità delle esigenze cautelari.
In particolare, secondo il ricorrente, nel giudizio di merito, non erano stati considerati elementi favorevoli, quali la breve durata della condotta (circa un anno), il ruolo ancillare nei confronti del cognato, l’assenza di pendenze e precedenti, l’attività lavorativa svolta anche fuori dalla regione in cui il ristretto viveva, vale a dire tutti elementi che, per la difesa, militavano per l’assenza del requisito dell’attualità di pericolosità sociale. Per supporto ai professionisti, abbiamo preparato uno strumento di agile consultazione, il “Formulario annotato del processo penale 2025”, giunto alla sua V edizione, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon, e il Codice Penale e norme complementari 2026 – Aggiornato a Legge AI e Conversione dei decreti giustizia e terra dei fuochi, acquistabile sullo Shop Maggioli e su Amazon.

2. Il principio affermato dalla Cassazione: presunzione cautelare e limiti del “tempo silente”


La Suprema Corte riteneva il motivo suesposto infondato.
In particolare, tra le argomentazioni che inducevano gli Ermellini ad addivenire a siffatto esito decisorio, era richiamato quell’orientamento nomofilattico secondo il quale, in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività associativa, e che il cd. “tempo silente” (ossia il decorso di un apprezzabile lasso di tempo tra l’emissione della misura e i fatti contestati) non può, da solo, costituire prova dell’irreversibile allontanamento dell’indagato dal sodalizio, potendo essere valutato esclusivamente in via residuale, quale uno dei possibili elementi (tra cui, ad esempio, un’attività di collaborazione o il trasferimento in altra zona territoriale) volto a fornire la dimostrazione, in modo obiettivo e concreto, di una situazione indicativa dell’assenza di esigenze cautelari (Sez. 5, n. 16434 del 21/02/2024; Sez. 2, n. 38848 del 14/07/2021).

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3. Ribadita la natura rigorosa della presunzione e i presupposti per il suo superamento


La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito come può essere superata la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen.[1] in tema di custodia cautelare in carcere disposta per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen.[2].
Si afferma difatti in tale pronuncia, sulla scorta di un pregresso indirizzo interpretativo, che, in materia di custodia cautelare per il reato di associazione mafiosa ex art. 416-bis c.p., la presunzione di pericolosità di cui all’art. 275, comma 3, c.p.p. può essere superata solo con il recesso dell’indagato dall’associazione o con l’esaurimento dell’attività del sodalizio, mentre il semplice decorso del tempo dai fatti (cd. “tempo silente”) non è di per sé sufficiente a dimostrare l’assenza di esigenze cautelari, potendo assumere rilievo solo in via residuale insieme ad altri elementi concreti e obiettivi, come la collaborazione con la giustizia o il trasferimento territoriale.
È dunque sconsigliabile, perlomeno alla stregua di tale approdo ermeneutico, sostenere il venir meno di questa presunzione di pericolosità ove non ricorra una di siffatte condizioni.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché prova a fare chiarezza su siffatta tematica procedurale sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.

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Note


[1] Ai sensi del quale: “La custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate. Quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui agli articoli 270, 270-bis e 416-bis del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari. Salvo quanto previsto dal secondo periodo del presente comma, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del presente codice nonché in ordine ai delitti di cui agli articoli 575, 600-bis, primo comma, 600-ter, escluso il quarto comma, 600-quinquies e, quando non ricorrano le circostanze attenuanti contemplate, 609-bis, 609-quater e 609-octies del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure”.
 
[2] Secondo cui: “Chiunque fa parte di un’associazione di tipo mafioso formata da tre o più persone, è punito con la reclusione da dieci a quindici anni. Coloro che promuovono, dirigono o organizzano l’associazione sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da dodici a diciotto anni. L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. Se l’associazione è armata si applica la pena della reclusione da dodici a venti anni nei casi previsti dal primo comma e da quindici a ventisei anni nei casi previsti dal secondo comma. L’associazione si considera armata quando i partecipanti hanno la disponibilità, per il conseguimento della finalità dell’associazione, di armi o materie esplodenti, anche se occultate o tenute in luogo di deposito. Se le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo sono finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto, o il profitto di delitti, le pene stabilite nei commi precedenti sono aumentate da un terzo alla metà. Nei confronti del condannato è sempre obbligatoria la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prezzo, il prodotto, il profitto o che ne costituiscono l’impiego. Le disposizioni del presente articolo si applicano anche alla camorra, alla ‘ndrangheta e alle altre associazioni, comunque localmente denominate, anche straniere, che valendosi della forza intimidatrice del vincolo associativo perseguono scopi corrispondenti a quelli delle associazioni di tipo mafioso”.

Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

Avvocato e giornalista pubblicista. Cultore della materia per l’insegnamento di procedura penale presso il Corso di studi in Giurisprudenza dell’Università telematica Pegaso, per il triennio, a decorrere dall’Anno accademico 2023-2024. Autore di diverse pubblicazioni redatte per…Continua a leggere

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