Convivenza di fatto e assegni familiari: la Consulta sul limite dell’equiparazione al matrimonio

La Corte Costituzionale sull’estensione del divieto di percepire assegni per il nucleo familiare al convivente di fatto del datore di lavoro.

Redazione 31/07/25
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La sentenza n. 120 del 2025 della Corte Costituzionale affronta la questione dell’eventuale estensione del divieto di percepire assegni per il nucleo familiare (ANF) al convivente di fatto del datore di lavoro. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.

Corte Costituzionale -sentenza n.120 del 22-07-2025

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Indice

1. Origine della controversia e profili di diritto coinvolti


La vicenda nasce da un ricorso contro l’INPS, il quale aveva contestato conguagli effettuati da un datore di lavoro su assegni riconosciuti a una dipendente, convivente more uxorio con lui e madre dei figli a carico.
La Corte d’appello di Venezia ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del d.P.R. 797/1955, ritenendo che la norma – limitando la causa ostativa al solo coniuge del datore – violasse gli artt. 3 e 38 Cost., lasciando aperta la possibilità di “autofinanziamento” nel caso di rapporti di convivenza non formalizzati dal matrimonio. Per un approfondimento su questi temi, ti consigliamo il volume “I nuovi procedimenti di famiglia”, acquistabile cliccando su Shop Maggioli o su Amazon.

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2. Quadro normativo e orientamenti delle parti


L’art. 2 del d.P.R. 797/1955, norma di collegamento storica per l’ANF, esclude dal beneficio il coniuge e i parenti del datore di lavoro conviventi con lui. L’INPS ha sostenuto una lettura estensiva della disposizione, richiamando la ratio antielusiva del sistema, che mira a evitare l’indebita creazione di rapporti di lavoro strumentali a ottenere prestazioni assistenziali.
L’Avvocatura dello Stato, invece, ha invitato al rigetto della questione, sostenendo che un’estensione della causa ostativa alla convivenza di fatto costituirebbe una manipolazione normativa non consentita al giudice costituzionale, spettando al legislatore ampliare o modificare il perimetro della norma.

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3. Il ragionamento della Corte: coerenza sistematica e divieto di estensioni sfavorevoli


La Consulta ha dichiarato non fondate le questioni, ritenendo che l’ANF è una prestazione costruita sul nucleo familiare legale e fiscalmente riconosciuto. La convivenza more uxorio, salvo contratto ex L. 76/2016, non costituisce presupposto di accesso alla prestazione e, per simmetria, non può determinare un’esclusione.
La Corte ha respinto la prospettiva di introdurre per via interpretativa una limitazione non prevista dalla legge, che finirebbe per aggravare la posizione di chi si trova in una relazione non formalizzata. Una “manipolazione in malam partem” – come quella invocata dal giudice rimettente – violerebbe il principio di legalità e di certezza del diritto.

4. Convivenza di fatto e tutele previdenziali: un rapporto ancora incompleto


Il giudice delle leggi ha evidenziato che, sul piano previdenziale, il convivente di fatto non è equiparabile al coniuge, salvo ipotesi tassative previste dal legislatore. La legge Cirinnà (L. 76/2016) ha riconosciuto alcune tutele, ma le ha condizionate alla stipulazione di un contratto di convivenza. Senza questo atto formale manca quella certezza giuridica necessaria per attribuire – o negare – prestazioni assistenziali come l’ANF.
La decisione riafferma la distinzione strutturale tra matrimonio e convivenza di fatto, segnalando che la rilevanza giuridica di quest’ultima non può essere riconosciuta in modo selettivo e solo quando comporta svantaggi.

5. Implicazioni operative per i professionisti del diritto


Per avvocati, consulenti del lavoro e operatori previdenziali, la sentenza rappresenta un punto fermo nell’interpretazione dell’ANF in contesti di convivenza di fatto. In sede di contenzioso, la pronuncia conferma che la convivenza non formalizzata non può essere invocata né per ottenere, né per limitare, il beneficio, se non nei casi previsti dalla legge.
I professionisti dovranno quindi orientare i propri assistiti verso la stipulazione di un contratto di convivenza quando intendono far valere rapporti more uxorio ai fini di prestazioni sociali o previdenziali. Inoltre, per i datori di lavoro, la decisione chiarisce che l’INPS non può contestare l’indebito conguaglio degli ANF basandosi solo sulla convivenza di fatto con la dipendente, salvo diversa disciplina legislativa futura.

6. Conclusioni: prudenza interpretativa e ruolo del legislatore


La sentenza n. 120/2025 si inserisce nel filone di decisioni della Corte Costituzionale improntate alla prudenza interpretativa. La Consulta ha riaffermato che spetta al legislatore valutare se, e come, estendere le cause ostative dell’ANF alla convivenza di fatto, evitando interventi creativi che compromettano la coerenza dell’ordinamento.
In assenza di una riforma organica, la convivenza rimane un istituto di rilievo sociale ma non sempre produttivo di effetti giuridici in ambito previdenziale. La pronuncia costituisce dunque un monito sia al legislatore, chiamato a colmare possibili lacune, sia agli operatori del diritto, che devono muoversi entro i confini della normativa vigente.

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