Cos’e’ il marchio patronimico?  Tra norme, esempi e comparazione

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Focus: il marchio “greta thumberg”.

a cura della Dott.ssa Serena Biondi

Definiamo il marchio patronimico

Il marchio patronimico è un marchio costituito da nome e cognome o anche solo dal cognome di un soggetto.

Detto marchio può essere registrato certamente dal titolare del nome e, ad alcune condizioni, anche da soggetti terzi. Vediamo infatti che l’articolo 8 del Codice della Proprietà Industriale nel definire le linee guida per registrare un marchio patronimico, stabilisce che i nomi di persona diversi da quelli di chi chiede la registrazione possono essere registrati come marchi solo se il loro utilizzo non va a ledere la fama, il credito o il decoro di chi ha il diritto di avere quel nome.

A tal proposito si è più volte espressa la Giurisprudenza; ad esempio nel 2016 la Corte di Cassazione con sentenza numero 10826 ha stabilito che per quanto concerne i settori merceologici identici o affini, non si può adottare come segno distintivo il proprio nome anagrafico se questo è stato validamente registrato in precedenza come marchio, purché il suo uso si basi sui principi di correttezza professionale. Occorre dunque accertare che il segno distintivo registrato non pregiudichi il valore nel nome traendo invero indebito vantaggio dalla notorietà del titolare del nome.

L’articolo 8 sopra menzionato precisa che l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi può richiedere l’autorizzazione dell’effettivo titolare del nome o dei soggetti elencati al primo comma della norma. Se ciò non accade possono crearsi conflitti tra il titolare del nome e cognome e il titolare del marchio.

Il terzo comma del medesimo articolo chiarisce invece che, i nomi notori possono essere registrati o usati come marchio solo dall’avente diritto o con il suo consenso o con il consenso dei soggetti indicati dalla norma.

Inoltre all’articolo 21, lettera a), del codice appena citato, si legge che i diritti di un marchio d’impresa registrato non permettono al titolare di vietare ai terzi l’uso del nome della persona fisica nell’attività economica, purché questo sia conforme ai principi della correttezza professionale.

Sembrerebbe quindi che il titolare del patronimico possa usare il proprio nome nell’ambito di un’attività economica se l’uso è conforme alla correttezza professionale, tuttavia la Cassazione ha in più pronunce stabilito che un segno distintivo costituito da un nome anagrafico e registrato come marchio non possa essere adottato in classi merceologiche uguali o affini – salvo in principio della correttezza professionale – nemmeno dalla persona titolare di quel nome. Il diritto al nome trova dunque una compressione nell’ambito dell’attività economica e commerciale, nei casi in cui sia stato registrato da terzi.

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Comparazione tra marchi potronimici

Regola

Molto spesso la Giurisprudenza si è trovata a dover effettuare la comparazione tra due marchi patronimici, ebbene, la regola generale prevede di effettuare il confronto dando maggior peso all’elemento verbale (nome e cognome o al solo cognome) rispetto a tutti gli altri elementi che compongono il marchio.

La parte verbale è dunque il cuore del marchio.

In varie pronunce infatti la Corte di Cassazione ha ribadito che in caso di marchio patronimico, l’aggiunta di elementi ulteriori atti a differenziare il marchio successivo, non conferisce a questo il requisito della novità rispetto al marchio patronimico già registrato nella stessa classe merceologica o in classe affine.

Eccezione

Tuttavia, i Supremi Giudici, in alcuni casi, hanno seguito un diverso orientamento dando maggior importanza agli elementi del marchio ulteriori rispetto al nome e cognome.

Per esempio questo diverso orientamento è stato seguito nel caso relativo al marchio “Coccoli”. Invero, in questa occasione, la Cassazione civile ha negato la sussistenza della contraffazione del marchio “Calze Coccoli” (“Coccoli” era il cognome del fondatore della società omonima) da parte del marchio “Coccoli di Melby”. I supremi Giudici hanno ritenuto che il cuore del marchio non si identificasse con il cognome bensì, come si legge nella sentenza, “il dato differenziale contenuto nel secondo marchio, “di Melby”, lungi dal presentarsi quale elemento differenziatore di puro contorno, possedeva una cospicua attitudine connotativa, giacché sottolineava una tratto fantasioso ed immaginifico assente nell’altro marchio, suggerendo che i “coccoli”, ossia i bimbi – riferendosi il marchio “Coccoli di Melby” ad una linea di vestiario per neonati-bambini – provenissero o appartenessero ad un luogo fiabesco, o si identificassero con un personaggio favoloso, aspetto, quest’ultimo, accentuato dalla rappresentazione grafica della parola “Melby” in lettere colorate a sfondo a tinte vivaci”.

Il marchio greta thunberg

I Marchi patronimici sono molto diffusi soprattutto nel mondo della moda nonché nel settore alimentare e in quello vitivinicolo. Non solo. In generale sono sempre più i personaggi noti che decidono di registrare il marchio con il proprio nome al fine di proteggerlo da attività illecite, discredito o anche solo, semplicemente, per alimentare il proprio merchandising.

Negli ultimi mesi ha fatto certamente scalpore la notizia del deposito del proprio nome e cognome come marchio ad opera della notissima Greta Thunberg.

Quest’ultima, in varie interviste ha dichiarato di voler ottenere la registrazione del marchio patronimico oltre a quello del proprio slogan, al fine di bloccare lo sfruttamento illecito da parte di terzi del proprio nome per scopi commerciali da lei non autorizzati.

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Dott. Lione Federico

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