Corte Costituzionale: legittima la decurtazione delle “pensioni d’oro”

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La Corte Costituzionale con il deposito, in data 11 luglio 2022, dell’ordinanza 172/2022, emessa in Camera di Consiglio nella seduta del 23 giugno scorso, ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale avanzate dai percettori delle cosiddette “pensioni d’oro”, i quali reclamavano l’intero ammontare del proprio trattamento pensionistico senza i tagli disposti dalla Legge 30 dicembre 2018, n. 145 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 – (Legge di Bilancio per l’anno 2019). Le decisioni fondamentali poste a sostegno delle questioni di legittimità costituzionale riguardavano “la domanda proposta nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri, del Ministro dell’economia e delle finanze e dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) da titolari di pensione di elevato importo, i quali rivendicano l’integralità del trattamento di quiescenza, senza la decurtazione stabilita dalla norma censurata” imposta dalla Legge di Bilancio 2019.

La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con le ordinanze 54 e 55 del 2021, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 261 – 268, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 – (Legge di Bilancio per l’anno 2019), in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 della Costituzione, “in relazione all’intervento di decurtazione percentuale per un quinquennio dell’ammontare lordo annuo dei trattamenti ivi previsti”. Ad avviso del rimettente l’introduzione di un prelievo forzoso dalla durata abnorme nonché ingiustificatamente selettivo, violerebbe i parametri impugnati e nello specifico sarebbe contra legem con riferimento ai “principi di ragionevolezza, di affidamento, di uguaglianza e di adeguatezza del trattamento previdenziale nonché quello di capacità contributiva”.

Nei giudizi, di cui sopra, è intervenuto L’INPS e la Presidenza del Consiglio dei Ministri rappresentata e difesa per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, facendo leva sulla sentenza della Corte Costituzione  n. 234 del 2020, di dichiararsi inammissibili o manifestamente infondate le questioni impugnate. Con la statuizione del Giudice delle Leggi è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 261, della legge n. 145 del 2018, per violazione degli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost., nella parte in cui stabilisce la riduzione degli assegni «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni»; che, costituitosi in entrambi i giudizi, l’INPS ha formulato conclusioni analoghe, in ragione della medesima sentenza sopravvenuta, avendo questa determinato la cessazione del prelievo a far data dal 31 dicembre 2021”.

     Indice

  1. La disciplina della Legge di Bilancio 2019: art. 1, commi 261 – 268
  2. Il precedente della sentenza n. 234/2020 della Corte Costituzionale: il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. alla base della decisione
  3. La decisione della Corte
  4. La disposizione testuale della Corte

1. La disciplina della Legge di Bilancio 2019: art. 1, commi 261 – 268

I commi 261 – 268 dell’art. 1 della legge 30 dicembre 2018, n. 145 – Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021 testualmente dispongono che: “261. A decorrere dalla data di entrata  in  vigore  della  presente legge e per la durata di cinque  anni,  i  trattamenti  pensionistici diretti a carico del  Fondo  pensioni  lavoratori  dipendenti,  delle gestioni speciali dei lavoratori autonomi, delle  forme  sostitutive, esclusive ed esonerative dell’assicurazione generale  obbligatoria  e della Gestione separata di cui all’articolo 2, comma 26, della  legge 8 agosto 1995, n. 335, i  cui  importi  complessivamente  considerati superino  100.000  euro  lordi  su  base  annua,  sono   ridotti   di un’aliquota di riduzione pari al 15 per cento per la parte  eccedente il predetto importo fino a 130.000 euro, pari al 25 per cento per  la parte eccedente 130.000 euro fino a 200.000  euro,  pari  al  30  per cento per la parte eccedente 200.000 euro fino a 350.000  euro,  pari al 35 per cento per la parte eccedente 350.000 euro  fino  a  500.000 euro e pari al 40 per cento per la parte eccedente 500.000 euro.

  1. Gli importi  di  cui  al  comma  261  sono   soggetti   alla rivalutazione   automatica   secondo    il    meccanismo    stabilito dall’articolo 34, comma 1, della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
  2. La riduzione di cui al comma 261 si applica  in  proporzione agli  importi  dei  trattamenti  pensionistici,  ferma  restando   la clausola di salvaguardia di cui al comma 267. La riduzione di cui  al comma 261 non si applica comunque alle pensioni interamente liquidate con il sistema contributivo.
  3. Gli organi costituzionali  e  di  rilevanza  costituzionale, nell’ambito della loro autonomia, si adeguano  alle  disposizioni  di cui ai commi da 261 a 263 e 265 dalla data di entrata in vigore della presente legge.
  4. Presso l’INPS e gli altri enti previdenziali interessati sono istituiti appositi fondi denominati “Fondo risparmio sui trattamenti pensionistici di importo elevato” in  cui  confluiscono  i  risparmi derivati dai commi da 261 a  263.  Le  somme  ivi  confluite  restano accantonate.
  5. Nel Fondo  di  cui  al  comma  265  affluiscono  le  risorse rivenienti dalla riduzione di cui ai commi da 261  a  263,  accertate sulla base del procedimento di cui  all’articolo  14  della  legge  7 agosto 1990, n. 241.
  6. Per effetto  dell’applicazione  dei  commi  da  261  a  263, l’importo complessivo dei trattamenti pensionistici diretti non  può comunque essere inferiore a 100.000 euro lordi su base annua.
  7. Sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni di cui  ai commi da  261  a  263  le  pensioni  di  invalidità,  i  trattamenti pensionistici di invalidità di cui alla legge  12  giugno  1984,  n. 222, i trattamenti  pensionistici  riconosciuti  ai  superstiti  e  i trattamenti riconosciuti a favore  delle  vittime  del  dovere  o  di azioni terroristiche, di cui alla legge 13 agosto  1980,  n.  466,  e alla legge 3 agosto 2004, n. 206”.

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2. Il precedente della sentenza n. 234/2020 della Corte Costituzionale: il principio solidaristico di cui all’art. 2 Cost. alla base della decisione

Con sentenza n. 234/2020, pubblicata in G.U. 11/11/2020 n. 46, il Giudice delle Leggi ha qualificato la detrazione in scrutinio come intervento di solidarietà endoprevidenziale, non come prelievo tributario, poiché i risparmi della spesa pubblica che ne deriva sono accantonati in fondi previdenziali e non acquisiti al bilancio dello Stato. Pertanto, il sindacato di legittimità costituzionale non è riferibile al principio di universalità di cui all’art. 53 della Costituzione – “Tutti  sono  tenuti  a  concorrere  alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività” – bensì alla ragionevolezza della prestazione patrimoniale imposta dall’art. 23 Cost.“Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge” –  nell’ottica di ottemperare al principio solidaristico di cui all’art. 2 della Costituzione: “La   Repubblica   riconosce  e  garantisce  i  diritti  inviolabili dell’uomo,  sia  come  singolo  sia  nelle  formazioni sociali ove si svolge  la  sua  personalità,  e  richiede  l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

L’ammontare della detrazione sulle posizioni di ogni percettore è mitigata dalla progressività delle aliquote sugli scaglioni nonché dalla clausola di salvaguardia in virtù della quale “(…) l’applicazione del contributo di solidarietà non può mai ridurre la prestazione erogata al di sotto della soglia dei 100.000 euro annui”.

L’intervento in scrutinio ha una natura di riequilibrio intergenerazionale. Invero la misura non trova applicazione per le pensioni erogate per intero mediante il sistema contributivo, solitamente appannaggio dei lavoratori più giovani e avente un ammontare minore a quelle erogate con il sistema retributivo o misto. “In tal senso rileva la connessione teleologica tra la misura in questione e gli obiettivi di ricambio generazionale nel mercato del lavoro, che il legislatore ha inteso perseguire tramite il pensionamento anticipato in “quota 100”, introdotto in via sperimentale per il triennio 2019-2021”.

3. La decisione della Corte

Il Giudice delle Leggi ha ritenuto che, non in merito alla detrazione in sé, ragionevole e solidaristicamente orientata, gli artt. 3, 23, 36 e 38 Cost. sono stati comunque violati dalla durata ultratriennale della decurtazione, eccedente la proiezione temporale della misura pensionistica nota come “Quota 100”, fissata in anni tre. Come conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale emessa dalla medesima Corte con la, summenzionata, sentenza n. 234 del 2020, la detrazione prevista dall’art. 1, comma 261, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 è venuta meno al 31 dicembre 2021. Quindi, con riferimento alla durata quinquennale della detrazione, le questioni sottoposte all’attenzione dei Giudici di Piazza del Quirinale devono essere dichiarate manifestamente inammissibili, data la legittimazione costituzionale ricondotta al solo triennio, determinando di fatto il difetto del motivo del contendere. Per ciò che concerne la diminuzione degli assegni nel termine avente durata triennale, data l’insussistenza di nuove questioni da valutare rispetto a quelle già vagliate dalla, citata, sentenza n. 234/2020 della Corte Costituzionale, il medesimo Consesso ritiene che le questioni debbano essere dichiarate manifestamente infondate.

4. La disposizione testuale della Corte

La Corte Costituzionale riuniti i giudizi: “1) dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 261 a 268, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021), nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di cinque anni», anziché «per la durata di tre anni», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 della Costituzione, dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe; 2) dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi da 261 a 268, della legge n. 145 del 2018, nella parte in cui stabilisce la riduzione dei trattamenti pensionistici ivi indicati «per la durata di tre anni», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 23, 36, 38 e 53 Cost., dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per il Lazio, con le ordinanze indicate in epigrafe”.

Sentenza collegata

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Avvocato Rosario Bello

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